La crisi degli studenti a scuola e università
(Ansa)
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Il pericoloso limite sulle aspettative dei nostri figli a scuola

Studenti disperati, ma la colpa non è soltanto loro

Un’indagine sugli studenti universitari italiani mostra una generazione in bilico tra ipocrisie e isterismi, costretta a nascondere le proprie fragilità con mille bugie anche tra le mura domestiche. Perché fa tanta paura non farcela?

Abbiamo una generazione di studenti universitari che vive sul filo di un rasoio. Uno studente su quattro potrebbe ipotizzare un gesto estremo se la propria famiglia venisse a conoscenza della reale situazione del proprio corso di studi: questo afferma un’indagine di Skuola.net, sito di riferimento a vantaggio di studenti liceali per materiali di ogni tipo e anche portale capace di raccogliere l’umore delle generazioni sui banchi, o negli atenei, in questi anni. I dati raccolti questa volta restituiscono un’immagine allarmante costruita su menzogne, nascondimenti, serenità di facciata e una voragine sotto i piedi.

I ragazzi che frequentano le università italiane se non sono in pari con gli esami non lo dicono, mentono, e lo fanno anche se di esami non ne danno nemmeno uno in anni e anni di percorso accademico. Fino a quando la situazione, ormai insostenibile, li getta nello sconforto e qualcuno, purtroppo, decide di farsi male, fino a togliersi la vita. Anche senza pensare al gesto estremo, è necessario riflettere sulla fragilità di questa generazione e sull’incapacità di mostrarsi in difficoltà.

Non è sempre stato così, infatti nel mondo antico il tema del naufragio, della sconfitta e del fallimento era centrale. Achille è un eroe che sbaglia e agisce senza pensare alle conseguenze, pagando a caro prezzo i suoi eccessi, Odisseo è un personaggio differente ma temprato dalla sofferenza, così come Enea, fondatore della stirpe romana, è un profugo, uno sconfitto. E poi Giona, il profeta che nella Bibbia fa l’opposto di ciò che gli viene comandato da Dio, fino a Dante, oggi intoccabile ma nella Commedia ridotto a personaggio sempre in difetto, pronto a inciampare, fraintendere, non capire. Gli antichi avevano chiaro che sbagliare, cadere e fallire fa parte della vita. La società attuale invece non tollera l’incertezza, non accetta la sconfitta, non dà spazio al ripensamento. Chi non ce la fa non è da contenuto social, non può ambire a raccontarlo, non sarà un vincente, non finirà in nessuna menzione speciale, è e sarà un’occasione sprecata che respira. Non si tratta di aspettative alte da parte delle famiglie, anzi le famiglie sono sempre più comprensive e sulla difensiva nei confronti dei figli, fino a quando è possibile, vale a dire fino al termine della scuola, così come non si tratta di studi inaccessibili, al contrario generalmente gli atenei sono meno ostici. Il problema è il modello proposto dalla nostra civiltà, un modello di vita impossibile da riprodurre.

La civiltà dell’immagine e della facciata non lascia margine a chi non splende, figurarsi a chi ha cicatrici, smagliature e imperfezioni. Vale a dire a tutti noi, o quasi. Che si parli di pelle liscia, peli superflui o carriera universitaria, il discorso non cambia: è accolta solo l’omologazione verso l’alto, se si parla di risultati, che peraltro devono arrivare senza sembrare NERD, affaticati, sudati, appassionati. Il modello vincente è lo studente brillante che non fatica più di tanto, che riesce a imporsi ma che sa divertirsi, che fa esperienze di successo ma non rinuncia a nulla, che sa l’inglese, perfettamente, ma non ha sacrificato ore e ore per impararlo. E’ l’immagine di un tipo che non esiste, perché per sapere bisogna impegnarsi, per affermarsi occorre sudare, perché non tutti ce la fanno, perché ci si può iscrivere all’università e accorgersi di avere sbagliato facoltà, perché si può passare un periodo nero e non essere più in pari con gli esami, perché -ancora- si può vivere un tempo di vita in cui non si ha più voglia o motivazione per portare avanti un progetto, e rallentare, o cambiare.

Ecco, tutto ciò corrisponde alla vita e a quello che Eugenio Montale chiama coincidenze, prenotazioni, trappole e scorni della vita quotidiana. E questa vita incarnata, essendo poco vendibile come invidiabile, cozza con il modello schizofrenico vincente e disimpegnato proposto da social e media, mandando in crisi un’intera generazione di studenti, che non riuscendo a essere così, fa i conti con battute d’arresto, inadeguatezza, fragilità. Tutte realtà da nascondere, imparando a mentire fino a che non se ne esce più.

Il secolo ventuno e la società del risultato da sbandierare con il sorriso a trentadue denti, bianchissimi, ha sulla coscienza tutti quelli che arrancano e finiscono per chiudersi in se stessi, mentire ai genitori, cadere in depressione, smettere di mangiare, farla finita. E il ventunesimo secolo lo stiamo costruendonoi così. Tocca a noi accettare che l’uomo sbaglia, fatica, imbruttisce, non riesce emuore. Finché gli errori saranno cancellati, la fatica rimossa, la bruttezza corretta digitalmente e la morte nemmeno pronunciata, non ci sarà scampo per l’umanità, l’ascolto, la relazione. La vita vera, insomma.

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Marcello Bramati