Gli amici italiani dell'Isis
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Gli amici italiani dell'Isis

Connazionali convertiti, aspiranti jihadisti e imam radicali inneggiano allo Stato islamico. Su siti e pagine Facebook condannano la democrazia e ostentano le bandiere dell’Isis. Il sostegno ai tagliagole di Siria e Iraq viaggia sul web

Gli italiani convertiti che usano come copertina della pagina Facebook il vessillo nero del Califfato. I giovani musulmani, nati e cresciuti nel nostro Paese, convinti che sia meglio lo Stato islamico dell'Isis piuttosto che la democrazia. I volontari della guerra santa che partono per Siria e Iraq. E quelli che postano le foto con la bandiera dell'Islam davanti a San Pietro o con un cartello pro Isis di fronte al Colosseo. Gli amici del Califfo, Abu Bakr al Baghdadi, sono anche fra noi. Ecco le loro storie.

«Non bisogna aver paura dell'Isis. Si tratta di un movimento di liberazione dalla dittatura sanguinaria in Siria, che per forza di cose si è propagato in Iraq» sostiene il tecnico romano Stefano Porcelli. «I giovani che partono dall'Europa e in misura minore dall'Italia (perché siamo ancora troppo provinciali) sono come i partigiani che hanno combattuto sotto il tallone del nazismo». Su Facebook ha adottato come copertina la bandiera nera del Califfato. Musulmano dal 1990, con il nome Mustafa, lavora nell'ufficio tecnico di un parco della Regione Lazio. «Il Califfato è la risposta che trascende ai mali dell'umanità e tutti gli altri governi sono assai peggiori» afferma convinto Porcelli, cinquantenne con la barbetta islamica. Via Facebook ha stretto amicizia con Giuliano Ibrahim Delnevo, il giovane convertito di Genova «che per motivi ideali condivisibili» è partito per la Siria dove ha trovato la morte in nome della guerra santa. Per ora gli amici del Califfato in Italia sono una minoranza, «ma prenderemo piede» profetizza Porcelli.

A Gradisca d'Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, Livio Umar Tomasini è «ritornato all'Islam», come dicono i convertiti, cinque anni fa, dopo un viaggio a Istanbul. Fino a pochi giorni fa aveva anche lui il vessillo nero dell'Isis come copertina su Facebook, ma poi l'ha sostituito con una frase di Gabriele D'Annunzio. Per Umar la vittoria del Califfato «è solo questione di tempo. E noi credenti abbiamo il dovere di servire per consolidarlo, che si tratti di soldati, muratori, elettricisti, medici». I crimini dell'Isis non fanno sorgere alcun dubbio: «In guerra è normale che avvengano massacri, ma la propaganda li esaspera. Se poi vietare gioco d'azzardo, alcol e degradazione della donna sono cose riprovevoli...».

Nelle moschee e nei centri islamici l'argomento è tabù, ma si sono formati piccoli network di amici del Califfo, soprattutto via Internet. Se qualcuno vuole arruolarsi nell'Isis, trova i primi contatti nel Sangiaccato, un'area islamica fra Bosnia e Serbia, per poi arrivare in Turchia e sul fronte iracheno o siriano (non a caso, il governo britannico ha appena concesso alla polizia la facoltà di ritirare il passaporto ai sospetti aspiranti combattenti al confine).

Il sogno di conquista è condiviso da F. Abdessalam Pierobon. Un altro convertito che pregava fra i monti di Agordo, in provincia di Belluno, con Ismar Mesinovic, l'imbianchino bosniaco di Longarone partito per la Siria dove è morto in combattimento a gennaio (vedi riquadro a sinistra). Elmedi Halili, studente nato in Italia da genitori marocchini, che vive nel Torinese, è convinto che il Califfato e l'applicazione della sharia siano un sistema migliore del nostro. Sulle persecuzioni dei cristiani e delle minoranze religiose in Siria e Iraq ribatte: «È tutto falso. Sono stati disinformati. Avrebbero potuto rimanere nelle loro case pagando la Jizyia (la tassa di protezione per i non musulmani, ndr)».
Stefano Allievi, docente dell'università di Padova, spiega che «imam, moschee e associazioni islamiche hanno preso nettamente le distanze dall'Isis. Il Califfato, però, non è solo un'organizzazione terroristica, ma un'idea globale e seducente. Oltre a offrirti con facilità di combattere in Siria o Iraq, propone di vivere in un posto dove la sharia, la legge islamica, viene applicata al 100 per cento. Per questo fa proseliti».

L'ultimo che sarebbe partito per la Siria è un musulmano di origine malese che, secondo indicazioni sulla sua pagina Facebook, «Sentenza di Allah», si è trasferito da Trieste alla Germania prima del grande salto verso il Califfato. Il 25 agosto annuncia con un tag di essere partito «dall'aeroporto di Düsseldorf diretto ad Aleppo in Siria» con altri aspiranti mujaheddin. «Non sappiamo se sia vero, ma il personaggio fa parte della rosa di 40-50 persone sotto monitoraggio. Si stanno effettuando controlli sulla lista di imbarco in Germania e sulla sua reale identità» confermano dall'antiterrorismo.
Abu Musab al Suri (il siriano) è un giovane che da Salò si è trasferito in Siria e usa come simbolo la bandiera nera dell'Isis. Contattato da Panorama via Facebook, inizia a rispondere in italiano ma tronca il contatto quando capisce che siamo giornalisti. Dal 7 agosto Abourassib Alitali, l'«italiano» di origini tunisine che sostiene di arrivare da Milano, posta su Facebook video e proclami dell'Isis da Raqqa, «capitale» del Califfato in Siria. Ma qualche giorno dopo ammette di trovarsi in Iraq a combattere. Nella foto del profilo, l'ennesimo volontario della guerra santa collegato all'Italia è immortalato mascherato, in divisa nera e lanciarazzi Rpg. Il califfo Abu Bakr al Baghdadi fa parte della sua copertina. Su qualche post, Alitali prova a scrivere in uno stentato italiano. Il 28 agosto inneggia alla vittoria dei «musulmani nella guerra contro i cristiani e i cani sciiti. Allah o akbar, Dio è grande». Il 22 agosto, commentando una macabra immagine, parla «di cadaveri dei diavoli peshmerga (i combattenti curdi, ndr) finiti all'inferno».
Gli amici del Califfato in Italia, soprattutto convertiti e giovani musulmani di seconda generazione, seguono i siti di propaganda della guerra santa in Siria come «Bilad al Sham» (una pagina cancellata 79 volte da Facebook, che continua a rispuntare). Altre pagine, come «Musulmani d'Italia-organizzazione comunitaria», non si schierano con il Califfato, ma tendono a negare o sminuire i crimini dell'Isis, che in alcuni casi sono realmente esagerati. Il giornalista americano decapitato, James Foley, è sospettato di essere una spia: c'è chi sostiene che la sua brutale esecuzione sia una messa in scena della Cia. Oppure che le donne yazide in Iraq non sono vendute come schiave o ancora che i cristiani non hanno subito massacri. «Islam, la vera Religione» si propone come pagina d'informazione di una pacifica organizzazione no profit, ma il 12 aprile ha pubblicato un intervento dello sceicco al Awlaki, l'imam radicale di origini americane ucciso da un drone nello Yemen. «Non ci sono soluzioni “moderate" nell'Islam» si legge nell'editto. «Maometto applicò la Legge di Allah sulla Terra attraverso il Jihad militare e nient'altro che quello». Subito sotto, un manifesto sponsorizzato dalla onlus musulmana non lascia dubbi: «Condanna la democrazia, supporta il Califfato islamico». Il 25 agosto è stata postata una foto scattata davanti a San Pietro con un barbuto, che forse è Musa Cerantonio noto predicatore australiano di padre calabrese, mentre srotola la bandiera nera dell'Islam. Sopra, si legge la professione di fede musulmana: «Non vi è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta». La foto ha raccolto 361 «mi piace». In giugno, con l'avanzata in Iraq, lo Stato islamico aveva lanciato una campagna di sostegno al movimento, invitando a inviare «cartoline» via social network. Dalla città eterna, un anonimo simpatizzante ha rilanciato su Twitter la foto scattata davanti al Colosseo di una scritta su un pezzo di cartone: «Lo Stato islamico rimarrà… rimarrà». Sottointeso, per sempre.

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Fausto Biloslavo