Gli obiettivi dell'intervento militare russo in Ucraina
Putin vuole unire Donetsk alla Crimea e negoziare un accordo con Kiev da posizioni di forza
Definirla un’invasione potrebbe apparire eccessivo ma i circa 5 mila militari russi penetrati in Ucraina Orientale (altri 20 mila sono sul confine) potrebbero “fare la differenza” contro le raffazzonate forze di Kiev, provate da sei mesi di guerra e inficiate da scarso addestramento e carenza di rifornimenti. Nonostante questi limiti, fino a pochi giorni or sono la superiorità numerica degli ucraini consentiva loro di avanzare lentamente nelle aree sotto il controllo dei separatisti ma l’intervento dei “volontari” russi (come li definisce il premier dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk, Aleksandr Zakharenko ) ha cambiato tutto in termini di mobilità e potenza di fuoco favorendo il contrattacco dei separatisti nell’area di Donmetsk e Lugansk e l’apertura di un nuovo fronte lungo le coste del Mare d’Azov, nel settore di Mariupol.
L’obiettivo militare della puntata offensiva russa da molti paventata fin dall’inizio della crisi in Ucraina, sembra essere quello di creare una continuità territoriale tra la regione di Donetsk e la Crimea ormai annessa alla federazione Russa. Obiettivo che sembra essere alla portata dei militari russi e dei separatisti che potrebbero ricevere ulteriori aiuti da una sortita delle forze russe dalla stessa Crimea.
L’incapacità di Kiev di gestire nuovi fronti bellici potrebbe indurre Mosca a tentare il colpo di mano anche a Kharkiv includendo la città e la sua area industriale nel programma di spartizione dell’ucraina che Vladimir Putin sembra avere ben chiaro in mente. Benché mostri muscoli annunciando che potrebbe prendere Kiev in due settimane e ricordando a tutti che la Russia è una potenza nucleare, lo “zar” persegue con l’offensiva militare il preciso obiettivo politico di negoziare con Kiev un accordo stabile che porti alla piena autonomia dell’est ucraino nell’ambito di uno Stato federale: in pratica l’anticamera dell’indipendenza e dell’unione alla Federazione Russa.
Un obiettivo strategico per compensare in parte gli effetti della rivolta del Maidan che ha portato l'Ucraina nell’orbita Ue e Nato e per garantire la volontà dei milioni di ucraini russi e russofoni (molti col doppio passaporto) dei quali oltre 600 mila vivono da profughi nella Russia meridionale.
Il Cremlino ha buone possibilità di vincere la partita per almeno tre ragioni. L’Europa ha bisogno di stabilità in Ucraina per garantirsi gli approvvigionamenti di gas specie con l’inverno alle porte e con una crisi economica che comincia a mordere anche la Germania. L’Ucraina è allo sbando sul piano economico, militare e politico. Il governo ad interim nato dalla rivolta del Maidan perde i pezzi da molto tempo e il presidente Petro Poroshenko ha sciolto le Camere in vista del voto del 26 ottobre. Kiev non è in condizioni di sostenere una guerra di logoramento né la Ue e la Nato sembrano volerla aiutare con un intervento militare diretto.
L’Alleanza Atlantica spende molte parole per criticare Mosca, annuncia l’apertura di nuove basi in Polonia e Repubbliche Baltiche e la creazione dell’ennesima forza di reazione rapida ma non invia neppure un battaglione sul fronte di Donetsk o Mariupol. Vedremo se dal vertice in Galles, il 4 e 5 settembre, emergeranno scelte più decise ma improbabili poiché è stato proprio Barack Obama a escludere ogni ipotesi di intervento militare in Ucraina pur affermando che Mosca “la pagherà cara”.
L’impressione è che Putin abbia avuto via libera in Ucraina proprio dalla Casa Bianca in cambio dei buoni uffici di Mosca per indurre Bashar Assad a cooperare con gli americani nella guerra allo Stato Islamico. In difficoltà contro i jihadisti, contro i quali non può e non vuole mobilitare un’armata americana, Obama ha bisogno dell’esercito dell’ex nemico Assad per fermare l’espansione del Califfato.
Mosca, che ha sempre difeso il regime di Damasco considerato un argine contro l’estremismo islamico, si prende libertà d’azione in Ucraina e si toglie qualche sassolino dalle scarpe. “Sarà interessante ascoltare le persone che avevano detto non avrebbero più avuto a che fare con Assad e che oggi, volenti o nolenti, sono costrette a collaborare con lui se vogliamo sconfiggere i terroristi dello Stato islamico” ha detto ironicamente il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov.