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Gran Bretagna: cosa significa Hard-Brexit

Cosa intende Theresa May quando definisce "Hard" l'uscita del Paese dalla Ue e quali sono i punti dell'accordo

Theresa May lo aveva promesso mesi fa, nelle settimane successive al referendum di giugno che aveva deciso l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea: Brexit non sarà un pò dentro e un pò fuori. Sarà "Hard-Brexit", anche se alcuni esponenti del governo britannico hanno detto nei giorni scorsi di non gradire la terminologia. E sembra mantenere la promessa. Nel discorso di oggi - anticipato nei contenuti dai giornali già domenica e in parte da alcuni estratti fatti circolare dai portavoce - ha confermato il concetto.

Davanti a un gruppo numeroso di diplomatici e al cosiddetto team di negoziazione delle condizioni e pratiche per la Brexit, May ha esposto il piano di abbandono dell'Europa, dopo che nelle scorse settimane investitori, imprenditori e anche parecchi membri del Parlamento l'avevano criticata per la mancata precisione e chiarezza relativa a come saranno le relazioni con gli ex partner europei e come si configureranno quelle con il resto del mondo.

Cosa è la «Hard-Brexit»

Ma cosa intende May e il gongolante fronte dei duri della Brexit, con questo «Hard»? Il piano di May è composto di 12 punti. Ma in sostanza, i concetti fondamentali sono:

  • La Gran Bretagna dovrà riavere la sovranità assoluta sull'immigrazione da qualsiasi paese, quindi anche dai paesi dell'Unione europea. Perchè, dice, non si può controllare l'insieme dell'immigrazione se c'è libertà di accesso dai paesi dell'Unione. May ancora non ha però nemmeno accennato a che sistema ha in mente per i cittadini dell'Unione. Alcuni ministri avevano accennato a un sistema simili a quello in vigore con gli Stati Uniti.
  • Fine della giurisdizione della Corte Europea di Giustizia.
  • Per ottenere questo rinuncerà a essere parte del mercato unico europeo con accesso diretto a 500 milioni di consumatori. Verrà negoziato un accordo doganale con i paesi della Ue. Parole e idee che sono note soavi per il fronte Brexit interno, per buona parte della stampa tabloid, per Trump e per la destra sovranista e identitaria di tutta Europa.

Vediamo altri dettagli del progetto Brexit del Primo ministro britannico:

  • May propone un accordo di transizione, con vari aspetti specifici per i quali viene decisa una durata specifica di transizione.
  • No all'indeterminatezza. May propone di continuare la cooperazione con l'Unione europea sulle questioni di sicurezza: crimine, terrorismo, relazioni internazionali. I paesi europei hanno interesse a cooperare, dobbiamo scambiarci le informazioni e fare tutti i possibili accordi su questioni concrete.
  • Accordo commerciale: May dice che la Gran Bretagna vuole restare un buona vicina e amica dell'Unione. Alcune voci nella Ue però sono minacciose, sembrano invocare un accordo "punitivo". In questo caso, per la Gran Bretagna meglio nessun accordo commerciale che un cattivo accordo. In questo caso, inoltre, il Regno Unito potrebbe passare a un modello economico diverso: in sostanza, osservano i commentatori, Londra taglierebbe le tasse (dumping fiscale) per attirare e saccheggiare il flusso di investimenti dalla Ue alla Gran Bretagna.
  • Unione doganale: May vorrebbe che il Regno Unito mantenesse alcuni elementi dell'unione doganale europea. Vuole concludere con l'Unione accordi che permettano attività commerciale senza tariffe e senza altri ostacoli. Ci sono aspetti dell'Unione doganale che non permettono alla Gran Bretagna di siglare accordi complessivi con altri paesi, per questo non va bene. "D'altra parte" - dice May - "voglio poter stipulare accordi doganali specifici con l'Unione".
  • May ha anche detto che l'accordo generale di Brexit verrà votato da entrambi i rami del Parlamento britannico.

Sarà anche hard la Brexit che vogliono il governo inglese, la stampa tabloid e l'allegra brigata degli euroscettici, ma prima dovrà decidere il Parlamento britannico. Qui sotto, la questione sintetizzata dall'Ansa, questa mattina.

Probabilmente non cambierà la sostanza né della scelta degli elettori britannici che hanno votato per Brexit , né di Theresa May che ha puntato su un'uscita radicale.

Il portavoce del governo di Londra ha detto che entro marzo ci sarà il voto in Parlamento e sarà avviata la procedura prevista dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona, oggetto della decisione della Corte Suprema.

Il percorso sarà però ora più complicato e si riaccenderà il dibattito, nel quale gli europeisti hanno un argomento in più da usare. La decisione della Corte Suprema è importante anche a un livello più astratto e generale.

Come ha scritto su The GuardianGina Miller, i giudici hanno ribadito che il sistema costituzionale delle democrazie liberali non può essere scavalcato da un semplice voto referendario (consultivo, peraltro)  e che in Gran Bretagna il principio costituzionale della sovranità del Parlamento deve essere rispettato.

La Corte Suprema di Londra ha disposto oggi in via definitiva che la notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona per l'avvio dei negoziati con l'Ue per la Brexit dovrà essere autorizzato da un voto del Parlamento britannico.

Il verdetto conferma quello di primo grado dell'Alta Corte e dà torto al governo May che aveva presentato ricorso invocando il diritto ad attivare l'articolo 50 d'autorità, nel rispetto della volontà popolare del referendum del 23 giugno. Il presidente della Corte Suprema, Lord Neuberger, ha precisato che il verdetto che impone il voto del Parlamento per l'avvio della Brexit è stato deciso a maggioranza, 8 giudici contro 3.

Ha quindi insistito che i giudici non hanno messo in discussione l'esito del referendum del 23 giugno sull'uscita della Gran Bretagna dall'Ue, ma si sono limitati ad interpretare un principio costituzionale sulla base del ricorso presentato a suo tempo da un comitato di cittadini guidato dalla businesswoman Gina Miller e da Deir Tozetti Dos Santos, titolare di un salone di parrucchiere.

In sostanza Neuberger ha spiegato che il governo ha diritto, in nome della cosiddettaRoyal Prerogative, di avviare autonomamente l'uscita da un trattato internazionale, ma deve avere il via libera del Parlamento nel caso in cui questo comporti un cambiamento della legislazione in Gran Bretagna, come è destinato a succedere con il divorzio da Bruxelles.

Sul secondo punto del verdetto, Neuberger ha invece detto che il ricorso di Scozia, Galles e Irlanda del Nord - che chiedevano di potersi esprimere sulle decisioni in materia di uscita del Regno Unito dall'Ue prese a Londra - è stato respinto dagli 11 giudici all'unanimità (Ansa).

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