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ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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I grillini al governo senza un governo

La derenzizzazione della Rai. Le nomine pubbliche. L'abolizione dei vitalizi. Prima ancora di arrivare a Palazzo Chigi i 5 Stelle si muovono come se fossero già lì

Tic-tac. Tic-tac. Il tempo passa e i 5 Stelle cercano freneticamente di evitare che trascorra invano. Almeno per loro. T ic-tac. Tic-tac. Il tempo passa e i 5 Stelle cercano freneticamente di evitare che trascorra invano. Almeno per loro. Perché sì, è vero, i pentastellati formalmente non sono a Palazzo Chigi; tuttavia tentano già di guidare materialmente l'Italia. Per riuscirci, hanno battezzato un'astuta forma di "governo senza governo", utile per imporre le loro azioni al Paese. Prendiamo le poltrone pubbliche.

Le poltrone pubbliche a cui punta il M5S

La linea l'ha dettata Andrea Roventini con un post su Facebook. Prima ancora di sedersi al dicastero di via XX settembre, il candidato ministro dell'Economia M5S ha chiesto, di fatto, che i nuovi vertici di Cassa depositi e prestiti siano espressione del movimento. Cdp è infatti la prima partecipata a dover rinnovare la sua governance e costituisce lo snodo di poteri e poltrone fondamentali, dall'Ilva a Tim, Fincantieri e Alitalia (che i 5 Stelle vogliono nazionalizzare). Insomma, per il movimento la Cassa rappresenta il gol decisivo nella partita delle nomine di Stato. Che si apre ad aprile e assegnerà, fino al 2019, 350 posti in 79 società controllate dal Tesoro, da Eur Spa alla Sogei, da Fincantieri a Snam, passando per l'immancabile Rai, che i 5 Stelle stanno già silenziosamente derenzizzando (traduzione: depurando da Matteo Renzi e dai renziani).

Insomma, prima ancora di entrarci, il movimento si comporta da padrone di casa di Palazzo Chigi. E, in assenza di una maggioranza parlamentare, vuole anche decidere i suoi alleati. Martedì 3 aprile Luigi Di Maio si è addirittura spinto a porre un veto su Silvio Berlusconi, chiedendo a Matteo Salvini di abbandonare Forza Italia per formare un esecutivo grillista, cioè grillo-leghista. Magari partendo dall'intesa già imposta dai pentastellati alla Camera sui vitalizi.

La delibera per abolire gli assegni agli ex deputati

A Montecitorio, infatti, è iniziato il conto alla rovescia verso l'abolizione degli assegni agli ex deputati. Il presidente Roberto Fico (M5s) ha già pronto lo strumento in teoria adatto a sgonfiare gli assegni degli ex deputati. Tale strumento è una delibera, per la cui approvazione basta il voto favorevole dell'Ufficio di presidenza. Un Ufficio nel quale i Cinquestelle sono maggioranza relativa e dove Di Maio gode dell'appoggio di Salvini. Che però considera un governo assieme ai 5 Stelle, e senza Forza Italia, una chimera.

Certo è che la bozza di delibera, che Panorama ha avuto modo di consultare, prevede due piccole rivoluzioni. La prima regala risparmi assai contenuti ma è altamente simbolica: per i deputati eletti da questa legislatura varrà la piena applicazione delle leggi Dini e Fornero, quindi nessuno degli sconti sull'età pensionabile finora sfuggiti alle varie riforme interne al parlamento (l'ultima è del 2012).

La seconda rivoluzione, ben più sostanziosa (in palio ci sono circa 190 milioni di euro), riprende di fatto la proposta di legge avanzata nella scorsa legislatura da Matteo Richetti (Pd), poi affossata al Senato: prevede il passaggio a un sistema previdenziale basato sul sistema contributivo anche per gli eletti prima del 2012. Attenzione, però: rimane intatta la questione della inattaccabilità dei diritti acquisiti, già sancita dalla Corte costituzionale sulle cosiddette pensioni d'oro, e potenzialmente favorevole agli ex parlamentari, già pronti a impugnare qualsiasi decisione arriverà, sia essa una delibera o una ben più solida (dal punto di vista giuridico) legge ad hoc.

Perché i tagli grillini potrebbero essere un boomerang

Non solo. La sforbiciata-lampo, che investirebbe ben 2.600 ex onorevoli, rischia di rivelarsi un boomerang pure per un'altra ragione, esposta in sintesi da Antonello Falomi, di estrazione Pd e presidente dell'Associazione degli ex parlamentari: "Si corre il rischio di creare un precedente sulla base del quale potrebbero essere ricalcolate retroattivamente le pensioni di tutti gli italiani". Se infatti passasse il principio che gli assegni di ex deputati e senatori vanno ricalcolati su base contributiva, allora si potrebbe procedere così anche con gli italiani andati in pensione prima del 1996, fin quando cioè è stato utilizzato il metodo retributivo per calcolarne l'importo. Per intenderci: parliamo di circa 12 milioni di persone.

Un effetto collaterale micidiale, che a Gregorio Fontana, questore azzurro alla Camera, fa dire: "Premesso che qui nessuno ha intenzione di arroccarsi nella difesa di vecchi privilegi, tantomeno il centrodestra, che alla fine del 2011 ha reso possibile il passaggio al sistema contributivo, non capisco tutta questa fretta. In questo modo c'è il rischio che il provvedimento venga impugnato in sede giurisdizionale". Esistono altre vie percorribili, aggiunge Fontana, "come quella di introdurre un nuovo contributo di solidarietà a carico degli ex deputati". E però il contributo di solidarietà non soddisfa i 5 Stelle. Un anno fa, quando l'allora Ufficio di presidenza della Camera ne approvò l'introduzione per tre anni sui vitalizi relativi alle precedenti legislature, l'M5s non partecipò alla votazione per protesta. Il motivo? Era troppo poco rispetto alle loro richieste.

Peraltro il movimento sogna anche di reintrodurre il tetto dei 240 mila euro a cui sono stati sottoposti tra il 2014 e il 2017 gli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato. Putroppo le Commissioni giurisdizionali per il personale hanno sancito l'assoluta provvisorietà di quella misura, sbarrando di fatto la strada a una nuova delibera. Ma allora perché Di Maio e i 5 Stelle lavorano su tagli che rischiano di rivelarsi innocui? E perché insistono sull'improbabile governo grillista? Semplice, hanno bisogno di distrarre gli elettori: la promessa del reddito di cittadinanza è lontana dall'essere esaudita. Difficilmente vi sarà traccia nel prossimo Documento di economia e finanza (Def),ce non perché sarà scritto dal governo uscente di Paolo Gentiloni. No, la verità, è che servono 12 miliardi di euro soltanto per disinnescare l'aumento dell'Iva previsto a partire dal 2019, trovare soldi anche per il reddito di cittadinanza è davvero impossibile. E intanto - tic-tac, tic-tac - il tempo passa.

(ha collaborato Francesco Bisozzi)

(Articolo pubblicato sul n° 16 di Panorama in edicola dal 5 aprile 2018 con il titolo "I grillini al governo senza un governo")

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Carlo Puca