Operazione Locusta: L' Aeronautica Militare Italiana e la prima guerra del Golfo
Tornado durante l'operazione Desert Storm nel 1991 (Aeronautica Militare)
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Operazione Locusta: L' Aeronautica Militare Italiana e la prima guerra del Golfo

I Tornado italiani presero parte alle operazioni per la liberazione del Kuwait dal settembre 1990 al febbraio 1991. Portarono a termine 225 missioni con un solo velivolo perso e due prigionieri, liberati al termine delle ostilità. La storia, le immagini

Con un colpo di mano il 2 agosto 1990 l'Iraq del rais Saddam Hussein invadeva e occupava il Kuwait. Il 25 agosto successivo il governo Andreotti autorizzò l'invio del 20°Gruppo Navale della Marina nel Golfo in appoggio alle forze della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti.
Il 14 settembre, in seguito all'applicazione dell'embargo aereo, l'Italia annunciava l'invio di un gruppo di cacciabombardieri Panavia Tornado. Per la missione in codice "Locusta" viene costituito un apposito Reparto Autonomo di Volo a con i Tornado che, nella nuova livrea color sabbia, il 25 settembre 1990 decollarono dall'aeroporto militare di Gioia del Colle alla volta della base di Al-Dhafra, in Arabia Saudita. Il Reparto era costituito da uomini e velivoli provenienti dal 6°, 36° e 50° Stormo. L'ingaggio era, nella fase iniziale dell'intervento, quello di proteggere le navi italiane nel Golfo mentre la diplomazia internazionale e le Nazioni Unite cercavano ancora una soluzione diplomatica alla questione dell'invasione irachena del Kuwait.
Tutto cambiò il 29 novembre con la risoluzione Onu n.678 che autorizzava l'uso della forza qualora le truppe di Saddam non si fossero ritirate dal Kuwait entro il 15 gennaio 1991.
In Italia il dibattito pubblico e politico si accese sulle regole di ingaggio in caso di intervento militare, così come nel caso dei Francesi, causando sensibili ritardi al Reparto Autonomo che, in una condizione di forzato standby, non ebbe da subito accesso alle informazioni riservate relative ai piani d'attacco. Questa condizione si protrarrà fin oltre il primo intervento dell'aviazione su Baghdad il 17 gennaio 1991. I Tornado italiani erano rimasti a terra quando venivano portate a termine oltre mille incursioni in poche ore e mentre in Italia scattavano le misure di sicurezza da parte dell'Esercito attorno ai luoghi considerati possibile obiettivo di azioni terroristiche.
Il disco verde per i piloti italiani arrivò frettolosamente il giorno successivo, rendendo la preparazione normalmente svolta in tre giorni praticamente nulla. La notte del 18 gennaio 1991, otto Panavia Tornado del Rav armati ciascuno di cinque bombe da 1.000 libbre si staccavano dalla pista di Al-Dhafra. Obiettivo: la distruzione di depositi di munizioni iracheni con operazione di rifornimento in volo in una area nei pressi di Kuwait City. Il comandante del Reparto Antonio Urbano segnò i dati della sortita con l'inchiostro rosso, quello che si usa nelle missioni di guerra e che non era stato mai più utilizzato dal 1945.

Tornado MM.7074. l'abbattimento di Bellini e Cocciolone

Il meteo sulla zona di rifornimento in volo era pressoché proibitivo. L'unico velivolo che riuscì a riempire i serbatoi, pur con grande fatica, fu il Tornado IDS MM.7074 del Comandante Maggiore Gianmarco Bellini e del Capitano Maurizio Cocciolone, che proseguì la missione in solitaria verso il target. L'attacco prevedeva il volo a bassissima quota e velocità sostenuta, caratteristiche tipiche del Tornado in configurazione IDS (Interdiction, Defense and Strike). Alle 4:30 del mattino ora locale il cacciabombardiere italiano, nome in codice "Legion 4", sganciava cinque bombe Mk.83 sul bersaglio volando a soli 30 metri dal terreno a circa 1.000 Km/h. Il fuoco di contraerea era intenso. Bellini e Cocciolone, per proteggere il velivolo dall'inquadramento nel tiro nemico lanciarono le "chaff", striscioline di alluminio anti-radar. Erano gli ultimi secondi di volo di "Legion 4". Dalla scatola nera recuperata in seguito si susseguono allarmi in cabina, fino all'urlo finale "Eject! Eject!".
I due piloti italiani, data la vicinanza di un' importante installazione militare nelle vicinanze dello schianto, furono subito catturati e da allora separati nella lunga prigionia durata ben 47 giorni. La prima missione del Reparto Autonomo si era conclusa con il mancato rientro di uno dei Tornado. Lo scoramento e la rabbia al Comando, per l'esito di quella sortita svolta all'ultimo secondo, si unì all'angoscia per la sorte dei due componenti dell'equipaggio.

La prova che il Capitano Cocciolone fosse in vita la fornì la Cnn, quando il 20 gennaio 1991 trasmise una registrazione dove il pilota italiano, il volto tumefatto, compariva mentre veniva interrogato dai carcerieri. Del Maggiore Bellini, nessuno conosceva invece la sorte. I giornali in Italia lo diedero inizialmente per spacciato, avanzando l'ipotesi che non fosse stato in grado come il suo compagno di missione di catapultarsi in tempo.
Bellini invece, vivo come Cocciolone, non comparirà tra i prigionieri interrogati e mostrati alle televisioni di tutto il mondo. Come più volte il Maggiore (oggi Generale, in congedo dal 2012) ha raccontato, durante i giorni di prigionia fu più volte interrogato e torturato. Tutto il primo periodo di detenzione, a causa dei farmaci somministrati al prigioniero di guerra, è un buco nero nella sua memoria che recupererà soltanto dopo alcuni giorni trascorsi in uno stato di assopimento in una cella di Baghdad sotto i bombardamenti, durante uno di quali anche il suo carcere fu colpito. Diversi furono anche i trasferimenti (e i relativi gravi patimenti) del pilota italiano che condivideva la sorte con altri piloti prigionieri americani e sauditi. Intanto il Reparto Autonomo Volo proseguiva senza i due ufficiali recuperando il "gap" strategico con i responsabili dell'aviazione dell'operazione Desert Storm e portando a termine senza perdite 225 sortite fino al 24 febbraio, data dell'inizio delle operazioni di terra che si concluderanno quattro giorni più tardi con la liberazione del Kuwait e la fine della Prima Guerra del Golfo.
I due prigionieri italiani saranno rilasciati a Baghdad soltanto il 5 marzo 1991 e affidati alla Croce Rossa Internazionale. Non priva di incognite e tensioni fu la partenza dall'aeroporto della capitale irachena devastato dall'effetto delle bombe intelligenti che ne avevano distrutto le strutture lasciando intatta la pista. Il timore era che l'aereo fosse fatto bersaglio degli iracheni come rappresaglia, dopo la disfatta e il ritiro dal Kuwait. Fortunatamente l'aereo con a bordo Bellini e gli altri prigionieri decollò indenne alla volta di Riad. In mezzo alla folla di militari e cronisti che attendeva il volo della Croce Rossa, il Generale Mario Arpino fu uno dei primi ad accogliere il Maggiore Bellini, che fu salutato anche dal "welcome back!" del generale Norman Schwarzkopf.
Bellini e Cocciolone si rivedranno per la prima volta dalla drammatica notte dell'abbattimento sulla nave ospedale americana "USNS Mercy". Il 7 marzo 1991 i due ex prigionieri di guerra toccavano il suolo italiano all'aeroporto di Roma-Ciampino. L'operazione "Locusta" era terminata e una settimana dopo i Tornado del Reparto Autonomo di Volo dell'Aeronautica Militare italiana lasciavano per sempre il Golfo per rientrare alla base di Gioia del Colle, 180 giorni dopo la loro partenza.

Il decollo dalla base di Gioia del Colle (Bari) alla volta dell'Arabia Saudita il 25/9/1990 (Aeronautica Militare)

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Edoardo Frittoli