Hitler e il Gran Mufti: la grande gaffe di Netanyahu
Secondo il premier, fu Hussein a convincere il dittatore a sterminare gli ebrei. Un'opinione che fa a pugni con la storia e con la memoria della Shoah
L'idea che sia stato il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, a convincere Adolf Hitler a sterminare il popolo ebraico in Europa può apparire risibile, per chiunque abbia letto anche solo qualche passaggio del Mein Kampf dove il dittatore tedesco non faceva mistero, sin dal 1922, delle sue intenzioni.
Eppure, se a sostenere questa tesi è il capo del governo israeliano, e non qualche sperduto professore negazionista americano, qualcuno potrebbe anche chiedersi quali siano le ragioni che abbiano spinto Benjamin Netanyahu a prendere una posizione così controversa, vissuta in patria come una offesa alla memoria dei sopravvissuti, volta quasi a sminuire le responsabilità storiche del Fuhrer. E dunque: perché? Solo per gettare una luce sinistra sulle indubbie responsabilità di quello che è considerato il capo spirituale della Nazione palestinese? La rilettura storiografica piegata alle necessità politiche del momento?
Hitler non voleva sterminare gli ebrei, voleva espellerli. Ma Haj Amin al-Husseini andò da Hitler e gli disse: 'Se li espelli, quelli ritorneranno qui (in Palestina, ndr)'. Hitler chiese al Muftì che cosa suggerisse e il Muftì rispose: Bruciali
Ogni dubbio è lecito. Tanto più che, in questo caso, come ha lucidamente segnalato Isaac Herzog, il capo dell'opposizione laburista alla Knesset, la provocazione di Netanyahu è anche destituita di qualsiasi fondamento storico. «Nel gennaio 1939, quasi tre anni prima che avvenisse l'incontro tra Hussein e il dittatore di cui parla Netanyahu, Hitler presentò al Reichstag tedesco la Soluzione finale» ha scritto Isaac Herzog in un post su facebook dove ripercorre anche frammenti della vita di suo nonno, Isaac, il primo rabbino capo degli aschenaziti d'Israele che lo stesso Gran Mufti aveva ordinato di uccidere.
Nessuno in Israele, più del nipote di Isaac Herzog, ha in qualche modo l'autorità morale e familiare per sostenere, come ha sostenuto, che Netanyahu si sia in qualche modo iscritto, senza volerlo o per un cinico calcolo politico, tra i negazionisti dell'Olocausto. Parole che sono pietre in un Paese come Israele dove la memoria della Shoah è considerata un tabù intoccabile, il vero cemento storico della Nazione ebraica.
Zehava Galon, il leader di Meretz, l'ha in qualche modo buttata sull'umorismo nero, quando ha dichiarato che «i 33.771 ebrei uccisi a Baby Yar nel settembre 1941, due mesi prima che Hitler e il Mufti si incontrassero, dovrebbero essere riesumati per ricordare loro che i nazisti non intendevano ucciderli».
Ma, battuta a parte, quella frase che Netanyahu ha pronunciato dinnanzi al World Zionist Congress di Gerusalemme («Hitler non voleva sterminare gli ebrei, voleva espellerli. Ma Haj Amin al-Husseini andò da Hitler e gli disse: 'Se li espelli, quelli ritorneranno qui (in Palestina, ndr)'. Hitler chiese al Muftì che cosa suggerisse e il Mufti rispose: Bruciali») è rivelatrice di qualcosa di più profondo, e reale, del negazionismo. Rivela quanto sia pericoloso quando un politico, per necessità tattiche o per attaccare il nemico politico del momento (i palestinesi, ndr), si mette a riscrivere la storia. Quello è un compito che spetta agli storici.