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HIV: a che punto siamo?

I nuovi contagi restano stabili, dovuti soprattutto a rapporti sessuali non protetti. I farmaci allungano la vita, ma la chiave resta la prevenzione

All'uscita di una discoteca in Versilia, qualche giorno fa, i volontari dell'Anlaids hanno proposto un test gratuito di analisi della saliva per individuare la presenza del virus dell'HIV. Su 60 ragazzi che vi si sono sottoposti, tre sono risultati positivi. Ovviamente non avevano idea di essere affetti dal virus. Anche se la diffusione dell'HIV, e ancora più quella della malattia che esso è in grado di causare, sono in calo nel mondo, vi è ancora un alto numero di persone sieropositive che non sanno di esserlo. Panorama.it ne ha parlato con Barbara Suligoi, responsabile del Centro Operativo Aids dell'Istituto Superiore di Sanità.

Pericolo nascosto

"In Italia negli ultimi 6-7 anni la situazione è stabile. Il numero di nuove infezioni è sostanzialmente fermo attorno ai 4.000 casi l'anno, che non sono pochissimi. Certo, rispetto agli anni '80-'90 quando si ebbe il picco dei casi di infezione, prevalentemente tra tossicodipendenti, le cose sono molto cambiate. C'è stata una grandissima operazione di controllo dell'infezione e oggi i casi sono un sesto o un settimo di allora. Ci preoccupa però che l'andamento sia stabile, che non si riduca ulteriormente il numero di nuove infezioni".

Il problema è che tra le persone sieropositive vi è una quota che non sa di essersi infettata e magari lo scopre anche dopo molti anni, cioè quando compaiono i primi sintomi. "L'incubazione della malattia può durare 7 o 8 anni" spiega Suligoi, "ed è silente, senza sintomi. E' quindi un periodo lungo nel quale non solo la persona sieropositiva che non sa di esserlo non si cura, ma ha potuto infettare altre persone senza saperlo".

Sesso insicuro

"Abbiamo assistito negli anni a una grandissima riduzione dell'infezione tra i tossicodipendenti, anche grazie al lavoro grandioso fatto dai Sert", racconta la responsabile del COA. "Ora l'infezione in Europa occidentale, e anche in Italia, si trasmette quasi esclusivamente attraverso i rapporti sessuali. E' facile che uno non si percepisca a rischio, che pensi che l'Hiv sia un problema confinato ai tossicodipendenti, agli omosessuali, alle prostitute, agli stranieri. Questa falsa idea che l'infezione riguardi solo certi gruppi spiega perché le infezioni hanno smesso di calare. I dati ce lo dicono chiaramente, una quota enorme di persone scopre la propria sieropositività molto tardi perché non aveva mai pensato di fare un test. E nel frattempo ha avuto rapporti non protetti, ponendo a rischio di infezione altre persone".

Ritorno alla vita

Il vero punto di svolta nella cura della malattia si è avuto con l'introduzione dei primi farmaci antiretrovirali che hanno enormemente allungato la sopravvivenza dei sieropositivi. "Negli anni '80-'90 si moriva entro un anno dalla diagnosi di AIDS, le nuove terapie hanno cambiato la storia. Una persona che scopre di essere sieropositiva presto, ha un'attesa di vita quasi uguale a quella di un non sieropositivo, parliamo di una sopravvivenza di altri 30-40 anni". L'infezione rimane letale, dalla malattia non si guarisce, ma i farmaci hanno fatto molto per rallentare la progressione del virus e della malattia.

Obiettivo infezioni zero

4.000 nuovi casi all'anno sono ancora troppi, vogliono dire 10 nuove infezioni al giorno. "Il nostro obiettivo è quello di far sparire le nuove infezioni da Hiv, passando per una fase di controllo con numeri più bassi", spiega Suligoi. "Con il test gratuito e la terapia e l'assistenza gratuite speravamo di vedere una riduzione a livelli più rapidi. L'Hiv entra in una congerie di infezioni sessualmente trasmesse, favorite dall'infezione da Hiv o che favoriscono la circolazione di infezioni in chi ha già lesioni a livello genitale. Condilomi, herpes, sifilide, gonorrea, clamidia sono molto diffuse nel nostro paese. Dobbiamo imparare ad affrontare il sesso in modo sereno ma responsabile", ammonisce Suligoi, "capire finalmente l'importanza assoluta dell'uso del preservativo per i rapporti non stabili".

Quando le chiedo come mai non ci siamo ancora arrivati anche se negli ultimi 20 anni a me sembra di aver assistito a un bombardamento di questo concetto da tutti i lati, mi risponde che la resistenza verso l'argomento è ancora alta. "Non se ne parla volentieri in famiglia e in ambito scolastico. Insegnanti e genitori sono ancora reticenti, per questo il fatto di usare il preservativo non diventa un atteggiamento normale come quello di mettere la cintura in auto. Il costo dei preservativi non aiuta moltissimo: anche se sono ormai disponibili ovunque, per gli adolescenti restano comunque cari". E poi c'è un problema di atteggiamento dei giovani verso l'uso del condom. "In alcuni studi che abbiamo fatto sugli adolescenti ci è capitato di sentirci rispondere: io nel primo rapporto con un nuovo partner il preservativo non lo uso, perché sarebbe una dimostrazione di mancanza di fiducia".

Dal test alla terapia: tutto gratis

Attualmente si può comprare il test salivare, come quello fatto dai ragazzi all'uscita dalla discoteca in Versilia, in farmacia, senza prescrizione. "Siccome questi test non sono precisi quanto quello del sangue", avverte Suligoi, "se è negativo ok, se invece è positivo c'è un margine di errore nella risposta, potrebbe trattarsi di un falso positivo, perciò è bene cercare una conferma con il test del sangue. Questo si può eseguire in moltissimi centri presso strutture ospedaliere in tutta Italia. Il test del sangue è gratuito e anonimo e non richiede prescrizione medica". Qui trovate un elenco aggiornato per regione con numeri di telefono e indirizzi delle strutture dove poter effettuare il test, mentre il numero verde per avere informazioni sull'Aids e sulle infezioni trasmesse per via sessuale è 800-861061 (operativo da lunedì a venerdì dalle 13 alle 18).

Che succede se l'esito del test è positivo? "Bisogna rivolgersi a uno dei centri per la cura delle malattie infettive, gli unici che possono trattare questi casi, per la disponibilità di strutture e macchinari specializzati. Lì il paziente è preso in carico, si svolgono indagini per valutare lo stato di avanzamento dell'infezione e decidere che tipo di terapia il paziente può prendere. Da quel momento in poi sarà seguito da quel centro in modo gratuito".

Sul fronte della terapia si sta lavorando per ridurre il numero di dosaggi giornalieri. "Nel 2000 un sieropositivo poteva trovarsi a dover prendere fino a 18 compresse al giorno", racconta la responsabile del Centro Operativo Aids. "Oggi spesso si uniscono più farmaci, che si combinano fra di loro per rallentare la replicazione del virus, in una stessa compressa. Sono allo studio farmaci somministrabili ancor meno frequentemente, magari una volta sola a settimana oppure una volta al mese o addirittura ogni tre mesi, con i cerotti. Purtroppo gli antiretrovirali sono un po' come gli antibiotici: se non si segue la terapia in modo accurato questa potrebbe non funzionare, l'aderenza alla terapia deve essere totale. Per questo diminuire la frequenza delle dosi è un obiettivo importante".

E il vaccino? "Se ne parla da vari decenni ma ancora non si è giunti a un risultato efficace. Tutti queli finora studiati non hanno l'efficacia attesa. Si sta cercando di capire se si può abbinare al vaccino una sostanza immunostimolante. Fino ad ora per quel che riguarda il vaccino protettivo da fare ai sani siamo lontani dall'obiettivo. Ma anche per il vaccino terapeutico che dovrebbe servire per migliorare la situazione clinica del paziente e ridurre l'infettività, non ci siamo ancora. Diciamo che non è il vaccino la nostra speranza a medio termine, dobbiamo basarci su altri strumenti".

Evitare l'inevitabile

Ma alla fine, nonostante gli antiretrovirali che hanno allungato di molto il tragitto e migliorato la qualità della vita dei pazienti sieropositivi, alla malattia si arriva per forza? "Man mano che si va avanti e la patologia peggiora o il paziente dovesse sviluppare delle resistenze a qualcuno degli antiretrovirali, ci sono protocolli con farmaci che vengono personalizzati sulle caratteristiche del paziente. Arrivati all'Aids conclamato il paziente si ammala di altre infezioni, linfomi, tubercolosi, malattie infettive, e per curarlo si fanno terapie specifiche per quelle patologie, ma a quel punto è il sistema immunitario che non ce la fa più. L'esito è ancora oggi la morte". Vista però l'efficacia delle terapie antiretrovirali e l'aumento dell'aspettativa di vita, è probabile che in futuro non sia più l'Hiv a determinare il decesso delle persone sieropositive, ma piuttosto altre malattie dell'anziano, come nel resto della popolazione.

Per saperne di più

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Marta Buonadonna