I pasticci del signor Boschi
Il padre del ministro fu indagato per estorsione. In un'inchiesta archiviata dal pm del crac di Etruria. Che al Csm aveva giurato di non conoscerlo
Ecco il testo integrale dell'inchiesta di copertina di Panorama sulle indagini del pm Rossi (poi archiviate) che hanno coinvolto papà Boschi. L'inchiesta ha consentito la riapertura di un'istruttoria sul pm, prima archiviata (come spieghiamo qui).
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Da giorni, il tormentone giudiziario che inzacchera la politica italiana è sempre lo stesso: "Papà Boschi sarà indagato?". Il riferimento è all’inchiesta sul fallimento di Banca Etruria. E al ruolo che in quel crac avrebbe avuto Pier Luigi Boschi: dal 2011 consigliere d’amministrazione dell’istituto aretino, poi membro del comitato esecutivo e infine vicepresidente dal 2014 fino al febbraio 2015.
Un accostamento che reca più di qualche imbarazzo alla "figliola" Maria Elena, ministro delle Riforme, già costretta a misurate prese di distanza mentre si sta avvicinando la delicata discussione al Senato della mozione di sfiducia al governo, prevista per martedì 26 gennaio e presentata da Forza Italia, cui si è aggiunta il 19 gennaio una mozione presentata dal Movimento 5 stelle: "Se mio padre venisse indagato" ha dichiarato l’11 gennaio il ministro "come qualunque altro cittadino dovrebbe trovarsi un avvocato, e seguire ovviamente tutta la vicenda, ma questo non avrebbe un impatto su di me".
L'inchiesta del 2010
Una trafila che l’ex vicepresidente di Banca Etruria, suo malgrado, ha già sperimentata esattamente sei anni fa. Panorama è in grado di rivelare i dettagli di un’inchiesta della Procura di Arezzo in cui il padre del ministro è stato indagato prima per turbativa d’asta e poi per estorsione. Un procedimento penale aperto nel gennaio 2010 e concluso nel novembre 2014 grazie a una serie di archiviazioni, sollecitate da Roberto Rossi: lo stesso pubblico ministero oggi divenuto procuratore della Repubblica della città toscana e titolare del fascicolo su Banca Etruria nonché consulente, dal novembre 2013 allo scorso dicembre, per gli affari giuridici dei governi Letta e Renzi, cioè lo stesso esecutivo di cui fa parte Maria Elena Boschi.
L’indagine ricostruita da Panorama vede Pier Luigi Boschi, più di sei anni fa, nelle inedite vesti di mediatore immobiliare. Si tratta di una vicenda che, alla luce degli ultimi episodi che lo hanno visto protagonista, confermano la propensione di Boschi senior a finire invischiato in vicende poco trasparenti. E la sua tendenza a farsi consigliare da persone di discutibile fama, come svelato dal quotidiano Libero, dal sedicente massone e agente segreto Valeriano Mureddu al faccendiere Flavio Carboni, a processo come presunto capo della P3: a loro e a Gianmario Ferramonti, vecchio amico di Licio Gelli, Boschi chiese aiuto per la nomina del nuovo direttore generale nel pieno della bufera sull’istituto di credito. Che finora gli è costata una sanzione di 144 mila euro, comminata dalla Banca d’Italia nel novembre 2014 per la "mala gestio" della cassa aretina. Multa alla quale si potrebbe aggiungere tra poco un’ulteriore, salatissima sanzione, dopo le dieci nuove contestazioni mosse da via Nazionale.
Il socio "legato alla 'ndrangheta"
Nell’inchiesta della Procura di Arezzo partita nel 2010, il padre del ministro si trova coinvolto in un girone assai fosco: socio di un imprenditore calabrese dipinto dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze come "legato alla ‘ndrangheta", promotore e garante di un affare milionario su cui si allunga l’ombra del riciclaggio, accusato di aver ricevuto in nero 250 mila euro per la vendita di un podere. Circostanze che non sono approdate ad alcun processo. Un anno fa Boschi è uscito di scena. Lasciando però dietro, come confermato a Panorama da chi prese parte a quell’affare, molte domande ancora senza risposta.
La Fattoria di Dorna
"Procedimento penale 499/2010" dettagliano gli atti dell’inchiesta, intestata a "Boschi più 8": nove persone indagate per turbata libertà degli incanti e riciclaggio. L’asta oggetto delle verifiche è la cessione della "Fattoria di Dorna" di Civitella Val di Chiana, a pochi chilometri da Arezzo: 303 ettari di terreno, tra vigneti, oliveti, seminativi e boschi. E 12 immobili: un edificio padronale, sette case coloniche e quattro fabbricati. È una grandissima tenuta, posseduta dall’Università di Firenze. Che nel luglio 2005 la mette all’asta: la base di gara è 9 milioni di euro. La proprietà viene poi venduta più di due anni dopo, il 12 ottobre del 2007. Ma con una trattativa privata. Così la "Fattoria di Dorna" è acquistata dalla "Valdarno superiore società cooperativa agricola", su iniziativa del presidente del suo consiglio d’amministrazione, Pier Luigi Boschi.
Il prezzo è d’occasione: 7,5 milioni. La cifra, annoterà la Guardia di finanza di Arezzo, è notevolmente inferiore rispetto ai valori di mercato. È sopratutto più bassa rispetto a precedenti offerte ricevute dall’ateneo fiorentino. La cooperativa guidata da Boschi si aggiudica comunque il lotto, dichiarando però di "partecipare per sé o persona da nominare". L’indicazione dell’acquirente avviene il 9 novembre 2007: il preliminare e il successivo rogito saranno sottoscritti dalla "Fattoria di Dorna società agricola". Un’impresa ufficialmente nata poco dopo, il 29 novembre 2007, di cui è socio al 90 per cento lo stesso Boschi.
Le altre quote sono invece in mano a Francesco Saporito, un imprenditore immobiliare originario di Petilia Policastro, in provincia di Crotone. È proprio il suo ingresso in un affare così importante, assieme a moglie e figli, a mettere in allerta gli inquirenti. Sempre la Finanza, in un’informativa inviata alla Procura di Arezzo il 21 gennaio 2010, descrive i Saporito come "soggetti che risulterebbero essere i referenti nella provincia di organizzazioni malavitose riconducibili alla ‘ndrangheta".
Una successiva nota dei finanzieri, del 5 febbraio 2010, dettaglia altri investimenti milionari della famiglia calabrese: fabbricati, uliveti e terreni. "Gli esigui redditi della famiglia non sono sufficienti ad affrontare uno solo degli innumerevoli acquisti" analizza l’informativa, che "ipotizza sistematiche operazioni di riciclaggio", visti anche "gli importanti precedenti penali dei compenti della famiglia". E sottolinea addirittura la circostanza di un "tentativo di omicidio in capo a Saporito Mario", il figlio di Francesco.
Il ruolo attivo di Boschi senior
Eppure Boschi senior non si lascia impensierire dalla fama dei Saporito. Anzi, è proprio lui a proporre al capofamiglia di costituire la «Fattoria di Dorna» società agricola. Lo sostiene lo stesso Francesco Saporito, interrogato il 21 aprile 2010: "Un compaesano che conosco da 40 anni mi presentò a tale Pier Luigi Boschi, che era il presidente della Cantina Valdarno superiore. Mi informò che dei terreni di Dorna, che la sua cooperativa aveva in affitto erano in vendita. E mi prospettò l’idea di costituire una società tra me e lui, per acquistare l’intero complesso. Boschi mi disse anche che, per quell’operazione, la Cantina aveva già versato all’università 800 mila euro. Per questo, a novembre del 2007, costituimmo la Fattoria di Dorna con Boschi al 90 e io al 10 per cento".
Nei mesi seguenti, però, la quota del padre del ministro si ridurrà progressivamente. Fino al maggio 2009, quando Boschi esce dalla società per fare posto a Carmela Londino, moglie di Saporito. L’imprenditore calabrese racconta anche di aver ottenuto, per l’acquisto della fattoria, un mutuo agrario di quasi 4 milioni di euro dall’agenzia di Montevarchi del Monte dei Paschi di Siena e di esserci riuscito "grazie all’interessamento del Boschi". Il ruolo di Boschi sarebbe andato però anche oltre.
A Dorna c’erano 42 mila metri quadri di zona edificabile. "Mi assicurò che avrebbe fatto da tramite con la politica e i professionisti del posto" dice adesso Saporito a Panorama. "Mi fece incontrare due volte un sindaco. Ma nessuno mi ha mai permesso di toccare una pietra. Perché sono calabrese. E noi calabresi siamo tutti mafiosi. Appena ci sono stati i primi problemi, Boschi è sparito. Ho ipotecato tutto e m’hanno rovinato".
L'iscrizione nel registro degli indagati
L’ex presidente di Banca Etruria si adopererà però anche, come emerge chiaramente dall’inchiesta della Procura di Arezzo, per trovare persone ed enti interessati ad acquistare piccole parti dell’immenso podere rilevato con Saporito. E proprio per una di queste compravendite che il procuratore Rossi, a febbraio del 2013, iscrive l’ex vicepresidente di Banca Etruria nel registro degli indagati con l’accusa di estorsione, in concorso con Tulio Marcelli, presidente in Toscana della Coldiretti, l’associazione per cui Boschi senior ha lavorato a lungo.
Come emerge dalle carte investigative, sarebbe stato proprio Marcelli a presentare Boschi a M.A., possibile acquirente di un podere. Ma il numero 1 dell’associazione toscana degli agricoltori, contattato da Panorama, svicola: "È una vicenda in cui ho avuto un ruolo del tutto marginale" dice. "Dell’inchiesta mi aveva parlato Pier Luigi, di cui sono amico. Ma non sapevo nemmeno di essere stato indagato". È Marcelli però, racconta M.A. sentito dagli investigatori il 17 marzo 2010, a prospettargli l’acquisto di un podere di due ettari. Per questo, lo mette in contatto con Boschi, "come rappresentante della cooperativa agricola “Fattoria di Dorna”. M.A. nell’interrogatorio chiarisce: "Lo stesso Marcelli mi rappresentò le richieste di Boschi e del suo socio, Saporito: mi venne richiesta la cifra di 480 mila euro. Con la specifica che, di questa cifra, 270 mila euro dovevano essere dati in contanti". Dopo una contrattazione, il prezzo viene abbassato a 460 mila euro.
Il 19 dicembre 2008, nello studio del notaio Fabrizio Pantani di Arezzo, si procede dunque all’atto: il prezzo indicato è di 210 mila euro. "La differenza tra l’importo rogitato e quello effettivo, pari a 250 mila euro" rivela M.A. "fu consegnata da me nelle mani del Boschi Pier Luigi. Io manifestai il mio dissenso rispetto a un’operazione da cui non traevo nessun beneficio. Ma il messaggio, arrivatomi tramite il Marcelli, fu che questa era la condizione “sine qua non” per la vendita".
Una versione confermata agli inquirenti da M.D.B., la compagna di M.A., interrogata l’8 luglio 2010: "Prima del rogito, in un incontro avvenuto ad Arezzo nello studio del Marcelli, il Boschi disse testualmente che “i soldi hanno un colore”. La frase, al momento, non ci disse nulla. Ma poi la ricollegammo a un altro episodio. Marcelli ci disse che per concludere l’affare avremmo dovuto versare 250 mila euro in contanti, come pagamento in nero". E, sentito nuovamente dai finanzieri il 21 aprile 2010, M.A. aggiunge: "La dazione del denaro al Boschi avvenne nello studio di Marcelli ad Arezzo, in via Veneto, a cui si accede entrando dal portone adiacente il Bar Magi. Eravamo presenti solo io, Boschi e Marcelli".
Le prove dei finanzieri
"I soldi hanno un colore": nero, quindi. I finanzieri, il 24 marzo 2010, durante una perquisizione a casa dell’acquirente, ritengono di aver trovato le prove: "Per mia garanzia, feci le fotocopie delle banconote consegnate al Boschi, che avete rinvenuto nella mia abitazione" riferisce M.A. Lo stesso giorno i finanzieri perquisiscono casa Boschi, a Laterina: sequestrano una cartellina gialla e un assegno di 95 mila euro emesso da Saporito e intestato alla Valdarno superiore. Poi bussano alla porta proprio della cooperativa diretta da Boschi, dove requisiscono altri documenti.
"Asserita la dazione dei 250 mila euro in contanti nelle mani del Boschi", analizza l’informativa del 22 aprile del 2010, firmata dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Arezzo, resta però un mistero: dove sono finiti i soldi? Saporito nega, nel suo interrogatorio, versamenti in contanti. E la nota investigativa esclude anche che quei soldi "siano la parte in nero" dell’affare.
Dove sono finiti dunque quei 250 mila euro? Rossi, il 4 febbraio 2013, chiede l’archiviazione dall’accusa di turbativa d’asta in carico ai nove indagati: oltre al padre del ministro, la famiglia Saporito e tre acquirenti dei terreni. Lo stesso giorno, il magistrato iscrive nel registro degli indagati Boschi e Marcelli per estorsione: parte offesa, in questo processo-stralcio, è proprio M.A., che ha dichiarato di essere stato costretto a pagare 250 mila euro.
Tre settimane dopo, il 21 febbraio 2013, comincia la travolgente ascesa politica di Maria Elena Boschi, eletta deputato del Pd. Nel luglio di quello stesso anno, intanto, Rossi è nominato consulente del governo. Ed è proprio la Procura di Arezzo, di cui allora Rossi è reggente, a organizzare nell’Auditorium di Arezzo, il 24 ottobre 2013, un convegno dal titolo: "Cultura della prevenzione per una crescita ecosostenibile". Oltre a Rossi, al convegno partecipano Andrea Orlando, ai tempi ministro dell’Ambiente, e l’onorevole Maria Elena Boschi, figlia di Pier Luigi, allora indagato per estorsione. Ma pochi giorni dopo, il 7 novembre 2013, Rossi chiede l’archiviazione per papà Boschi. L’accusa di aver ricevuto quei 250 mila euro in nero rimane però un enigma: Boschi, come confermato a Panorama dallo studio legale Fanfani, che difende l’ex vice presidente di Banca Etruria, non ha mai sporto querela per calunnia.
A questo punto, però, la logica si incrina. Per la Procura quella dazione non è stata un’estorsione. Allora perché il magistrato non ha indagato Boschi per evasione? Lo riteneva, al contrario, vittima di infamanti accuse? Allora avrebbe dovuto procedere d’ufficio contro M.A., accusandolo di calunnia. Ma questo non è successo. Il dubbio, quindi, rimane intonso: dove sono finiti quei 250 mila euro? Panorama ha tentato di chiedere ragguagli al procuratore Rossi. Il magistrato ha opposto un cortese ma fermo rifiuto: "Mi scusi, non posso parlare. Cerchi di capire il momento" dice mentre porge la mano. "Veramente volevamo chiederle di una vicenda legata al padre di Boschi...". Mezzo sorriso di circostanza: "Peggio ancora". Poi Rossi sparisce nel suo ufficio. Mentre nell’aria continua ad aleggiare il mistero dell’ennesimo pasticcio di papà Boschi.