I poteri del presidente della Repubblica in Italia
ANSA/ANGELO CARCONI
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I poteri del presidente della Repubblica in Italia

Mattarella potrebbe diventare il prossimo capo dello Stato. Ma quali sono i poteri della presidenza? Chi è il vero sovrano d’Italia?

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Si approssima l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale. Al netto del terremoto politico che la forzatura del premier Matteo Renzi potrebbe provocare o, al contrario, al netto della pax renziana che potrebbe scaturire dalla sua abile mossa di scacchi, è opportuno ricordare alcune caratteristiche che fanno del presidente della Repubblica una figura ancora poco conosciuta. La massima carica dello Stato, come noto, ha i seguenti poteri accordatigli dalla Costituzione: nomina la squadra di governo, i senatori a vita e cinque giudici costituzionali; può sciogliere le Camere o una di esse; può indire referendum, ratificare i trattati internazionali, dichiarare lo stato di guerra, può concedere la grazia e commutare le pene, può promulgare le leggi o rinviare alle Camere quelle che non condivide. Oltre a ciò, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio Supremo di Difesa in quanto comandante delle Forze Armate.

 Tra queste prerogative presidenziali, solitamente gli argomenti più gettonati quando si vuol criticare un capo dello Stato, sono due: il potere di veto sulla promulgazione di una legge, noto come “potere di rinvio alle Camere”; e quello relativo alla nomina del presidente del Consiglio, anch’esso prerogativa esclusiva del Capo dello Stato. Spesso si dice, “Perché il presidente ha firmato quella legge? Avrebbe potuto rimandarla alle Camere!”. Un leit motiv che accompagna ogni inquilino del Quirinale dal 1948 in poi. In proposito, la Carta recita: “Il Presidente della Repubblica prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.

 

Il rinvio di una legge alle Camere

La questione dell’opportunità e del reale valore di questa facoltà, normata dall’articolo 74 della Costituzione, è dibattuta sin dai tempi della Costituente, quando il caso animò il dibattito tra i padri costituenti e vide una forte opposizione anche di alcuni socialisti e comunisti, che non volevano in nessun modo dare al Presidente della Repubblica tale facoltà. Il ragionamento era pressappoco che il rinvio alle camere presidenziale avrebbe “compromesso l’autonomia del parlamento e della maggioranza popolare in esso espressa”. Si diceva: “Per quale ragione, se non per accrescere le possibilità di un conflitto, noi dobbiamo far intervenire un elemento estraneo [il Presidente] … all’organo legislativo supremo del Paese [le due Camere]?”. Il timore dei costituenti era di una potenziale deriva verso il semi-presidenzialismo, ancora oggi argomento di cogente attualità.

 Dopo una lunga e animata discussione, il relatore dell’emendamento finale all’articolo si espresse sostanzialmente in questo modo: “Il presidente deve firmare tutto”. E così fu. L’altro articolo che ne scaturì, il 73, recita infatti: “Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione”. Ora, se seguiamo il ragionamento di chi giudica un Presidente della Repubblica dall’applicazione dell’articolo 74 della Costituzione, e dunque dal numero di rinvii alle Camere, non possiamo che dedurne che il miglior capo dello Stato repubblicano sia stato Francesco Cossiga. Cossiga, presidente della Repubblica dal 1985 al 1992 ha, infatti, il primato assoluto sui rinvii alle Camere, avendone fatto uso ben 22 volte. Seguono a distanza: Carlo Azeglio Ciampi (8), Sandro Pertini (7), Oscar Luigi Scalfaro (6).

 


La questione del reale valore dei poteri del Presidente è dibattuta sin dai tempi della Costituente

 

L’ormai presidente emerito Giorgio Napolitano, ha sempre preferito non fare uso del potere di veto e rinvio, ma applicare la moral suasion, ovvero la persuasione e la diplomazia. Fatto consuetudinario della sua doppia presidenza che, secondo logica, ne fa non un presidente autocratico ma un capo dello Stato che affida la responsabilità delle leggi al solo Parlamento, proprio come chiedevano alcuni padri costituenti. Tutto questo, stante il fatto che se anche il capo dello Stato non firma una legge e rinvia alle Camere con messaggio motivato, poi le Camere possono approvare nuovamente quella legge e il presidente a quel punto non può più nulla. Recita l’art.74 “Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.

 

La nomina del presidente del Consiglio
Veniamo alla questione della nomina presidenziale del presidente del Consiglio. La Costituzione stabilisce, all’articolo 92, che “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Prima di assumere le funzioni, però, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento e ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento, come prescritto dagli articoli 93 e 94 della Costituzione. Ecco che il potere decisivo torna in mano alle Camere.

 Ne consegue che, nonostante la vulgata lasci immaginare una nomina diretta dal voto popolare, il premier – termine peraltro inesatto per il primo ministro italiano – è incaricato a governare solo ed esclusivamente dal capo dello Stato su indicazione dei gruppi di maggioranza in Parlamento, che confermano o meno la loro disponibilità a votare la fiducia.

 Chi muove la critica, pur legittima, a Giorgio Napolitano sulla decisione di aver nominato ben tre presidenti del Consiglio “senza passare per il voto popolare”, dimentica che il popolo ha già votato un Parlamento e che è stato quello stesso Parlamento autorizzato dal voto popolare a dare la fiducia a Mario Monti prima e a Enrico Letta e Matteo Renzi poi.

 

Il parlamento organo supremo
Si può discutere all’infinito sull’opportunità di talune mosse di un Presidente della Repubblica e si può discutere anche sull’infallibilità di pesi e contrappesi e sulle garanzie previste dalla Costituzione. Tuttavia, non si deve mai dimenticare che il popolo e la Carta costituzionale affidano la sovranità delle leggi al Parlamento (non a caso siamo una Repubblica parlamentare), mentre il capo dello Stato, in qualità di garante, è limitato dal Parlamento stesso nell’esercizio delle sue funzioni.

 In conclusione, se e quando un capo dello Stato agisce male – è successo e succederà ancora – spetta al Parlamento far valere tutto il potere che la Costituzione gli riconosce e agire per il bene del popolo e della Repubblica. Cosa che, talvolta, gli elettori dimenticano e che gli stessi parlamentari fingono di non sapere per opportunità politica.

 Il “sovrano” della Repubblica, che opera in nome e per delega del popolo (il vero teorico sovrano), è in verità il Parlamento. È infatti l’Assemblea legislativa ad avere la responsabilità e il dovere di far funzionare la macchina istituzionale, ad essa spetta il compito di nominare il presidente della Repubblica, come vediamo accadere in questi giorni, ed è dunque il dominus indiscusso delle istituzioni italiane, quando sa esercitare una leadership ed esprimere una solida maggioranza. Ricordiamocelo la prossima volta che andremo a votare.

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Luciano Tirinnanzi