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Il decreto fiscale salva (per ora) i dirigenti senza concorso

Prorogate al 30 settembre 2017 le posizioni assegnate nell'Agenzia delle Entrate. Ma la vicenda è solo rimandata

Siamo ormai a meno di un mese dalla fine dell’anno e, com’era facile prevedere, i concorsi che la Corte Costituzionale ha chiesto di tenere entro il 2016 per sanare l’anomalia degli oltre 800 dirigenti arruolati senza concorso dall’Agenzia delle entrate non si sono svolti. Così, a partire dal 1° gennaio prossimo ci sarà una violazione evidente della sentenza della Consulta del marzo 2015 da parte di una delle più importanti amministrazioni dello Stato.

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Apparentemente la faccenda non sta turbando i sonni di nessuno, ma in Parlamento c’è chi se ne preoccupa. Nel decreto fiscale approvato qualche giorno fa è stata infatti inserita una norma di cui nessuno ha ancora parlato: una proroga dal 31 dicembre 2016 al 30 settembre 2017 delle posizioni operative a tempo (le cosiddette pot), che nei mesi scorsi sono state assegnate a una parte dei dirigenti decaduti, proprio per consentire loro di andare avanti nonostante la sentenza della Corte.

La novità non piace affatto ai sindacati dei dirigenti. "La norma inserita nel decreto fiscale" protesta il vicesegretario del Dirstat Paolo Boiano "dimostra che non c’è alcuna volontà di fare nuovi concorsi né ora né in futuro. Del resto già la restituzione delle vecchie deleghe a tanti dirigenti decaduti, avvenuta nei mesi scorsi con l’istituzione di centinaia di posizioni organizzative speciali, è in contrasto con la sentenza della Corte, che ordinava chiaramente di assegnare la reggenza ai più alti in grado, ossia senza la discrezionalità che continua a caratterizzare queste nomine".

Boiano non lo dice, ma poteva andare anche peggio. Durante la discussione del decreto fiscale il deputato della sinistra del Pd Marco Causi ha presentato un emendamento per aumentare il numero delle posizioni organizzative speciali (pos), altra formula usata per ovviare alla sentenza della Corte e che esiste solo all’Agenzia delle entrate, aprendo la strada a una stabilizzazione delle posizioni a tempo di cui sopra.

Se il tentativo fosse andato a buon fine non ci sarebbe stato più neppure bisogno della proroga, perché anche le pot sarebbero diventate permanenti. Invece l’emendamento è rimasto fuori dal testo finale, e questo dipende probabilmente anche dalla distanza sempre maggiore fra Matteo Renzi e la sinistra del Pd, vero sponsor dell’attuale direttore dell’Agenzia delle entrate Rossella Orlandi, cresciuta sotto l’ala del dalemiano ex ministro dell’Economia Vincenzo Visco. Fu proprio lui a suggerire la sua nomina al premier nel 2014, quando esisteva ancora un Pd, e non due come oggi.

Così, all’Agenzia delle entrate hanno dovuto accontentarsi del prolungamento di nove mesi delle posizioni organizzative a tempo, che è solo un rattoppo: a settembre sarà necessaria un’altra proroga. A quel punto però, secondo i piani di Matteo Renzi, alla guida dell’Agenzia non dovrebbe esserci più la Orlandi, ma il nuovo pupillo fiscale del premier, Ernesto Maria Ruffini. Ma attenzione: questo è lo scenario che prepara il presidente del Consiglio, la cui validità è assicurata solo se non sarà disarcionato da una sonora sconfitta al referendum. Diversamente anche per il governo della macchina fiscale, così come in tutte le questioni rilevanti della vita pubblica italiana, si apriranno scenari completamente diversi e assai difficili da prevedere.

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Stefano Caviglia