Il dialogo con Madrid nel futuro della Catalogna
Dopo il voto del 21 dicembre l'unica strada tra indipendentisti e unionisti resta quella della trattativa politica
La storia della Catalogna, e della Spagna, ricomincia dal 22 dicembre. Dal day after elettorale. Perché se tre partiti pro indipendenza hanno raggiunto insieme la maggioranza (JUNTSxCat, Erc-CatSì e Cup), il primo partito del Paese è l’unionista Ciudadanos, il centrista che vuole restare legato a Madrid. Quindi, stallo?
Assolutamente no. Adesso la parola d’ordine deve essere “dialogo”. La Spagna esce comunque a pezzi dal voto, con un governo centrale che ha imposto la sua forza attraverso la tolleranza zero, una visione miope della situazione e tanta cattiva politica. Dal canto suo la Catalogna, che si ritrova ad aver incassato la maggioranza assoluta dei seggi (70 su 135) anche se non dei voti (è arrivata al 47,5 per cento), deve far conto sul fronte economico della fuga delle banche e del calo del turismo post dichiarazione di indipendenza unilaterale.
Cosa deve fare Madrid
Arrivare a un compromesso potrebbe essere il primo passo per superare l’impasse in cui è caduta Madrid. Anche se gli unionisti hanno ottenuto la maggioranza assoluta, la Spagna deve imparare che un vero stato democratico non si esaurisce nell’osservanza di questo diritto acquisito e che le leggi che l’hanno liberata da decenni di franchismo possono essere ancora cambiate. E poi cambiate ancora. Artefice in gran parte di questo immobilismo è stato il presidente Rajoy che ha ignorato la questione catalana non tenedo conto di rancori e ingiustizie storiche.
Nel 2010 la decisione del Tribunale Costituzionale spagnolo di annullare alcuni punti del nuovo Statuto di Autonomia, una sorta di costituzione della Catalogna, aveva inasprito gli animi dei catalani già duramente provati. Ma è nel 2012, che il governo di Madrid mostra ancora di più i muscoli: respingendo la richiesta di maggiore autonomia fiscale della Regione. L’atteggiamento definito più volte “legalistico e repressivo” con cui il governo ha fatto precipitare la situazione a partire da ottobre, deve ora mutare mettendo da parte quell’anima repressiva, appunto, e centralista che non riconosce le identità culturali di ogni singolo territorio che governa. Inoltre, l’appoggio dell’Europa alla causa Spagnola non è gratis e non è illimitato. Quindi, anche per Bruxelles il dialogo diventa fondamentale.
Cosa deve fare la Catalogna
Lo stesso vale per la Catalogna che non può esimersi dal dialogo. Il suo passato l’ha portata ad essere una delle regioni più ricche della Spagna, con una forte identità culturale e una propria lingua. Diventata “spagnola” nel 15 secolo, sotto i sovrani d'Aragona, tre secoli più tardi inizia a godere di una forte rinascita del nazionalismo catalano. Con l'avvento della Repubblica nel 1931, anno in cui le fu concessa particolare autonomia, durante la guerra civile spagnola diventa avamposto dell'antifranchismo perdendo però tutti i privilegi durante la dittatura. Poi nel 1978 la costituzione democratica le concede un alto livello di autonomia, dandole la possibilità di dotarsi di una propria polizia, i Mossos d'Esquadra.
Leggendo la Costituzione spagnola si evince che la concessione alle singole Comunità Autonome è caratterizzata, da una parte dall’ampio margine decisionale su materie come istruzione e sanità, ma dall’altra dall’enorme limite delle libertà su altre competenze, per esempio quelle fiscali, per cui la Regione si deve rifare al governo centrale. Adesso, con queste elezioni, Barcellona ha in mano un forte potere: quello di poter negoziare da protagonista la piena autonomia politica ed economica negata da Madrid. Può far valere il suo diritto all’autodeterminazione confermato con il voto del 21 dicembre, ma non può trasformare questo diritto in un programma politico. Questo errore gli costerebbe la libertà. Agli indipendentisti adesso viene richiesta una prova di ragionevolezza: negoziare per non dovere pagare il prezzo di un più duro colpo che subirebbe l’economia con l’isolamento da Madrid e dall’Europa.