Agostino cordova
News

Addio al “mastino” Agostino Cordova. Sua l’inchiesta sugli intrecci tra mafia, politica e massoneria

Già capo delle Procura di Palmi e di Napoli, è scomparso lo scorso 9 agosto nella sua casa di Pellaro, alle porte di Reggio Calabria: aveva 88 anni

Nominato a capo della Procura della Repubblica di Palmi nel 1987, fece scalpore una sua inchiesta su presunti intrecci tra mafia, politica e massoneria che portò al sequestro di tutti gli elenchi dei massoni del Goi.

Conobbi Agostino Cordova il 21 agosto del 2006 a Maratea, nel corso di una conversazione sul fenomeno camorristico tra ricerca socio-antropologica, analisi storica e cronaca giudiziaria.Il trasporto emotivo, quella sera, fu fortevisto che Cordova ripercorse, in meno di due ore, la storia della lotta alle consorterie criminali, a Napoli come nella sua Calabria. Esattamente quattro anni dopo, a Praia a Mare, in occasione della presentazione del libro della ricercatrice calabrese Antonella Colonna Vilasi dedicato al terrorismo, me lo ritrovai nuovamente almio fianco: aveva aderito al mio invito di averlo ospite e ripercorremmo anche la sua carriera giudiziaria iniziata nel 1963 come pretore, poi giudice a latere della sezione penale del Tribunale egiudice istruttore. La vicenda professionale di questo magistrato dall’aspetto apparentemente burbero ed accigliato,sigaro-munito-“ho un brutto carattere e non sono un diplomatico. Ma certa diplomazia è come una bellissima dama che suole avere intimi rapporti con il compromesso e generare brutti figli che si chiamano condizionamenti, apparamenti, come si dice in dialetto napoletano, o ricatti”, mi ripete ancora…- fa parte, ormai, della storia italiana dell’ultimo sessantennio. A partire da Reggio, dove diede vita, nel 1978, al primo vero maxiprocesso contro la ‘ndrangheta; per proseguire a Palmi, da Procuratore capo della Repubblica, indagando, dal 1987, sui legami tra politica e criminalità organizzata, denunciando di operare con disarmante scarsità di mezzi e subendo anche un procedimento innanzi al Consiglio superiore della magistratura per “incompatibilità ambientale”, poi archiviato. Proseguendo con le inchieste sui legami della criminalità organizzata con la massoneria deviata e la stessa Loggia P2, e sino alle vicende partenopee, al momento del suo insediamento nel 1993 come Procuratore capo, con una conduzione netta e senza sconti della Procura napoletana.

Ci risentimmo, non a caso, nella primavera del 2017, proprio nei giorni in cui si tornò parlare di massoneria, di logge deviate, di elenchi degli iscritti, di proteste e rifiuti.

Dopo che il suo nome, cioè, era ritornato prepotentemente alla ribalta il primomarzo di quell’anno quando, nel corso dell’audizione in Commissione parlamentare antimafia, lo storico Enzo Ciconte aveva rievocato la sua celebre inchiesta del 1992e la Presidente Rosy Bindi aveva inteso valutare la proposta di mettere mano al suo lavoro. Fuun fiume in piena, Cordova: «Dopo ben 25 anni, a parte qualche rarissimo caso di cui ignoro l’esito, sono tornate di attualità le indagini sulla Massoneria deviata:ignoro da quali elementi siano scaturite tali iniziative, ma auspico che abbiano effetto positivo, per evitare che poi avvenga quanto a me ripetutamente addebitato, cioè di avere instaurato un procedimento finito nel nulla, in quanto privo ab origine di fondamento. Ebbene, visto che, nell’assoluto silenzio generale, tali censure mi vengono ancora rivolte, ritengo necessario chiarire all’opinione pubblica come dette indagini siano iniziate e quale parte io abbia avuto nel loro svolgimento.Esse ebbero origine dalle dichiarazioni di alcuni pentiti, poi aumentati nel corso del procedimento, nonché da quelle di più numerose persone informate sui fatti, oltre che dalla collaborazione di numerose Procure: a titolo esemplificativo cito i pentiti Buscetta, Calderone, Messina, Mutolo che le resero proprio nel 1992 alla Commissione parlamentare antimafia, i cui verbali sono pubblici e reperibili anche su Internet;essi riferirono, fra l’altro, sui rapporti tra Massoneria e Cosa Nostra, su diversi procedimenti aggiustati tramite la Massoneria, sul procacciamento di voti mafiosi, sull’interesse comune di Cosa Nostra, politica e Massoneria per gli appalti, su una Loggia che aveva chiesto che due mafiosiper ogni provincia entrassero a far parte della Massoneria per influenzare pubblici personaggi. Anche nell’inchiesta Mani Pulite, 39 indagati erano massoni e 7 ex piduisti.Orbene, il procedimento fu iscritto a Palmi nell’ottobre 1992 contro ignoti e nel successivomarzo contro noti:lasciai quella Procura perché trasferito a Napoli nell’ottobre 1993, quindi me ne occupai formalmente solo per un anno, ma di fatto anche meno,in quanto le indagini subirono oltre tre mesi di ritardo per la mancata autorizzazione a custodire a Roma l’enorme numero di atti acquisiti, non essendovi a nella procura palmese locali sufficienti in cui custodirli: senza dimenticare la trattazione di altri importanti procedimenti, la riduzione dell’altrui attività nel periodo feriale, le mie audizioni nel 1993 al Consiglio Superiore della Magistratura con relativa relazione integrativa ed alla Commissione Parlamentare Antimafia, la predisposizione materiale del mio trasloco! Non va dimenticato che la stessa Procura di Palmi doveva occuparsi anche del gran numero dei procedimenti pretorili, per cui era stata istituita la Procura presso la Pretura circondariale ed erano stati nominati i magistrati ed il personale: ma proprio nel dicembre 1992, cioè due mesi dopo l’inizio del procedimento, questa Procura -non entrata ancora in funzione- fu soppressa, con l’effetto di un enorme aggravio di lavoro, tant’è vero che dei sei sostituti applicati per l’indagine sulla Massoneria, tre dovettero occuparsi degli altri procedimenti. Si sostenne, in quel periodo, che a causadelle indagini su di essastavo trascurando un gran numero di altri procedimenti: non è vero! I successivi sei applicati erano diversi dai primi, per cui dovettero esaminare ex novo gli atti. Questa è la verità».

Gli chiesi, a chiarimento, di quando due anni dopo, quell’incartamento investigativo venne inviato a Roma, e Cordova ricostruì, con dovizia di particolari, quel passaggio:

«Esatto: il procedimento fu trasmesso a Roma nel giugno 1994, dove venne archiviato nel 2000 su richiesta -nel dicembre 1997- deipubblici ministeri della capitale: ignoro ancora i motivi di tale trasmissione, che comunque non mi riguardano, ma posso solo rilevare che sia il Riesame che la Cassazione avevano confermato la competenza di Palmi in base all’art. 9 del Codice di procedura penale, e che sia i due pubblici ministeri romani che il Giudice per le indagini preliminari si chiesero il perché di tale trasmissione non essedo sopravvenuto alcun elemento nuovo. Lo ripeto:sitratta di argomento che non mi riguarda, così come quello relativo alle indagini svolte a Palmi dopo il mio trasferimento e poi a Roma. Il nuovo Procuratore si insediò a Palmi 12 giorni dopo l’anzidetta trasmissione.Nel provvedimento di archiviazione,la motivazione per 48 dei 63 indagati fu che“per tutti gli altri indagati, alcuni dei quali iscritti nel registro, per la consistenza del materiale loro sequestrato o per la loro dichiarata appartenenza massonica, non sono emersi elementi significativi e concludenti in merito ai reati ipotizzati”».

Soffrì molto, il “mastino”a proposito dellavulgata popolare secondo cui la sua inchiesta sulla Massoneria si fosse risolta in una bolla di sapone, e- ricordo bene- il tono della sua voce si indurì, con classiche espressioni dialettali calabresi:

«Glielo ripeto ancora: da quanto esposto si desume in maniera inconfutabile che avevo doverosamente, cioè obbligatoriamente, instaurato quel procedimento sulla base di concrete notizie di reato e non per mia mera invenzione ed avversione verso la Massoneria, e che potei occuparmene concretamente per meno di un anno, quando le indagini erano ancora quasi tutte nella fase ricognitiva: quel che accadde dopo nonavrebbe dovuto riguardarmi, pur nel generale silenzio calato sulla vicenda. Pertanto le continue ed assai singolari asserzioni di avere inconsistentemente instaurato un procedimento finito nel nulla sono completamente infondate: e l’avere fatto il proprio dovere, come talvolta accade, è stato per me controproducente. Forse, chissà perché, in quell’inchiesta avrei dovuto comportarmi come nella raffigurazione delle classiche tre scimmiette:non vedere, non sentire e non parlare? Aggiungo che proprio per quell’indagine, nel marzo del 1993 il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, si dimise da tale Obbedienza fondando la Gran Loggia Regolare d’Italia».

Per quell’inchiesta, Cordova venne, ovviamente, ascoltato in Commissione parlamentare antimafia, e il suo resoconto fu dettagliato: «Illustrai i fatti accaduti fino all’epoca nel corso della mia audizione del 9 luglio del 1993, facendo rilevare che la Legge Anselmi aveva solo in parte colmato il vuoto legislativo dovuto al fatto che l’articolo 18 della Costituzione vietassesic et simpliciter le associazioni segrete, per cui dovevano configurarsi due reati: l’associazione segreta di per sé e quello, più grave, previsto da detta legge per le attività illecite di interferenza nelle funzioni e nei servizi pubblici. Resta comunque il fatto che le associazioni segrete diverse da quelle classificate dalla Legge Anselmi siano vietate, ma non costituiscano reato: quindi, ad esempio, le logge coperte e mascherate come circoli culturali, pur essendo vietate dalla Costituzione,non lo sono dalla legislazione ordinaria, e si ignora, tutt’ora, come applicare tale divieto!».

Non possiamo dimenticare il primo vero procedimento per associazione di stampo ‘ndranghetistico nella sua Reggio Calabria di fine anni Settanta: «qualeGiudice istruttore, nel 1978 trattai il procedimento penale iscritto al ruolo con numero 60/‘78 nei confronti di Paolo De Stefano e cinquantanove affiliati, il primo del genere in Italia in materia di associazione mafiosa, basato su elementi esclusivamente documentali e deduttivi, quando ancora non era stato introdotto il reato di associazione di tipo mafioso -il 416 bis del codice penale- cosa che sarebbe avvenuta solo nel 1982. Quelprocedimento aveva riunito tutti quelli riguardantiinquisiti cui veniva contestato di appartenere alla ‘ndrangheta operante nel circondario, sotto il profilo del comune reato di associazione per delinquere di cui all’art 416 del codice penale, ma connotandolo con le tipiche modalità mafiose. Tale inquadramento fu poi mutuato dal legislatore nel formulare, quattro anni dopo, il reatoassociativo!».

La nostra conversazione tornò dolce nei toni quando ricordò di un importante encomio ricevuto per quel procedimento penale: «Nella lettera di commiato e di elogio del Procuratore Generale di Catanzaro, dott. Chiliberti, del 16 novembre del 1978, si dava atto fra l’altro che“a tacere di ogni altra benemerenza del dottore Cordova-che pure può vantare per la serietà ed il senso di responsabilità con cui si dedica al proprio compito- basterà citare, a titolo di merito non comune, l'avere istruito e portato a termine il ponderoso processo a carico di sessanta presunti mafiosi- [ omissis] - che costituisce elaborato pregevole sia nella parte espositiva che in quella più propriamente motiva, nella quale viene puntualizzato, con ammirevole scrupolo, la configurazione esposta in linea tematica. La sua opera, schiva di clamore, animata da grande forza morale, è da considerare esemplare servizio reso alla causa della giustizia”».

E a Palmi sarebbe divenuto, per tutti, “il mastino”, nonrisparmiandosi nella lotta alla ‘ndrangheta: «Definizioni giornalistiche a parte, non posso dimenticare che il 30 gennaio del 1989 il Procuratore Generale di Catanzaro dava atto che nella mia attività a Palmi avevo“dato un impulso veramente eccezionale all’ufficio nella lotta alla criminalità organizzata”.Tra i principali processi definiti, ricordo quello riguardante la cosca Pesce: 135 imputati di associazione mafiosa, traffico di armi e stupefacenti, voto di scambio, rapporti mafia-politica, sotto il profilo della mera violazione delle norme elettorali. Durante quel procedimento, poco prima di una delle elezioni politiche, disposi 180 perquisizioni nei confronti di persone indicate come affiliate o collegate alla ‘ndrangheta (ovviamente, non a candidati), informando anche la Procura di Locri che si associò disponendone contestualmente altre 120, che portarono al sequestro di imponenti quantitativi di materiale elettorale riguardante numerosi candidati di svariati partiti politici dell’arco costituzionale ed extracostituzionale. Proprio per effetto di tali indagini, e nonostante le immediate reazioni di rito, dopo pochi mesi, con il decreto legge 366/‘92 convertito in legge 3356/‘92, sarebbe stato introdotto l’art. 416 ter codice penale -scambio elettorale politico-mafioso-ed integratolo stesso art. 416 bis, nel senso che costituiva attività mafiosa il procacciamento di voti. Su iniziativa del Ministro Martelli, il reato fu limitato alla promessa di voti contro erogazione di somme di denaro e non contro scambio di contributi, concessioni, appalti, ecc., come prevedeva il disegno di legge: ebbene,fin da allora rilevai che era sufficiente riferirsi a “qualsiasi altra utilità” termine che fu aggiunto solo nel 2014, cioè dopo 22 anni!».

Gli chiesi se si sentisseancora “il mastino” di un tempo?

«Guardi, quel termine venne coniato a Palmi: altri tempi,altro ambiente lavorativo, altre motivazioni. Certo, non lo sono più nel fisico, ma lo spirito indomito che guarda al valore-Giustizia è quello di sempre, di chi ha fatto il proprio dovere istituzionale, sino in fondo, pagandone spesso conseguenze sul piano professionale e personale. E’ difficile trattenere le emozioni di quei ricordi».

I più letti

avatar-icon

Egidio Lorito