Il pragmatismo di Alexis Tsipras
La sinistra radicale ai tempi di Alexis Tsipras: dall’abbandono della lotta di classe al realismo per tenere a galla l’economia greca
Per Lookout news
Si insiste da più parti, nella stampa estera come in quella nazionale, nel definire il governo di Syriza come di “sinistra radicale”, non sapendo bene come maneggiare oggigiorno questa vetusta definizione. Forse meglio collocare Syriza nell’ambito di quella Nuova Sinistra nata – in Europa come negli States – dall’abbandono delle categorie ottocentesche della lotta di classe, per calarsi nel XXI secolo in cui è alla prova con la resistenza – variegata e trasversale, dai giovani all’intellettualità tecnica, ai membri di comunità locali, precari, disoccupati – contro le derive di un capitalismo che, reso libero da regole e tabù, applica senza scrupoli l’eugenetica del darwinismo sociale.
Da qui le lotte ambientaliste, animaliste, localiste, come quelle più politiche No global o Occupy Wall Street, tutte diffusesi in virtù dello scambio comunicativo offerto dalla rete globale Internet. Siryza è un agglomerato di queste forze cresciute con una spinta alla socialità che superasse le strettoie minoritarie e autoreferenziali che hanno fatto della Grecia l’ultimo Paese europeo in cui ha operato il terrorismo comunista con la 17 Novembre, e dove ha poi attecchito quello anarchico delle Cellule di fuoco.
Messa in soffitta l’ideologia del comunismo, che forniva già pronte strategia e tattica, occorreva inventarsi giorno per giorno, nell’orizzonte dato, la strada su cui camminare per conquistare un risultato concreto. Dove non c’è ideologia, c’è pragmatismo. Il risultato è oggi che il programma di governo di questa “sinistra radicale” non è poi così tanto radicale. Non prevede nazionalizzazioni, ad esempio. Non solo quella annunciata delle banche, ma neanche della Banca Centrale. Non sono più presenti l’uscita dalla NATO, il ritiro di tutte le truppe americane, come anche il ritiro di quelle greche dall’Afghanistan e dall’Iraq. Neanche il taglio delle spese militari o l’abolizione dei privilegi della Chiesa Ortodossa.
L’attuale forza dirompente degli obiettivi economici
Con la vittoria elettorale, Syriza ha messo da parte il massimalismo, malattia infantile del radicalismo. Ora il suo programma è concentrato su concreti obiettivi economici, e suo punto centrale è la ridiscussione del debito. Una ridiscussione politica, non tecnica, con i “killer economici” della Troika. Tsipras ha capito che questa è la battaglia centrale, attorno alla quale potranno semmai poi ruotare tutte le altre, accantonate per non offrire sponda ad attacchi che la mettano a rischio. Una battaglia che non è poi neanche tanto di sinistra. Se lo fosse, allora Obama sarebbe un comunista picconatore: “Quando hai una economia che è in caduta libera ci deve essere una strategia di crescita, e non semplicemente il tentativo di spremere sempre di più una popolazione che è sempre più rovinata”.
Dato che Obama non lo è, quella di Syriza non è una battaglia di per sé di sinistra, o destabilizzante, come alcuni hanno interessatamente avanzato. Lo scontro è tra i due diversi modi di affrontare la crisi del 2008, che ha poi messo in ginocchio i Paesi europei maggiormente esposti alla speculazione o con più alto debito (PIIGS). Da una parte, il modello tedesco basato sulla regolazione dei conti tramite tagli di spesa e salari e aumento delle tasse. Dall’altra, il modello che vede nella ripresa della crescita l’unico modo per ripianare i conti, dato che l’austerity comprime i consumi, e quindi la crescita, e quindi le tasse, e quindi aumenta il debito, in un circolo vizioso. Cosicché, 1 euro di austerità produce solo 0,4 euro di riduzione del deficit.
Il programma di Tsipras ha poco di radicale: non prevede nazionalizzazioni o tagli alla spesa militare
La battaglia politico-finanziaria sull’Europa
La Germania è per l’austerity. A questa prospettiva si oppongono in prima linea l’Inghilterra (che mal digerisce ovviamente un’Europa dominata dalla Germania) e ora anche la Banca Centrale Europea. Poi si sono aggiunte, in una ristabilita alleanza anti-germanica, la Francia e l’Italia, entrambe cooptate dagli inglesi. Cioè dai banchieri della City da cui, ancora prima delle elezioni, si era recato in visita Tsipras.
(Manifesto elettorale della campagna di Syriza ad Atene)
Chiaro l’intervento di Mark Carney, Governatore della Banca di Inghilterra nonché del Financial Stability Board del G-20, sulla necessità di rafforzare l’Europa con strumenti comuni in grado di ammortizzare le perdite, per non caricarle sul singolo Paese soggetto a una scossa localizzata.
Sia Mario Draghi che Carney (ma non solo loro) sono uomini della Goldman Sachs, ovvero la più potente banca d’affari mondiale che ha dato numerosi ministri del Tesoro agli Stati Uniti, e non solo a loro, ed è cassaforte di governi, multinazionali e loro board. Anche i vertici della Goldman Sachs hanno aspramente criticato l’austerity. La complessa battaglia geopolitico-finanziaria è allora tra un pezzo d’Europa – più BCE, Wall Street e la City – contro la corazzata Germania-BundesBank. Ed è una Bismarck, non una corazzata tascabile Graf von Spee.
Socialismo o sfascismo?
La piccola Grecia è oggi determinante pedina nella battaglia sulla guida dell’Europa. La sua ribellione alla Troika, e la sua richiesta di discussione sul debito, hanno spiazzato la Germania, proponendo una configurazione politica della Comunità opposta a quella grettamente fondata sulla forza incontrovertibile dei conti.
In piena coincidenza con la tradizione omerica, la Grecia è oggi un cavallo di Troia in una battaglia epocale per l’Europa. I Paesi che contrastano l’austera leadership tedesca vedono nell’appoggio a Tspiras un tassello per scardinarne la potenza, mentre Tsipras vede in questo scardinamento la possibilità di dare avvio a un’inversione politica di tendenza che favorisca una Nuova Sinistra in tutta l’Europa, per ridisegnarla in senso sociale. O socialista, che dir si voglia. Un disegno che metterebbe fuori gioco le forze delle destre anti-euro, che nulla possono proporre oltre lo sfascio che le porterebbe al potere. Ma che, se Syriza fallisse, avrebbero ulteriore slancio e giustificazione. A cominciare, per quanto concerne la Grecia, dai già forti neonazisti di Alba Dorata.
Il grande gioco geopolitico continentale
Ma la partita è ancora più epocale perché la posizione geografica pone la Grecia come il ponte tra Europa e Oriente. Il porto del Pireo, già per metà cinese, è hub per lo smistamento in Europa delle merci in arrivo attraverso Suez. Se nel prossimo futuro la Grecia sarà anche sbocco del gasdotto che Russia e Turchia hanno appena messo in cantiere, ne risulterà per l’UE un rilancio della partnership con l’altra metà d’Europa, rappresentato dalla Russia. Ne conseguirebbe una spinta verso una soluzione politica della crisi ucraina.
Dunque, la piccola Grecia è in questo momento al centro di un Grande Gioco geopolitico e geo-economico, vasto e pericoloso e di certo più grande di lei. Tsipras ha annunciato l’opposizione della Grecia alle sanzioni contro la Russia. Potrebbe essere soltanto uno strumento di pressione sulla Germania e, al momento, sarebbe meglio che altro non fosse. Mettere insieme il ridisegno politico della Comunità Europea e le sue alleanze strategiche, infatti, potrebbe segnare la fine dell’esperimento Syriza. Meglio procedere una tappa alla volta. Con la forza e l’astuzia di Ulisse.