Il referendum senza sconfitti
Come da tradizione anche per le trivelle tutti hanno vinto, e nessuno perso (secondo loro)
Come da tempo immemore ci ha abituato la politica, anche nel caso del referendum “antitrivelle”, a urne chiuse non ha perso nessuno. Nessun atto di contrizione, nessuna autocritica, nessun passo indietro o anche solo un silenzio d’opportunità. Perché anche di fronte a dati inequivoci che raccontano un’Italia quanto meno disinteressata al tema, coloro che avevano puntato tutto sullo smantellamento delle piattaforme a mare per l’estrazione di gas hanno levato uno stonato quanto puntuale canto di vittoria di pirrica memoria.
Prima ugola il governatore pugliese Emiliano, un ex magistrato scaltro ed ambizioso, con un’abilità unica nella calzata del piede in due (o più) scarpe. (Finto) cieco di fronte alle fogne che giornalmente scaricano nel mare della sua regione profluvi di liquami, ha preferito impegnarsi in una ben più remunerativa, nella logica della sua personale “guerra ibrida” al premier, intemerata per sollecitare i cittadini ad armarsi e partire contro i colossi dell’energia. Restando, invece, lui saldamente ancorato alla poltrona che oggi, visto il risultato, qualcuno dovrebbe sfilargli da sotto il togato sedere senza delicatezza alcuna.
A fare da coro, le voci bianche dall’Antoniano grillino da poco orfane del loro maestro Manzi. A questi , quantomeno, va riconosciuta la cocciuta ed ostinata coerenza nel vagheggiare un paese che esiste solo nelle favole raccontate dalla voce metallica di un computer cognitivo e raccolte nei server della Casaleggio ed associati. Un paese dove uno vale uno ed il resto mancia. Un paese dove il destino di un partito che, comunque sia, rappresenta milioni di elettori, viene deciso da trentamila abbonati ad un sito di scommesse, fino ad oggi quasi tutte perse. Poi il red carpet di attori, comici, cantanti e fini esegeti del pensiero unico chic-salottiero.
I vari Fazio, Crozza, Litizzetto e compagnia di giro (tondo) che supponiamo aver acquisito qualche laurea honoris causa in geologia da qualche ateneo compiacente per poter contrastare, anche scientificamente, l’avviso contrario del presidente, questo si titolato, dell’ordine dei geologi italiani. Ma più verosimilmente per continuare a perpetuare quel mondo di seta e frutta candita che gli consente di tele-imbonire il loro popolo, sovente dimentico dei pulpiti dorati dai quali questi predicatori filosofeggiano di etica ed estetica ad una comunità sociale trattata, prevalentemente, con la carta da vetro.
Last but not least, la minoranza PD con cespugli e dintorni dove, quanto meno, si salva Bersani grazie ad antiche frequentazioni con il mondo produttivo che gli devono essere valse una residuale fiammella di ragione.
In tutto ciò rimane appeso, anche esso alla polemica, il tema dei costi. 300milioni che andrebbero equamente trattenuti dalle buste paga di promotori e sostenitori del più inutile e pretestuoso esercizio di velleitario protagonismo popolare che la storia recente ricordi.
Ecco, questi sì sarebbe una bella tassa sul lusso. Quello che amano, in questo paese troppo spesso, concedersi i campioni dell’irresponsabilità.