Giulio Andreotti: i processi
Due i grandi procedimenti contro l'ex presidente del Consiglio: il primo a Palermo, il secondo a Perugia. Due processi, due assoluzioni
Nella sua lunga vita politica, Giulio Andreotti ha subìto due grandi processi, entrambi terminati con un’assoluzione. In tutti e due i procedimenti, l’ex presidente del Consiglio ha avuto al suo fianco come difensori l’avvocato Franco Coppi e Giulia Bongiorno. Un altro elemento lega i due processi: entrambi furono originati dalle testimonianze di Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia. Il 6 aprile 1993 Buscetta venne interrogato in Florida: e fu lì che il pentito parlò di uno «scambio» tra Andreotti e Cosa nostra. Va detto che 57 giorni più tardi Buscetta si smentì proprio sull'omicidio: «Badalamenti non mi disse espressamente che questo favore era stato richiesto da Andreotti, fui io a dedurlo». I processi comunque partirono, con grande clamore.
Il processo di Palermo.
Il principale processo ad Andreotti è stato quello che, a Palermo, lo vide imputato per associazione mafiosa. Il 27 aprile 1993 La Procura di Palermo chiese al Senato l'autorizzazione a procedere contro Andreotti per associazione mafiosa: fu concessa il 30 giugno 1994. La sentenza di primo grado, il 23 ottobre 1999, mandò assolto l’imputato «perché il fatto non sussiste». La sentenza di appello, il 2 maggio 2003, distinse invece tra il comportamento dell’imputato fino all’anno 1980 e in quelli successivi, e nelle motivazioni stabilì che Andreotti era colpevole di associazione mafiosa, «ma fino alla primavera 1980», e che quel reato però era da considerare «estinto per prescrizione».
I giudici della Corte d’appello di Palermo nelle loro motivazioni scrissero che era esistita «un'autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell'imputato verso i mafiosi fino alla primavera del 1980». Per i fatti successivi, invece, Andreotti venne assolto. Il 15 ottobre 2004 la Cassazione confermò la sentenza di secondo grado.
Il processo di Perugia.
Andreotti è stato processato a Perugia, invece, come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, ucciso per strada a Roma, a colpi di pistola, il 20 marzo 1979. Il 14 aprile 1993, dopo la testimonianza in cui Buscetta aveva dichiarato che il boss Gaetano Badalamenti gli aveva a sua volta raccontato che l'omicidio era stato «commissionato dai cugini Nino e Ignazio Salvo per conto di Giulio Andreotti», il quale avrebbe avuto paura che Pecorelli pubblicasse informazioni che avrebbero potuto distruggere la sua carriera politica, Andreotti venne iscritto nel registro degli indagati a Roma, poi il processo passò a Perugia perché tra gli indagati c’è l’ex magistrato Claudio Vitalone. Il 20 luglio 1995 cominciò il processo di primo grado.
Pecorelli, direttore del periodico «Osservatorio politico» (Op), in passato aveva effettivamente pubblicato più volte notizie ostili ad Andreotti, come quella sul mancato incenerimento dei fascicoli del servizio segreto Sifar sotto la sua gestione al ministero della Difesa. E aveva poi disposto anche una vera campagna di stampa sui finanziamenti illegali della Democrazia cristiana, il partito di Andreotti. Inoltre, aveva rivelato presunti segreti sul rapimento e sull'uccisione dell'ex primo ministro Aldo Moro, assassinato nel 1978 dalle Brigate rosse. Il punto più controverso, quello che secondo gli inquirenti aveva portato al delitto, era stato una storia di copertina di Op intitolata «Gli assegni del Presidente», con l'immagine di Andreotti: Pecorelli, però, aveva accettato di fermare la pubblicazione del giornale quando ormai era già in stampa.
Il 24 settembre 1999 la Corte d’assise di Perugia prosciolse Andreotti perché non aveva commesso il fatto. Andò diversamente in secondo grado: il 17 novembre 2002 fu condannato a 24 anni di carcere come mandante dell'omicidio. Il 30 ottobre 2003, però, la Cassazione annullò la condanna di appello e rese definitiva l’assoluzione di primo grado.