Mameli nelle scuole e la Lega Nord sul Po
La battaglia del Carroccio contro l'Italia unita non merita commenti. Solo il disprezzo del silenzio
La Lega Nord, con la nuova sortita contro l'inno di Mameli insegnato per legge nelle scuole, conferma il grande aforisma di Karl Kraus "Le conversazioni dal parrucchiere sono la prova inconfutabile che le teste servono per i capelli."
È esattamente così. Qualcuno ha la testa solo perché ha qualche capello.
La polemica scoppiata in questi giorni in quel di Montecitorio ci racconta un Carroccio ancora arroccato con la vecchia liturgia del "Bossi-pensiero" quello del Dio Po', del tricolore nel cesso e altre antiche amenità in salsa padana.
La nuova Lega lanciata da Bobo Maroni, quella 2.0, e' caduta ancora una volta nella mitologia padana del vecchio leader.
A scatenare la furia dei deputati leghisti e' un ddl approvato in via definitiva al Senato, in cui si istituisce la “Giornata dell’Unità della Costituzione e l'insegnamento dell’inno di Mameli nelle scuole".
In un Paese normale non ci sarebbe neppure bisogno di fare alcun dibattito parlamentare, da noi le cose vanno diversamente. Inutile analizzare le ragioni storiche di divisione sul tema della Patria e del tricolore, già negli anni 60 il tema della Patria diventò la bandiera della destra mentre la sinistra strizzava l'occhio all'internazionalismo, ma oggi il dibattito sull'appartenenza appare ampliante superato. O almeno così dovrebbe essere. Ciò che in Francia e' naturale (cantare l'inno e sventolare la bandiera nelle scuole) da noi diventa ancora terreno di scontro politico.
L'onorevole Paolo Franco tuona: "Gli schiavi di Roma hanno gioito per l'approvazione fraudolenta dei disegni di legge sul l'insegnamento del l'inno di Mameli!" L'arguto argomenta "Evidentemente non bastava la cipria per quest'Italia sconquassata ma ci voleva anche il lifting, inutile e retorico che offende la gente oppressa dalle tasse e dalle leggi di questo stato borbonico".
In alcuni casi non vale neppure la pena commentare. George Bernard show avrebbe detto, caro onorevole Franco, che "Il silenzio è la più perfetta espressione del disprezzo". Detto con rispetto.