Fragola: «L’Europa che verrà? Dispensatrice di sicurezza e felicità ai cittadini»
Intervista all’internazionalista sul futuro dell’Unione Europea
Massimo Fragola,internazionalista,già docente di Diritto dell’Unione europea nell’Università della Calabria e nell’Università “L’Orientale” di Napoli e studioso della complessità del diritto dell’Unione europea, è convinto che sia «arrivato il momento per una diversa lettura dei due piani ordinamentali, quello interno e quello comunitario, alla luce del riconoscimento di un vero e proprio diritto alla sicurezza e alla felicità dei cittadini europei».
A pochi giorni dal rinnovo del Parlamento europeo, esperti e cittadini continuano ad interrogarsi sull’effettiva importanza del voto europeo, sul quale ha pesato l’inevitabile costante dell’astensionismo. Perchénon solo a livello di politica interna, infatti, la partecipazione elettorale occupa da decenni l’agenda politica di giuristi, economisti, storici e sociologi,continuamente chiamati a valutare le condizioni entro cui milioni di cittadini europei sono stati chiamati a rinnovare l’assetto politico della più importante assise politica comunitaria.
Professore, il diritto europeo comunitario non è quanto di più agevole da metabolizzare per il cittadino europeo medio…
«Da quando mi approcciai alla materia, ormai oltre quarantacinque anni fa, non passò inosservata che la complessità della disciplina derivasse dalla sempre crescente interferenza delle normative comunitarie negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell’allora Comunità europea: ma non potevo sottolineare, al contempo, l’attenzione mostrata da tutti gli ambienti politici -interni e internazionali- nei confronti delle questioni comunitarie. Insomma, complessità normativa e curiosità culturale hanno sempre riguardato le Comunità europee, in cui sigle, termini, istituti e abbreviazioni comunitarie, hanno incuriosito costantemente gli studiosi come i semplici euro-cittadini».
Nel diritto dell'Unione europea si intrecciano l'ordinamento giuridico, il sistema istituzionale e le Carte dei diritti.
«Compito del giurista europeo è semplificare un ordinamento giuridico molto complesso quale è quello dell’Unione europea. Un diritto sovranazionale istituzionale ed un diritto sostanzialmente con caratteri intergovernativi, si intrecciano e sono applicati dalle istituzioni dell'U.E. nel rispetto del principio delle competenze di attribuzione. Infatti, ancorché il sistema sovranazionale appare prevalente nelle disposizioni dei Trattati, vi sono ancora “sacche” di profili intergovernativi, direi una sorta di “rigurgiti di sovranità” degli Stati membri, che rientrano nella disciplina speciale prevista dal Trattato».
Ci chiarisca quest’ultimo passaggio…
«Mi riferisco in particolare alla Politica estera e di sicurezza comune (PESC) inserita in un apposito Titolo V del Trattato sull'Unione europea, ben distinto dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che, lo ricordo, riunisce tutte le politiche comuni dell'Unione e le relative procedure adottabili. Il testo prevede l'indicazione dei più importanti e rilevanti articoli del Trattati oggi in vigore (TUE, TFUE più l'intera proposizione della Carta dei diritti fondamentali, con le spiegazioni allegate) che, come recita l'art. 6 TUE “ha lo stesso valore dei Trattati”».
Al di là dei tecnicismi, al cittadino europeo interessa, soprattutto, il piano politico, sociale, culturale della nostra Europa…
«E’ l’aspetto sociologico del rapporto tra cittadini e istituzioni europee. L’Unione europea è apparsa, spesso,umiliata, offesa, tradita: pima che il Covid-19 sospendesse le nostre vite, pubblicai in saggio dal titolo emblematico “L’Europa mortificata” (Giappichelli, 2019) in cui analizzavo l’Europa comunitaria come tradita dagli Stati e dai governi, offesa dai mass media, con le istituzioni europee vituperate e i rispettivi Popoli (noi cittadini, insomma…) inconsapevoli che giudicavano senza conoscere, mostrando un preoccupante, banale e pericoloso conformismo. L’Europa appariva come capro espiatorio, una sorta di “causa di tutti i nostri mali”, ma anche come una subdola “valvola di sfogo” (politico) per i governi nazionali incapaci di stabilire politiche risolutive delle crisi».
L’immagine dell’Europa ne usciva a pezzi, pare di capire…
«Questo è il contesto che viviamo in Italia e in altri Stati europei. Nell'immaginario collettivo, attesa una certa stampa spesso poco indulgente che viene somministrata quotidianamente, l’Unione europea è percepita come la causa di molte disgrazie che affliggono la maggior parte del continente europeo. La “percezione” tuttavia non risponde alla realtà delle cose,come se l’unico e inesorabile problema dei nostri tempi, e per il nostro Paese in particolare, sia unicamente l'Europa. Non c'è giorno che ne leggiamo pagine intere nei maggiori quotidiani nazionali,per non parlare dei social network. Una vera e propria “guerriglia” mediatica che ci porterà verso un futuro incerto».
Mettiamoci nei panni del nostro cittadino europeo medio: varcando i confini europei non ci sono altre preoccupazioni “nazionali” meritevoli di approfondimento politico e di soluzione concreta?
«Tanti sono gli interrogativi che come giuristi comunitari ci poniamo ancora oggi: l’integrazione dei popoli europei è percepita ancora come il fenomeno giuridico-politico più importante dal secolo scorso? Come il veicolo continentale di pace e benessere? Le democrazie occidentali stanno realmente soffrendo un’involuzione, forse irreversibile, che potrebbe portare entro qualche anno ad un nuovo e imprevedibile “ordine mondiale” e forse anche “europeo”? Ma l’Europa anch’essa ha tradito i suoi Popoli? E ancora: l’Unione europea è ancora quella “comunità di diritto” che ha come soggetti non soltanto gli Stati e le istituzioni europee ma anche (e soprattutto) le persone, i cittadini, i Popoli, come recitavano i Trattati di settant’anni addietro?».
Beh, i dubbi sono crescenti!
«Direi che se da un lato occorre sicuramente ripensare l’Unione europea, dall’altro occorre continuare a “fare gli europei”, ripartendo per chiederci quale sarà il futuro dell’integrazione continentale. Tra le tante utopie proposte e i tanti “ismi”- sovranismo, nazionalismo, statalismo – l’ “Europeismo” è un’opzione imprescindibile della storia d’Europa e del mondo e, mi sia consentito, un’esigenza non soltanto economico-commerciale quanto anche politico-morale irrinunciabile. Nonostante tutto».
Professore, si parla da sempre di “Europa dei popoli o degli Stati”.
«Parlare di “Europa dei Popoli” ai nostri giorni con riguardo all’Unione europea può sembrare a dir poco utopistico. La percezione che una congrua parte dei cittadini ha dell’integrazione europea, oltre ad una sensazione di insofferenza, sollecitata non sempre correttamente dalla politica e dai mass media, è che l’Unione sia un “carrozzone” guidato dagli Stati – e in particolare dalla Germania – nel quale i cittadini non hanno alcuna voce in capitolo. Nel 2017, in occasione del 60° anniversario della firma del Trattato di Roma del 1957 istitutivo della Comunità economica europea,cercai di spiegare l’Unione europea attraverso il suo ordinamento giuridico e l’attuale sistema istituzionale. Mi prefissi di fornire ai lettori una sorta di “navigatore” nei meandri delle istituzioni comunitarie, troppo spesso sconosciute al grande pubblico, anche a causa (e forse soprattutto) della complessità del sistema istituzionale sovranazionale».
Lei sostiene che l’Europa dovrà necessariamente dispensare “felicità”.
«Il concetto di felicità europea è legato alla complessa gestazione della “Brexit” che, ricordiamolo, ha condotto dopo più di quattro anni di negoziati e, talvolta, di tragiche votazioni del Parlamento britannico, alla rinuncia del Regno Unito di far parte dell’Unione europea. Decisione senza precedenti, se consideriamo che dal 1951 -anno dell’istituzione della (prima) Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) -è il primo e unico caso nella storia dell'integrazione europea, il cui progetto conserva intatta la sua validità. Ci chiediamo se l’ “Homo europaeus” sia oggigiorno felice, se i cittadini degli Stati membri e quindi dell’Unione europea, le istituzioni e i governi abbiano l’obiettivo prioritario di raggiungere una “comune” felicità. E se la risposta è positiva, di quale felicità si tratti».
A proposito di sicurezza e felicità: rileggere la storia dell’Unione europea e ascoltare in lontananza, da oltre due anni, il sibilo di missili e il fragore di bombe è agghiacciante…
«Da docente di diritto internazionale e dell’Unione europea cresciuto con principi democratici e valori costituzionali, questa riflessione mi provoca non poca preoccupazione. Sappiamo bene che ogni Stato, almeno in linea di principio, è dotato di sovranità e ha diritto di poter scegliere di aderire a determinate organizzazioni internazionali; aspetto evidentemente che non rileva nel caso delle relazioni russo-ucraine, per il semplice motivo che il governo russo, ancor oggi, ritiene l’Ucraina un suo territorio, una parte della Madre Russia, per intenderci. Ma questo è un aspetto più spiccatamente politico...».
Appena invasa, l’Ucraina aveva fatto richiesta di aderire all’Unione europea.
«Certo, proprio il presidente Volodymyr Zelenski, il 28 febbraio del 2022, appena quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, aveva firmato la richiesta di adesione dell’Ucraina all’Unione europea, inviandola alla presidenza di turno (francese) del Consiglio dell’Unione europea e, ovviamente, in via informale anche alla Commissione europea. All’indomani anche il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione che invitava le istituzioni ad impegnarsi sulla richiesta dell’Ucraina, assegnando lo status di candidato all’adesione nell’Unione europea».
La felicità e la sicurezza europea passano anche per l’allargamento della sua base geo-politica, allora…
«Da molti anni è uno degli argomenti più dibattuti in sede comunitaria e deve molta della sua forza al c.d. Partenariato orientale, un programma di associazione approvato nel maggio del 2008: l’Unione europea lo sta portando avanti con Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina, ed è finalizzato a favorire la coesione tra l’Unione e questi sei Stati, e sino alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina rappresentava la strada obbligata per l’allargamento dell’Unione verso Est».
Già: prima della guerra…
«L’Ucraina è uno Stato sovrano secondo il diritto internazionale e come tale riconosciuto dalla comunità internazionale. Gli aspetti politici e il resto della vicenda lo dirà solo la Storia!».