“Noi non ci dormiamo la notte, ma i manifesti elettorali prima o poi spariranno. Sono uno strumento di propaganda da ventesimo secolo. Beppe Grillo non ne ha stampato uno eppure prenderà oltre il 15%“.
Parola di chi, sotto campagna elettorale, passa gran parte delle sue giornate a preparare la colla e delle nottate a spalmare manifesti sui muri delle città.
In molte parti d’Italia se ne vedono sempre di meno. Colpa certo del clima d’austerity, ma anche dell’attuale legge elettorale che, grazie alla cancellazione delle preferenze, risparmia ai candidati, miracolati dall’inserimento nelle liste bloccate, pure la faticaccia di farsi campagna elettorale.
Senza contare il fatto che nell’era di internet, la necessità di spendere milioni di euro per stampare manifesti o volantini direttamente scaricabili da un sito a costo zero, è messa seriamente in discussione.
Discorso a parte per le elezioni regionali. In questo caso si vota invece con le preferenze e il manifesto è ancora considerato uno strumento indispensabile per farsi conoscere. Ecco perché, per esempio a Roma e nel resto del Lazio, si vedono in giro molte più pubblicità dei candidati consiglieri che dei partiti che corrono per il Parlamento.
Ma la Capitale fa eccezione anche per un altro motivo. A differenza di città come Milano, Venezia, Napoli, qui ancora non esiste pezzo di muro, palo della luce, semaforo risparmiato dalla colla. Facce, slogan, simboli vari si rincorrono per strada come le auto in corsa. Si sovrappongono, si sfottono da un marciapiede all’altro. E costano. Costano così tanto che chi non può permettersi di pagare spazi regolari e servizio professionale di attacchinaggio, fa da sé e appiccica un po’ dove capita. “Roma è la giungla del manifesto – confessa Mario (nome di fantasia), 23 anni, militante di Forza Nuova – purtroppo non c’è scampo all’illegalità”.
Perché?
Perché non esiste una legge che garantisca a tutti i partiti pari visibilità. Al punto che, soprattutto i piccoli, che non hanno a disposizione i milioni di euro che servono per pagare società specializzate nel tappezzare le città di manifesti, devono uscire con il proprio materiale spesso in modo illegale affidandosi esclusivamente alla buona volontà dei propri militanti.
Che attaccano un po’ dove capita?
Ovunque.
Come si svolge un’azione di attacchinaggio abusivo?
Intanto si valuta quante forze ci sono a disposizione e si individuano le zone di maggiore presa elettorale dove concentrare la maggior parte delle nostre affissioni senza ovviamente dimenticarsi i luoghi di maggior transito quindi, per quanto riguarda Roma, il Centro, il Lungotevere, la Cristoforo Colombo, l’Appia Nuova, le stazioni metro e ferroviarie. Dopodiché ogni sera, e soprattutto in quest’ultima settimana di campagna elettorale, escono squadre di ragazzi che fanno turni di 5-6 ore in diverse zone e fanno affissioni a tappeto per lo più fuori spazio per evitare di essere ricoperti dopo 5 minuti.
L’affissione perfetta che metodo prevede?
Si prepara la colla con farina e soda caustica, si confezionano dei pacchetti o rotoli con i manifesti facendo in modo che non si strappino tirandoli fuori dalla macchina, si mette la colla sulla plancia, poi il manifesto e si ricopre tutto con la colla. Quest’anno noi abbiamo sperimentato anche un’altra tecnica: l’adesivo sui semafori. Abbiamo tappezzato tutti i pali di Roma. Non avendo soldi dobbiamo inventarci sempre qualcosa per ottenere visibilità.
Agendo molto in fretta…
Il più velocemente possibile. E’ una lotta tra Davide e Golia. L’attivista, che non viene pagato e fa questo lavoro per militanza politica, dove trova uno spazio libero attacca. Anche perché sa benissimo che se si mette ad attaccare negli spazi destinati alle cooperative verrà subito ricoperto.
Voi pure ricoprite gli altri però…
Noi ricopriamo ogni cosa, lo sanno tutti che non abbiamo molti amici.
Capita ancora di fare a botte?
Ormai di attivisti di altri partiti che fanno attacchinaggio di notte se ne vedono pochi. Tutti i grandi partiti, ma anche la stessa Sel o Rivoluzione Civile di Ingroia che comunque hanno una base di militanti che provengono soprattutto dalle fila di Rifondazione Comunista, usano al 90% società professioniste.
Ma nell’era della politica 2.0, il manifesto serve ancora?
Beppe Grillo non ne ha stampato uno e prenderà comunque almeno il 15%. Questo significa che come mezzo di propaganda tipico del ventesimo secolo, il manifesto è sicuramente destinato a scomparire. Tra pochi anni anche i cartelloni pubblicitari diventeranno digitali. Eppure oggi ancora serve, altrimenti non ci si spenderebbero tutti questi milioni di euro.