Cuno Tarfusser: "Io escluso dal Csm perché eretico? Un onore"
Il vicepresidente della Corte penale dell'Aja parla della mancata candidatura a procuratore di Milano. E dei mali della giustizia italiana
Il 30 maggio, dopo ben 197 giorni di trattative tra le correnti, il Consiglio superiore della magistratura ha scelto Francesco Greco come nuovo procuratore di Milano e ha così riempito il vuoto che Edmondo Bruti Liberati aveva creato il 16 novembre 2015, andando in pensione.
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La procedura per la nomina, però, è stata viziata da una grave anomalia: sette mesi fa Cuno Tarfusser, già procuratore di Bolzano e oggi vicepresidente della Corte penale internazionale dell’Aja, aveva avanzato la sua candidatura al Csm, ma non è mai stato nemmeno ascoltato.
Tarfusser si è quindi ritirato dalla corsa, denunciando "il ripetersi di circostanze per cui mi viene negata la possibilità di mettere a disposizione le mie esperienze".
Panorama l’ha intervistato sul suo caso. E sulla crisi della giustizia.
Dottor Tarfusser, perché ha rinunciato a presentare ricorso contro le evidenti anomalie nell’iter seguito dal Consiglio superiore della magistratura per la nomina del nuovo procuratore di Milano?
Il motivo è molto semplice e l’ho anche scritto al Csm: non ho mai voluto e non mi voglio imporre con mezzi diversi dalla professionalità, dalla capacità e dal merito. Sono stato educato ad andare in casa d’altri solo su invito ed entrando dalla porta principale, non certo dalla porta di servizio e se non gradito al padrone di casa.
Però lei è stato escluso illegittimamente dalla corsa: in novembre si era candidato, ma non è mai stato convocato dal Csm. Quando poi lo ha fatto notare, in marzo, le è stato detto in modo irrituale (e quasi offensivo) che per l’audizione disponeva di due limitate fasce orarie. Che cosa ha pensato?
A una presa in giro, certamente. Ma non voglio parlare del mio caso, che di per sé non è importante. Lo è solo in quanto ennesimo sintomo della gravissima malattia da cui è affetto il sistema giustizia in Italia.
Lei è un magistrato senza corrente: crede che sia stato un elemento per l’esclusione dalla corsa?
È vero, non ho mai aderito ad alcuna corrente perché ritengo che aderirvi significhi schierarsi e questo, a mio parere, riduce la credibilità e l’autorevolezza di cui il magistrato deve nutrirsi. Se poi questa mia "apoliticità" abbia influito sulla mia esclusione non lo so, né mi interessa. Anzi, se così fosse ne sarei quasi onorato.
Lei ha anche la fama di "eretico": da procuratore di Bolzano, dal 2001 al 2009, nelle intercettazioni e nella gestione della Procura aveva adottato pratiche molto «efficientiste» che non erano piaciute affatto alla magistratura associata. Un’altra causa di ostracismo?
Io "eretico"? Mi piace molto: lo considero un complimento. Non so quanto i miei anni da procuratore siano piaciuti alla magistratura associata. Certamente sono piaciuti ai miei collaboratori e, ancora più importante, ai cittadini che hanno potuto godere di maggiore efficienza e di un servizio degno di questo nome. Il resto non conta, anche se capisco che cantare fuori dal coro, con un certo successo, provoca invidie e gelosie.
Nel suo programma da candidato procuratore di Milano lei scriveva che «il dirigente dell’ufficio deve essere anche il primo responsabile del suo funzionamento o del suo malfunzionamento». Forse a ostacolarla è stata anche questa idea, del tutto inedita, di una «responsabilità gerarchica» nelle procure?
Già mentre scrivevo quelle parole avevo messo in conto che sarebbero state motivo per non essere preso in considerazione. Sono stato facile profeta. Anche se noi magistrati sappiamo, e tra di noi lo diciamo senza troppi giri di parole, che uno dei problemi più gravi del sistema giudiziario è l’assenza di una classe dirigente responsabile, autorevole, all’altezza.
E anche questa è una responsabilità del Csm...
Pare impossibile, ma si diventa capi di un ufficio giudiziario senza una preparazione specifica: basta una domanda, una determinata anzianità, essere «agganciati» al carro giusto ed è fatta! Management, responsabilità, organizzazione, controllo di gestione, contabilità, bilancio, gestione delle persone, programmazione? Sono solo parole! Oltretutto, i capi degli uffici giudiziari sono scelti dal Csm i cui consiglieri solo raramente hanno guidato un ufficio, dunque difettano di quella preparazione specifica che aumenterebbe la capacità di selezione. Con questi presupposti è già un miracolo se le cose in qualche modo funzionano lo stesso.
Accetti una provocazione: non è che nelle sue opinioni gioca in lei l’anagrafe o il fatto di essere da tanti anni giudice al Tribunale internazionale dell’Aja? Lei non sembra molto "italiano", ne è consapevole?
Si sbaglia. Sono e mi sento assolutamente italiano, anche se purtroppo non ho molte occasioni, né troppi motivi per esserne fiero. Proprio per questo, pur consapevole del prestigio del mio incarico alla Corte penale internazionale, provo amarezza per non essere stato messo nelle condizioni di porre al servizio della giustizia italiana ciò che ho imparato da procuratore della Repubblica e da giudice internazionale, da magistrato che si confronta ogni giorno con i sistemi giudiziari di tutto il mondo.
Che cosa pensa delle correnti in magistratura? È d’accordo con Raffaele Cantone, capo dell’Anticorruzione, che le ha definite "il cancro della magistratura"?
Non sarei così drastico, anche se posso comprendere la disillusione di Cantone dopo gli attacchi di colleghi invidiosi per aver accettato un incarico dal governo. C’è stata una fase storica, verso la fine del secolo scorso, in cui le correnti sono state sedi di riflessione e discussione, contribuendo alla crescita complessiva della magistratura.
Questo alla fine del secolo scorso. E oggi?
Oggi quegli stessi raggruppamenti sono diventati prevalentemente centri di gestione e di spartizione di potere, dietro il paravento dell’interlocuzione politica. Perciò, se non un cancro, sono pur sempre una grave patologia. E mi lasci dire che anche la magistratura, in modo del tutto speculare alla politica, sembra infischiarsene del declino della propria immagine e credibilità.
A proposito d’immagine, che cosa pensa del nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, che apostrofa i politici "che rubano più di prima, ma non si vergognano neanche più"?
Ho sempre ritenuto Davigo (che il 30 maggio è stato a sua volta promosso presidente di sezione della Cassazione dal Csm, ndr) un collega geniale, eccezionale, di qualità assolutamente superiore. Non mi sorprende quindi che abbia saputo esprimere con la massima efficacia, pur necessariamente semplificando, un pensiero che appartiene alla grande maggioranza dei cittadini, magistrati compresi. Penso però che la critica verso gli «altri» sarebbe molto più credibile se fosse anticipata o almeno accompagnata da una forte autocritica. Ma questa parte, purtroppo, non l’ho ancora sentita. Attendo fiducioso.
Insomma, il Csm è l’organo di governo della categoria o, come sostengono i suoi critici, un posto dove fondamentalmente si mercanteggia potere?
Non userei il termine "mercanteggiare". Il Csm è anche un luogo di mediazione e questo mi pare fisiologico. Che poi si ecceda e si contrattino tra le correnti posti, trasferimenti, uffici direttivi, collocamenti fuori ruolo e ricollocamenti in ruolo, non lo dico io, ma Piergiorgio Morosini (membro del Csm per Magistratura democratica, intervistato dal Foglio il 5 maggio, ndr).
Morosini ha detto anche che lei in Italia "non voleva venirci" e l’ha accusata esplicitamente di "negligenza". Ha aggiunto che il caso Tarfusser "è nulla rispetto a quanto accade nel Csm , dove si parla solo di nomine ed è tutto politica, la politica entra da tutte le parti".
Ma le pare? Stiamo parlando del Csm, non di una bocciofila di paese! Alla notizia di «selezioni» come quelle descritte dal consigliere Morosini in un ente pubblico qualsiasi, l’apertura immediata di un fascicolo sarbbe stata la logica conseguenza. Questo non tollero della mia categoria: l’ergersi a paladini dell’etica altrui e a tutori della legalità solo verso l’esterno. Per molto meno, diverse carriere pubbliche sono state fermate da un’inchiesta.
Insomma, un magistrato senza corrente è tutelato, nella sua carriera e nei procedimenti disciplinari? Oppure è l’inevitabile "vittima sacrificale" di questo sistema?
Io non sono né mi sento vittima: anzi, sono e mi sento un privilegiato. Vittime sono quanti al sistema giustizia devono ricorrere, volenti o nolenti, ottenendo servizi sempre lenti, spesso scadenti, troppe volte arroganti.
Come si potrebbe riformare il Csm? Con membri scelti per sorteggio? Con due Csm distinti, per giudici e pm?
È compito del legislatore riformare il Csm, se lo vuole e se ne è capace. Detto questo, non credo che sia tanto una questione di sistema elettorale o istituzionale. Quello che a me ha sempre fatto riflettere è il potere di normazione secondaria del Csm. Nel Csm esistono regole complicatissime e spesso contraddittorie, che sembrano fatte apposta per essere variamente interpretabili secondo le esigenze correntizie del momento. Io ho imparato che il legislatore è il Parlamento e che il Csm è organo di "alta" amministrazione. Ma "alta" rispetto a cosa? Io conosco solo i concetti di "buona" e "imparziale" amministrazione dell’art. 97 della Costituzione, e la molto diffusa realtà di "cattiva" amministrazione.
La separazione delle carriere servirebbe a migliorare la giustizia penale? Accrescerebbe forse anche il senso di responsabilità nella categoria?
Assolutamente no. Sono contrario alla separazione delle carriere e non per motivi ideologici o dogmatici, ma perché sono certo che la carriera unica è un valore da preservare. Ma anche volendola prendere in considerazione dico che, prima di mettervi mano, ci sono moltissime altre cose più utili e urgenti da fare.
Il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale è reale o è una finzione scenica?
L’obbligatorietà dell’azione penale non è una finzione, ma è una garanzia e bisogna lavorare e impegnarsi per realizzarla, non manometterla. Altrimenti perché non abolire anche l’art. 4 della Costituzione, che garantisce il lavoro a tutti, visto che non si è mai realizzato? Io peraltro non ho alcun dubbio che l’obbligatorietà dell’azione penale sia realizzabile, a volerlo. Le parole magiche sono: responsabilità e organizzazione. Ma qui torniamo a parlare di formazione, capacità, merito, gestione delle risorse, qualità del servizio: concetti forse conosciuti in astratto ma pochissimo praticati nella realtà quotidiana. Per venirne fuori le riforme non bastano più: serve una rivoluzione culturale. A un malato gravissimo, cure da cavallo. Il problema è che non vedo il giusto veterinario.