Indonesia, ultima frontiera del Califfato
Sulle ceneri di Al Qaeda dell’Asia sud-orientale, disarticolata da Giacarta dopo le stragi di Bali, potrebbe risorgere il vecchio sogno califfale
Non era dunque uno scenario di fanta-politica quello che il governo australiano aveva lanciato a fine 2015, sostenendo che l'Isis stava progettando un "distaccamanento" del Califfato in Indonesia, il Paese con il maggior numero di musulmani al mondo, ovvero oltre 200 milioni. Le notizie che giungono da Giacarta, dove stamane un commando composto da 14 assalitori ha compiuto una serie di attacchi in serie di fronte al centro commerciale Sarinah, confermerebbe questo scenario, sul quale gli informatissimi servizi segreti di Canberra avevano da tempo lanciato lanciato l'allarme.
Oltre il Medio Oriente
Era stato infatti il ministro della Giustizia australiano, George Brandis, a sostenere in un'intervista al quotidiano The Australian, che il Califfato, stretto d'assedio in Siria e Iraq, "ha l'ambizione di incrementare la sua presenza e il livello delle sua attività in Indonesia, sia direttamente che attraverso affiliati", cioè sfruttando l'appoggio delle formazioni jihadiste già presenti nel Paese. Nella stessa intervista il ministro australiano si era spinto a ipotizzare "un Isis oltre il Medio Oriente", partendo proprio dall'Indonesia come luogo dove realizzare i suoi piani.
Da Al Qaeda all'Isis: la Jihad in Indonesia
A partire dal 2002, anno dei sanguinosi attentati terroristici di Bali, il governo indonesiano - in stretta collaborazione con gli Stati Uniti e l'Australia - ha stretto le maglie contro le tradizionali organizzazioni jihadiste, finendo per distruggere completamente la potente rete di Jumā’a Islāmiyya, una sorta di Al-Qā’ida dell’Asia sud-orientale fondata nel 1993 da Abdullah Sungkar e Abu Bakar Bashir, due attivisti religiosi che dopo aver fondato la prima scuola islamica a Java, sono riparati in Malesia a seguito di una condanna per affiliazione a un’associazione clandestina che promuoveva il jihād, al reclutamento e all’addestramento di combattenti da inviare in Afghanistan a combattere l’occupazione sovietica.
Il gruppo più importante nato dalla dissoluzione del gruppo è Mujihideen Indonesia Timur (Mit), guidato dall’uomo più ricercato del Paese, Santoso, che si è aggregato all’Isis nel 2014 e che recentemente ha promesso attentati a Giacarta. Lo stesso ha fatto, dal carcere, uno dei cofondatori di Ji e leader di Jemaah Ansharut Tauhid, Abu Bakar Ba’asyir. Secondo l’intelligence, il Mit riceve finanziamenti dall’Isis e può essere considerato parte del suo network ed è è dotato anche di armi anti-carro e Santoso aveva minacciato attacchi a Giacarta.
Le radici del jihadismo in Indonesia, un Paese laico dove l'esercito costituisce il cuore delle istituzioni politiche, sono in sostanza molto profonde. Ora, dalle ceneri di Jumā’a Islāmiyya, e dalla sua rete disarticolata in questi anni dai potenti servizi di sicurezza indonesiani, potrebbe riprendere slancio, grazie anche a copiosi contributi finanziari provenienti dallo Syraq, il nuovo progetto califfale, guidato questa volta dagli uomini di Al Baghdadi, coagulati inizialmente attorno al gruppo di Santoso.
Rimangono inoltre decine di piccole cellule e centinaia di militanti - spesso in guerra tra loro - che che non attendono altro che una nuova organizzazione-madre. Privo dei vertici storici e braccato dalla decisa risposta del governo, l’estremismo islamico (già segnato da alcune divisioni interne) era tornato finora a rifugiarsi nel sottobosco per cercare di ricostruire quel legame col territorio e con le famiglie che da sempre ha costituito la sua linfa vitale.
Le armi in più dell'Isis
L'Isis - probabilmente attorno alla rete di Santoso - sta fornendo i soldi e il know how per rilanciare il vecchio sogno del Califfato indonesiano. La sua arma in più in Paesi con grandi fasce della popolazione che vivono nella povertà, anche in un Paese come l'Indonesia dove l'Islam è tradizionamente moderato, è la promessa di forti compensi. Secondo la stampa indonesiana, a un autista di moto-taxi sarebbero stai offerti 3.800 dollari al mese per unirsi all’Isis, uno stipendio molto ricco per i parametri di un Paese dove 28,6 milioni di persone, l’11% della popolazione, vivono sotto la soglia della povertà.