Riesplode la guerra sullo status di Gerusalemme
Perché, impedendo l'accesso ai luoghi sacri della città vecchia, Israele rischia di fornire il pretesto per lo scoppio di una terza intifada
All'indomani dell'uccisione da parte dello Shin Beth di Muatnaz Hijazi, il presunto militante della Jihad islamica palestinese sospettato di aver partecipato all'attentato contro il rabbino estremista Yehhuda Glick, il premier Benjamin Netanyahu ha preso oggi una decisione che, per il suo elevato valore simbolico, potrebbe essere foriera di nuovi, violenti scontri in terra santa: la chiusura d'imperio della Spianata delle Moschee nella città vecchia di Gerusalemme, il luogo sacro conteso da arabi ed ebrei controllato militarmente dal 1967 dall'esercito israeliano.
Che questa decisione sia pericolosa, per la fragile tregua siglata al Cairo due mesi orsono, ce lo ricorda non soltanto l'insolita e bellicosa dichiarazione del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmmud Abbas, secondo il quale «la chiusura equivale a una dichiarazione di guerra al popolo palestinese», ma soprattutto la storia stessa del conflitto arabo-israeliano, un conflitto dove le ragioni nazionali e quelle simboliche-religiose si mescolano e sovrappongono, formando un micidiale cocktail di diffidenza e odio reciproco. E trasformando il cuore della città vecchia di Gerusalemme, venerato dai fedeli di tutt'e e tre le religioni monoteiste, in uno dei luoghi più militarizzati al mondo. Dove anche il diritto alla preghiera diventa un fatto politico di vaste proporzioni.
Il dizionario del conflitto israelo-palestinese
Basti ricordare qualche episodio per capire quale valore ha assunto la questione dello status dei luoghi sacri. Fu, nell'ottobre 2000, la famosa (e provocatoria) passeggiata di Ariel Sharon nella spianata delle Moschee che fece da detonatore allo scoppio della seconda intifada degli uomini bomba che sostituiva quella, pacifica e popolare, delle pietre della fine degli anni 80. Fu soprattutto la questione dello status di Gerusalemme e il controllo dei suoi luoghi sacri a provocare, alla fine degli anni 90, la tragica rottura delle trattative tra Yasser Arafat e il premier israeliano Ehud Barak a Camp David.
Da Bill Clinton a Barack Obama, da George Bush a Jimmy Carter, qualunque inquilino della Casa Bianca si sia cimentato con la questione dello status di Gerusalemme, ha dovuto poi fare i conti con quella bramosia di possesso assoluto dei suoi luoghi sacri che è diventata spesso, nel corso della storia secolare del conflitto arabo-israeliano, il pretesto e il detonatore di tutti i conflitti. «Il problema di Gerusalemme consiste nel fatto che è oggetto di una competizione aspra, crudele e nazionalistica tra gli ebrei d'Israele e gli arabi palestinesi. Per entrambe le parti vincere la competizione significa acquistare una sovranità incontrastata sulla città» ha spiegato Avishai Margalit, tra i più acuti analisti politici israeliani, professore di Filosofia all'Università ebraica di Gerusalemme.
Il fatto è che, su questo terreno simbolico, i leader ultrà arabi e israeliani non arretrano né possono farlo, pena l'impopolarità. L'ultimo episodio, qualche giorno fa, quando il sindaco israeliano della Città (contesa), l'ultranazionalista Nir Barkat, ha deciso per ragioni elettorali di sfatare il tabù dell'inviolabilità della Moschea Al Aqsa (dove pregano i musulmani) facendovi il suo ingresso - provocatorio - insieme a un gruppo di parlamentari estremisti della Knesset, il parlamento israeliano. Ne è seguito il tentato omicidio del rabbino Glick, anche lui tra i più accesi e radicali sostenitori del carattere esclusivamente ebraico della città vecchia, e l'omicidio durante una sparatoria di Hijazi, il militante 32enne considerato vicino alla Jihad islamica che aveva passato dieci degli ultimi dodici anni nelle carceri israeliane. Oggi, dopo l'ennesimo annuncio sulla costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme est che sta rendendo sempre più freddi i rapporti tra Washington e Tel Aviv, l'ultimo atto: la chiusura della Spianata delle Moschee. Fino a quando reggerà la fragile tregua? Potrebbe scoppiare una terza intifada?