L'Italia del processo Ruby è grave. Ma il vero scandalo è il radicalismo puritano
12 anni fa al via del processo che ha visto l'assoluzione di Silvio Berlusconi su Panorama questa era l'analisi di Giuliano Ferrara
Da Panorama del 14 aprile 2010
Chi abbia visto anche un solo talk-show sul caso Ruby non può non averlo capito: il sesso parlato, il simulacro ideologico del sesso, è una brutta bestia, scatena le più losche e dissimulate passioni, uccide l’intelligenza, la buona creanza, il discernimento. L’Italia del processo Ruby è ufficialmente ubriaca. Un grano di vera e pura follia si è impadronito di coloro che pretendono di rappresentarla in quanto opinione pubblica o in quanto pubblica accusa in giudizio: l’invenzione del reato di prostituzione per il presidente del Consiglio, e la connessa attività di guardonismo giudiziario, di origliamento, di pubblicazione illegale di intercettazioni riguardanti la sua vita privata, è stato materiale esplosivo. È saltata in aria la coscienza nazionale, ma sono in pezzi anche l’inconscio e il subconscio e il super-Io.
Ormai siamo un popolo da psicoanalisi, siamo affetti da una perversione del discorso pubblico incapace di distinguere i fatti dalle pulsioni e di mondare il linguaggio dagli effetti di turpitudine che lo spionaggio nella vita privata di un uomo ricco e potente ha riversato su sogni, deliri, incubi e ribalderie dell’anima nazionale. È uno spettacolo raccapricciante. Non per ragioni etiche, per ragioni intellettuali.
Si fa evidente l’incapacità di maneggiare con un minimo di sapientia cordis, di tatto e di sensibilità, qualcosa che appartiene alla dimensione creaturalmente peccatrice dell’umanità. Maturi signori di sinistra, progressisti per scelta e per cultura, riversano sul loro nemico assoluto, esclusivo, ossessivo, e sul giro di amici e amiche che invitava a cena e copriva di regali, per esercitare in privato le arti della seduzione e dell’intrattenimento, del piacere e del gioco, una forma di livore libidinoso, di proiezione delle loro insicurezze esistenziali e di odio punitivo, vendicativo, che farà epoca per una generazione. Un «defining moment», dicono gli anglosassoni, volendo significare che un certo segmento del tempo in cui si vive diventa emblematico di una cultura, di un modo di vivere, di un’idea della convivenza e della civiltà.
Siamo in uno di quei momenti che definiscono un periodo di storia nazionale, e il succo è che la rivolta contro le anomalie di un potere nato dalla liquidazione violenta del sistema dei partiti ha virato verso l’irrazionale, sullo sfondo di frustrazioni e incomprensioni che riguardano ormai un irriducibile conflitto di antropologie. Berlusconi è stato trasformato in un totem, e la danza rituale non si ferma. Le amiche e le invitate a cene private in casa dell’arcinemico sono puttane, lui è un vecchio rifatto che fa schifo, i parlamentari che lo votano sono dei venduti che lo proteggono per interesse, le istituzioni meriterebbero di essere schiacciate sotto il peso della loro mercificazione. Ma è possibile che la nomenclatura politica sopravvissuta a mille erorri, a mille curve della storia, proveniente dai vecchi partiti, abbia portato fino a questo punto il cervello all’ammasso del radicalismo neopuritano, della dottrina islamica sulla dignità della donna intesa come sua schiavitù sociale, dell’odio verso le persone come sostituto psicologico dell’incapacità di formare una coalizione e di battere nelle urne il presidente in carica eletto dagli italiani?
È possibile. È un fenomeno di acuta degenerazione politica sotto gli occhi di tutti. Un grosso guaio.