Quale maggioranza potrebbe nascere dopo la pronuncia della Consulta
Parla Alessandro Amadori, grande esperto di dinamiche elettorali: "Un'alleanza ex post tra Pd-Forza Italia ad oggi è quasi inevitabile"
Non ha dubbi Alessandro Amadori, vicepresidente dell'Istituto Piepoli e sondaggista.
«Dopo la pronuncia della Consulta, se le intenzioni di voto fotografate dai sondaggi di tutti gli istituti di ricerca fossero confermate, avremmo in Italia il ritorno a un sistema proporzionale pressoché puro, simile a quello che abbiamo avuto durante la prima Repubblica, ma in un contesto politico sostanzialmente tripolare. Nessuna forza politica può ambire allo stato, infatti, a raggiungere, da sola, il 40% dei voti, la soglia da raggiungere per far scattare il premio di maggioranza».
Che tipo di maggioranza di governo potremmo avere in questo caso?
Gli scenari che si aprono, in questo caso, sono due. Uno alla tedesca, uno all'italiana.
Cominciamo con l'ipotesi tedesca.
Diciamo subito che lo scenario tedesco potrebbe essere anche il migliore... se fossimo tedeschi. Si vota col proporzionale, cioé con la legge uscita dalla Consulta. Dopodichè si aprono dei tavoli di consultazione ex post su un progetto di legislatura tra forze politiche diverse. È un'ipotesi anche saggia, io penso, perché le alleanze ex post, contrariamente a quanto ha sostenuto una certa narrazione secondo-repubblicana, sono più solide, più chiare, basate in qualche modo su un contratto politico tra partiti diversi.
Come durante la prima repubblica. Perché questa volta non dovrebbe funzionare?
Perché viviamo oggi, a differenza di trenta o quaranta anni fa quando le alleanze di governo erano obbligate anche dal contesto internazionale, in un contesto politico tripolare. Le alleanze di governo ex post sono in sé positive, ma porrebbero un problema politico di prima grandezza soprattutto al Pd, perché c'è un pezzo anche grande del suo elettorato che guarda con preoccupazione a un'alleanza strategica e di legislatura con Forza Italia. Il fatto è che l'ipotesi tedesca - con la formazione di maggioranze ex post - è contraria alla nostra cultura, una cultura dove le identità, le inimicizie e le subculture di riferimento, ideologiche e territoriali, sono ancora molto forti, cementate
Il problema è il proporzionale, dunque?
Affatto, non lo è in sé. È falso infatti che proporzionale significhi instabilità. Basti dire che il Paese più stabile d'Europa, politicamente, è la Germania, che ha un sistema proporzionale. Anzi, il proporzionale - che è in linea con la nostra tradizione politica - potrebbe aiutare i partiti a ritrovare la loro identità.
Viriamo dunque sull'ipotesi italiana.
È lo scenario evocato dal professor Prodi: lo scenario che si creino, prima delle elezioni, almeno due nuovi cartelli, uno di centrodestra e uno di centrosinistra, simili a Ulivo o il Polo delle Libertà, con l'obiettivo di raggiungere la soglia del 40% che farebbe scattare il premio. Verrebbe a ricrearsi un sistema parafederativo ex-ante, sulla base di alleanze eterogenee di coalizione prima delle elezioni. Nascerebbero insomma dei brand politici unitari di natura opportunistica, con tutti i rischi che ne conseguono per la stabilità, come abbiamo visto durante la seconda Repubblica. Il Pd, per esempio, potrebbe convergere in un cartello con la cosa di Pisapia che sta nascendo a sinistra, con i radicali, con pezzi centristi. Il vantaggio è che insieme tutte queste forze non sarebbero così lontane dall'obiettivo 40%. Così come non è lontano dal 40% il centrodestra, se fosse unito: l'ex elettorato berlusconiano non è affatto scomparso, è solo in attesa di ricevere un'offerta adeguata, con una leadership rinnovata, magari ancora in mano a Berlusconi. Il vantaggio di questa ipotesi, accanto alle controindicazioni già elencate, è che i partiti potrebbero ritrovare in qualche modo la loro natura, la loro identità, obbligati come sono dalla nuova legge emersa dalla Consulta a non coltivare più l’illusione della rana che diventa toro, come voleva fare Renzi col partito della nazione. Tutti i tre poli, diciamolo, sono ranocchi. Avviino accordi, come dice Prodi, basati su visioni simili, prima delle elezioni.
Che ipotesi di maggioranza immagina dopo le elezioni?
I nostri dati fotografano un Pd al 32% circa, un M5S intorno al 27% e Forza Italia e Lega attorno al 12% ciascuno. Non credo, allo stato, che ci siano molte alternative a un accordo ex post tra Pd, Forza Italia e gruppi centristi per formare una maggioranza. Un'ipotesi che pone grossi problemi, come dicevo, in prospettiva, soprattutto al Pd.
E qualora Salvini e Grillo si mettessero d'accordo?
Lega e M5S, quand'anche si mettessero d'accordo dopo le elezioni, un'ipotesi tutt'altro che semplice da realizzare, difficilmente riuscirebbero a formare una maggioranza in parlamento, se i dati dei sondaggi sono esatti. Non ci sono i numeri, la Lega di Salvini fa molta fatica a superare la soglia del 12 su scala nazionale. Numeri a parte, che non mi sembra ci siano, sarebbe inoltre un’alleanza di ingegneria genetica, simile a quella che ha cercato di realizzare Renzi con il Partito della Nazione, che rischia di avere le gambe molto corte. L'ipotesi di un governo 5S è molto difficile che si realizzi.
Dobbiamo fidarci dei sondaggi?
È vero: la situazione è molto fluida, c'è un 40% dell'elettorato che non si sente rappresentato da nessuno dei tre attuali poli. Ma è anche vero che, attualmente, tutti i test elettorali, anche su base locale che sono stati effettuati in questi anni, confermano la tripartizione del consenso che emerge ancora oggi dai polls.
Grillo ha scritto sul suo blog che vuole raggiungere il 40%. Lo ritiene realistico?
No, la mia impressione è che Forza Italia potrebbe essere sottostimata nei sondaggi, e che il suo elettorato disperso potrebbe tornare almeno in parte nella casa madre qualora il gruppo dirigente riuscisse a rinnovarsi prima del D-Day elettorale. Il M5S, che oggi viene segnalato attorno al 27%, potrebbe essere invece sopravvalutato, anche perché il caso Raggi non ha ancora prodotto tutti i suoi effetti politici. Quello di Grillo è un elettorato molto mobile. La vicenda romana potrebbe pesare ancora molto.
Dunque, allo stato, ci sono poche alternative a una maggioranza Pd-Forza alla Camera. E al Senato?
Il sistema attuale del Senato è ancora più proporzionalista, con un sistema di collegi su base territoriale e regionale che premia le forze radicate. È attualmente difficile fare previsioni. Il senato - se le due leggi non fossero armonizzate anche sulle soglie - potrebbe tornare a essere cruciale.
Qualcuno dice: la Consulta si è scritta la sua legge elettorale. È giusto che sia un organo giurisdizionale a deliberare su una materia, come la legge elettorale, che i padri costituenti hanno volutamente tenuto fuori dalla Carta?
C'è del vero in queste osservazioni, ma la magistratura si è limitata, come già accaduto tante volte in passato, a svolgere un ruolo di supplenza non per volontà, ma perché la classe politica non è stata in grado di produrre una legge elettorale accettabile. La verità è che la Consulta ha riportato anche saggiamente l’Italia alla sua tradizione, basata anche su identità radicate e percepite spesso come reciprocamente incompatibili. I passi in avanti imposti dall'alto non producono necessariamente, ce lo ha insegnato il referendum, passi in avanti sul piano istituzionale, se non sono accettati e metabolizzati. Viviamo un periodo di grande mobilità elettorale, è vero, ma viviamo anche in un Paese dove le identità politiche sono ancora forti. Il proporzionale è, oggi, più in linea con le nostre tradizioni culturali. E potrebbe fornire anche l'occasioni ai partiti per ritrovare le identità perdute, il loro rapporto con la base e con la società, il loro baricentro.
Una curiosità: perché hanno bocciato il secondo turno secondo lei?
Quella della Corte, a mio parere, è stata una sentenza ragionevole e un po' democristiana. I padri costituenti - per evitare i rischi di un nuovo fascismo - hanno immaginato un sistema anche barocco basato sui contrappesi e sulla rappresentanza. Il doppio turno produce riversamenti forse ritenuti eccessivi dal primo turno al ballottaggio. Passi che il matto di turno vinca al secondo turno in un paese, o in una città, grazie ai riservamenti elettorali dell'elettorato del polo rimasto escluso. Ma se accade su scala nazionale l'ipotesi si fa pericolosa. I giudici avranno ragionato così. È soltanto una mia ipotesi, ma credo che abbiano bocciato il ballottaggio per evitare uno scenario in cui un candidato che abbia preso al primo turno solo il 20% si trovi poi a ottenere, grazie ai riversamenti, un numero sproposito di seggi. Una pronuncia molto in linea con lo spirito della nostra Costituzione.
Leggi anche: La decisione della Consulta