Tutte le frasi che hanno fatto di JFK un mito
John F. Kennedy ha parlato tanto e di ogni argomento. La sua retorica è semplice e diretta, con uno sguardo costantemente rivolto al di là del muro (di Berlino) e verso lo spazio più profondo
"Ich bin ein Berliner", Io sono un berlinese. E' una delle frasi più celebri dell'ex presidente americano John F.Kennedy. La pronunciò il 26 giugno del 1963, durante un discorso a Rudolph Wilde Platz, a Berlino ovest. Oggi, l'ambasciata americana, che si trova in parte a "ovest" e in parte a "est" di Berlino, riporta a caratteri cubitali sulle sue mura la frase di JFK, per commemorare i 50 anni trascorsi dal suo assassinio a Dallas.
E' una delle frasi più citate dell'ex presidente Usa, perché il pronunciarla in quel momento voleva comunicare alla città di Berlino e a tutto il popolo tedesco che gli Stati Uniti gli erano vicini. Il discorso di Kennedy è considerato uno dei suoi migliori interventi pubblici. Si era in piena guerra fredda e quelle parole fecero il giro del mondo.
Diretto, efficace, umano. JFK è stato un grande comunicatore e ha parlato tanto, di qualsiasi argomento. Dalla guerra in Vietnam allo sbarco sulla Luna, che avvenne quando lui non poteva più goderselo, sei anni dopo la sua morte. E poi l'arte, la letteratura, la religione, il patriottismo, la libertà e persino il sesso. Kennedy non si tirava mai indietro se c'era da dire qualcosa, come quando gli fu chiesto, subito dopo la sua elezione, cosa ne pensasse della sua nuova condizione e sornione rispose: "Non mi posso lamentare. La paga è buona e vado al lavoro a piedi".
Moltissime le sue frasi celebri nei confronti dell'orso sovietico. "Ci sono molte persone nel mondo che davvero non capiscono - o dicono di non capire - qual è la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Fateli venire a Berlino!" diceva proprio in occasione della sua storica visita a Berlino ovest nell'estate del '63. E, ancora, rivolto a Kruscev: "Kruscev mi ricorda la storia di quel cacciatore di tigri che ha fatto spazio sul muro per la pelle della tigre che catturerà, molto prima di catturarla. Quella tigre ha altre idee in testa".
E ancora, subito dopo la sua elezione a presidente: "Oggi siamo di fronte a una nuova frontiera, la frontiera degli anni Sessanta, una frontiera di pericoli e opportunità sconosciute, una frontiera di speranze disattese e di minacce". Speranze e minacce incarnate dal "pericolo" numero uno, l'Unione Sovietica.
JFK batteva sempre sui due opposti, sul dualismo esistente tra quello che successivamente Ronald Reagan avrebbe definito "l'impero del Male" (traendo spunto dal film Guerre Stellari) e gli Stati Uniti, terra di libertà e di progresso. "Una nazione che ha paura di lasciar giudicare il popolo su ciò che è vero e ciò che è falso in una condizione di mercato aperto, è una nazione che ha paura della sua gente". E aggiungeva che "La strada migliore verso il progresso è la strada della libertà", visto che "Il Comunismo non è mai arrivato al potere in un Paese che non fosse già fatto a pezzi dalla guerra o dalla corruzione, o da entrambe le cose".
Progresso, libertà, ma anche tenacia e passione umana. JFK, di fede cattolica, amava profondamente l'umanità e non mancava di sottolinearlo. Credeva nelle infinite potenzialità del genere umano, in quella forza incrollabile che rende l'uomo capace di cambiare la Storia. "Le cose non succedono. Le cose vengono fatte succedere". Ripeteva spesso. Per questo, l'ex presidente Usa era anche solito dire: "Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare mai i loro nomi".
Uomo del fare, oltre che del dire, JFK era capace di blandire lo spirito patriottico degli americani, di ricordare i morti a stelle e strisce, senza però chinare mai la testa: "Il costo della libertà è sempre alto, ma gli Americani lo hanno sempre pagato. E c'è un sentiero che non dovremmo mai prendere, e questo è il sentiero di chi si arrende o si sottomette".
"La geografia ci ha creato vicini. La Storia ha fatto di noi degli amici. L'Economia ci ha resi partner, e la necessità ha fatto di noi degli alleati. Ciò che Dio ha unito in matrimonio, nessuno osi dividere". Così diceva agli alleati americani nel mondo, a cominciare dall'Europa appena uscita dalla Guerra. E aveva idee molto chiare anche nei confronti dello Stato di Israele: "Israele non è stato creato per scomparire, Israele durerà e fiorirà. E' figlio della speranza ed è casa di un popolo coraggioso. Non può né essere spezzato dalle avversità, né demoralizzato dal successo. Porta con sé la protezione della democrazia e onora la spada della libertà".
Onore, guerra e pace. I discorsi di Kennedy sono stati sempre improntati a creare un immaginario di speranza, di successo, di riuscita, laddove un nemico alle porte meritava di essere messo in ginocchio, ma senza distruggerlo. "Il nostro legame più basilare è che abitiamo tutti su questo pianeta. Respiriamo tutti la stessa aria. Tutti ci auguriamo un futuro radioso per i nostri figli. E tutti siamo mortali". Come a dire: i sovietici devono essere sconfitti, ma non sono dei mostri.
L'ex presidente Usa è vissuto in tempi di guerra, fredda e non solo. E proprio su questo amava ricordare a donne e uomini del suo staff che "La vittoria ha mille padri, ma la sconfitta è orfana". Sapeva molto bene che il sottile equilibrio dell'apprezzamento dell'opinione pubblica poteva interrompersi all'improvviso, bastava scivolare su una buccia di banana, ma JFK era troppo furbo e preparato per non vedere quella banana e amava lanciare il cuore oltre l'ostacolo, senza rispettare le regole. Infatti spesso ripeteva che "Il conformismo è il carceriere della libertà e il principale nemico della crescita".
E probabilmente, di fronte al recente scandalo delle intercettazioni della National Security Agency avrebbe ripetuto la sua celebre frase: "La stessa parola segretezza è ripugnante in una società libera e aperta e noi siamo un popolo intrinsecamente e storicamente contrario alle società segrete, ai patti segreti e alle procedure segrete". Poco importa se ci credesse sul serio, la gente gli credeva ed era felice di un presidente così "trasparente".
Nel corso degli ultimi 50 anni i discorsi di Kennedy sono stati praticamente saccheggiati da politici di tutto il mondo. Bill Clinton e Barack Obama sono solo gli ultimi in ordine cronologico. Ma anche in Italia i progressisti si sono abbeverati al verbo del presidente americano, a cominciare da Walter Veltroni che, che al congresso Ds del 2000 lanciò lo slogan kennedyano "I Care" (io mi prendo cura di...), ricevendo però molte critiche e poche pacche sulle spalle. Insomma, a dimostrazione che Kennedy funziona solo nei luoghi di Kennedy.
La retorica kennedyana ha anche un cuore "lirico", che è passato alla Storia. Celebre la sua frase sul potere e la poesia: "Quando il potere conduce l'uomo all'arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere semplifica l'area della conoscenza umana, la poesia ricorda all'uomo della ricchezza e della diversità dell'esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia purifica". Diversità di condizioni ed esistenze, tanto netta da far dire a JFK che "C'è sempre una diseguaglianza nella vita. Alcuni uomini vengono uccisi in guerra e altri restano feriti e altri ancora non lasciano mai il loro Paese. La vità è profondamente ingiusta".
Ma, nonostante questo, l'ex presidente Usa era convinto che fosse necessario sperare e rimboccarsi le maniche, anche quando tutto sembra sotto controllo, tanto che era solito dire: "Il momento giusto per riparare il tetto è quando il sole splende". Certo che "Il mondo è molto diverso oggi da quello di ieri. Perché l'uomo ha nelle sue mani mortali il potere di abolire tutte le forme di povertà". Una speranza, questa, rimasta disattesa. E JFK lo sapeva, tanto che era solito definirsi "Un idealista senza illusioni".
E poi lo Spazio, grande mistero e grande sogno. "In realtà non sarà un uomo solo ad andare sulla luna, ma sarà un'intera nazione. Perché tutti noi dobbiamo lavorare insieme per mandare quell'uomo sulla Luna". Ripeteva appena poteva. Credeva nella Scienza e non la vedeva come una nemica: "Invoco le meraviglie della Scienza e non i suoi orrori. Insieme, esploreremo le stelle, conquisteremo i deserti, cancelleremo le malattie, colmeremo gli abissi dell'oceano e incoraggeremo l'arte e il commercio".
Ventiquattro ore prima di essere ucciso a Dallas, il 22 novembre del 1963. John F. Kennedy si trovava nella base medica aerospazionale di San Antonio, per incoraggiare chi lo seguiva ad alzare gli occhi verso il cielo. Queste sono state le sue ultime parole, anche se lui credeva di avere ancora tanti discorsi da fare:
"Abbiamo una lunga strada da percorrere. Molte settimane e mesi e anni di lungo e duro e noioso lavoro davanti. Ci saranno passi indietro e frustrazioni e delusioni. Ci saranno, come ci sono sempre, pressioni nel Paese per fare meno in questo settore così come in molti altri, e tentazioni di fare qualcos'altro di più facile. Ma questa ricerca deve andare avanti. Questo sforzo in direzione dello Spazio deve andare avanti. La conquista dello Spazio deve andare avanti e andrà avanti. Questo è ciò che sapiamo. Questo è ciò che possiamo dire con fiducia e convinzione". Il 20 luglio del 1969 Neil Armstrong dell'Apollo 11 mise il piede sulla Luna. Ma Kennedy già non c'era più.