La guerra in Siria: una cancrena che si estende e la cui direzione ci sfugge
Tutti i rischi del conflitto: emergenza umanitaria, instabilità regionale e globale, estremismo islamico
Si può parlare ormai di “cancrena” siriana. Un’infezione devastante che dura da 17 mesi, tra massacri che non risparmiano i civili e soprattutto i bambini (l’ultima strage degli innocenti denunciata dai ribelli è di ieri a Aleppo). È scontro aperto e conclamato, uno scontro condotto nel modo sporco di tutte le guerre civili, con bombardamenti indiscriminati da un lato e risposte all’insegna della cieca distruttività terroristica dall’altro.
Non esiste una piena e attendibile copertura giornalistica, tanto meno una credibile attività di monitoraggio internazionale su quanto ogni giorno accade in Siria. Dobbiamo abbandonare l’idea rassicurante che tutto ciò che leggiamo nei media su massacri e battaglie, crisi umanitaria e missioni diplomatiche sia “davvero” tutto. O sia “davvero” così. È certa solo una degenerazione che, per gradi forse a noi impercettibili, ha portato un intero Paese e la sua popolazione sofferente e martoriata in una condizione di instabilità e violenza potenzialmente capace di propagarsi ad altre aree e altri Paesi mediorientali. Perché la geopolitica dell’area è interconnessa, e le forze in campo sono transfrontaliere, gli schieramenti sovranazionali.
Se allargassimo il campo d’osservazione, il focus, da Damasco a tutto il mondo arabo e islamico, in Asia come nel Nordafrica, scopriremmo che l’instabilità ha attecchito non solo in Siria, ma in tutta una larga fascia di disgregazione, frammentazione e conflittualità che va dal Pakistan al Mali. Lo ha sottolineato il padre gesuita Paolo Dall’Oglio, espulso in giugno dalla Siria (dove animava il dialogo interconfessionale a partire dalla comunità monastica di Deir Mar Musa) per le posizioni considerate da Bashar al-Assad, il dittatore, troppo vicine alla rivoluzione.
Padre Dall’Oglio ha delineato un quadro che non salva nessuno degli attori di questa guerra/cancrena mediorientale. Non la diplomazia internazionale, bloccata nello stallo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU denunciato dallo stesso Segretario generale Ban Ki-moon. Non l’Occidente e il fronte arabo “moderato” (Paesi del Golfo e Turchia) che portano avanti i loro supposti interessi strategici con l’obiettivo di sottrarre finalmente Damasco dalla sfera d’influenza russo-iraniana. Non il regime, ovviamente, una dittatura che calpesta i diritti umani e opprime la sua gente. Né le frange violente dell’opposizione in rivolta, che meriterebbero l’attenzione del Tribunale penale internazionale al pari del clan di Assad. Non le bande estreme di un Islam integralista infiltrate tra l’opposizione.
Osserva Padre Dall’Oglio che la Siria rischia di spaccarsi, di implodere, dando vita a entità diverse: la zona costiera e il resto, con un punto interrogativo pure sul futuro delle regioni nord-orientali a maggioranza curda (un vecchio problema che in tempi di guerra civile si riaccende). Conclude che è inutile cercare il punto di mediazione tra rivoluzione e regime, come pretende ancora di fare l’inviato speciale dell’ONU, Lakhdar Brahimi.
Intanto, crescono gli effetti destabilizzanti di una grande emergenza umanitaria: centomila siriani fuggiti dalla Siria tra Turchia e Libano, e un milione e 200mila profughi interni. Gente che si ritrova senza un tetto. Senza contare che i Paesi confinanti sono i primi a soffrire gli effetti della crisi, perché vedono insidiato il loro stesso fragile equilibrio (in particolare il Libano con il suo mosaico di confessioni e di milizie).
La domanda è: esiste ancora la Siria? E poi: siamo o no in grado di capire davvero che cosa sta avvenendo e dove ci porterà la rivoluzione? Al di là delle battaglie e dei massacri, e dell’esito diverso che le primavere arabe hanno finora prodotto, quale mondo attorno a noi, al Mare Nostrum, si sta ricostruendo? La “cancrena” non aiuta la comprensione.
Dietro le ferite, è arduo individuare le linee evolutive di una situazione che ci sfugge giorno dopo giorno. La verità, ci sfugge. La direzione. È il segno forse più eloquente della nostra incapacità di influire sugli eventi e spingere verso la direzione per noi più conveniente: la democrazia, ma anche la stabilità, e il ridimensionamento dell’Islam estremista anti-occidentale.