La guerra per l'acqua: lo scenario mondiale
Dalla diga di Mosul minacciata dall'Isis alle dispute in Medio Oriente e Asia. Perché l’oro blu diventerà un obiettivo del terrorismo internazionale
Per Lookout news
L’acqua, la principale fonte di vita dell’umanità, si è trasformata in una risorsa strategica al centro di interessi geopolitici. La sua rarità e il suo valore crescente potrebbero infatti portare in un futuro non troppo lontano a conflitti internazionali per la sua attribuzione. Il controllo dei bacini idrografici potrebbe far scoppiare conflitti armati soprattutto in quelle zone del mondo dove già si registrano tensioni politiche tra Paesi.
Ecco una mappa dei punti caldi per il controllo dell’acqua nel globo terrestre.
Israele e territori palestinesi
Uno dei possibili scenari di conflitto per il controllo delle risorse idriche è il Medio Oriente. Le acque contese sono quelle del fiume Giordano e dei pozzi sotterranei della Cisgiordania, dai quali dipende il mantenimento dall’agricoltura e dell’industria israeliana. Solo il 3% del bacino del Giordano si trova in territorio israeliano, ma Israele ne sfrutta il 60% della portata a scapito dei suoi vicini libanesi, siriani, giordani e palestinesi.
La Guerra dei Sei Giorni del 1967 (quella in cui Israele occupò le Alture del Golan e la Cisgiordania), permise allo Stato Ebraico di avere anche il controllo sulle risorse d’acqua dolce del Golan, sul Mare di Galilea e sul fiume Giordano. Lo storiografo Ewan Anderson ritiene che “la Cisgiordania si è trasformata in una fonte di acqua indispensabile per Israele, e si potrebbe dire che questa questione pesa ben più di altri fattori politici e strategici”.
Secondo i dati della relazione Acqua e conflitto arabo-israeliano, pubblicata dall’Osservatorio Eco Sitio nel 2006, mentre ai palestinesi non è permesso scavare pozzi che superino i 140 metri di profondità, quelli israeliani possono arrivare fino a 800 metri. Il risultato è che le popolazioni palestinesi hanno accesso solo al 2% delle risorse idriche della regione. L’acqua è dunque una questione chiave nel processo di pace del Medio Oriente.
Africa
Un’altra zona di bacini idrografici in cui è in gioco la sicurezza internazionale è quella del Nilo, che attraversa dieci Paesi africani (Etiopia, Sudan, Egitto, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Rwanda, Repubblica Democratica del Congo ed Eritrea) e dove, al termine di complicati negoziati, si sono sbloccati i lavori per la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam, la diga più grande d’Africa che vedrà coinvolta in prima linea la ditta italiana Salini Impregilo.
Le acque del Nilo hanno un bacino di utenza che nel 2025 potrebbe arrivare a 859 milioni di persone. Secondo la Fondazione per l’Investigazione delle Scienze, la Tecnologia e la Politica delle Risorse Naturali, il Nilo Bianco (che nasce in Burundi) e il Nilo Azzurro (che nasce in Etiopia) sono stati motivi di tensione permanente tra Egitto, Etiopia e Sudan.
Nel 1970 l’Egitto finì la costruzione della diga di sbarramento di Assuan che determinò lo sfollamento di 100mila sudanesi e la conseguente tensione tra i due Paesi. In seguito l’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese paralizzò la costruzione del Canale di Jongle, un progetto d’ingegneria egiziano-sudanese. Negli anni Sessanta l’Egitto bloccò l’approvazione di un prestito internazionale per la costruzione di 29 dighe per uso idroelettrico e per l’irrigazione sul Nilo Azzurro per l’Etiopia, progetto che avrebbe ridotto dell’8,5% la capacità dei bacini artificiali egiziani.
Nel 1999 si è svolta in Tanzania un’apposita conferenza regionale sulle questioni delle acque della Foce del Nilo. I dieci Stati partecipanti hanno sottoscritto un accordo strategico per superare i loro conflitti: un piano per “ottenere uno sviluppo socio-economico sostenibile mediante l’utilizzo equo delle risorse idriche, riconoscendo i diritti di tutti gli Stati costieri all’utilizzo delle risorse del Nilo per promuovere lo sviluppo dentro le sue frontiere”.
Turchia-Iraq-Siria
Un altro focolaio di conflitti per il controllo del prezioso liquido si trova nella regione dell’Anatolia, dove Turchia, Iraq e Siria condividono il corso dei fiumi Tigri ed Eufrate. A questo proposito il governo turco, in occasione del Terzo Forum Mondiale dell’Acqua ospitato a Città del Messico nel marzo del 2006, affermò che “l’acqua è nostra quanto il petrolio iracheno è dell’Iraq”.
Il conflitto tra l’esercito turco e i militanti curdi ha spinto nel 1989 il governo turco a minacciare la Siria di tagliare il rifornimento d’acqua se non avesse espulso dal suo territorio i gruppi insorti del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) che lottavano per la nascita del Kurdistan, uno Stato autonomo curdo. Nel 1990 la Turchia finì la diga di Ataturk, che travasa acqua verso il sud della Turchia per irrigare 1,7 milioni di ettari di terre coltivate. Si teme che nel futuro la portata delle acque dell’Eufrate in Iraq calerà dell’80-90%.
Per quanto riguarda l’Iraq, durante il Quinto Forum Mondiale dell’Acqua (Istanbul, 2009) è stato reso noto che “le strutture idriche in Iraq, in seguito all’occupazione delle truppe statunitensi, britanniche e di altri Paesi, hanno sofferto gravissimi danni, anche se avrebbero dovuto essere protette dalle leggi internazionali”. È una questione chiave, che negli ultimi mesi ha riguardato direttamente l’Italia considerato che nella diga di Mosul – la cui riparazione è stata affidata alla ditta italiana Trevi – saranno mandati 450 soldati italiani per difenderla da eventuali attacchi dello Stato Islamico.
Altre aree critiche
Oltre al Medio Oriente e al Nord Africa, ci sono altri luoghi del pianeta con tensioni di bassa intensità tra Paesi per l’utilizzo dell’acqua. È il caso di Kazakhstan, Kyrgyzstan e Uzbekistan, gli stati bagnati dal Syr Daya (il fiume che affluisce nel Mare di Aral), o di Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam, che condividono il fiume Mekong molto sfruttato per la pesca. Resta complicata la gestione della situazione per la Commissione del Fiume Indo, visto il permanente stato di tensione militare tra India e Pakistan.
La minaccia del terrorismo
Dai tragici eventi dell’11 settembre 2001 il mondo ha assistito alle varie trasformazioni del terrorismo internazionale. Oggi abbiamo strutture criminali che traggono forza e ispirazione da altre organizzazioni affiliate ad Al Qaeda o allo Stato Islamico, che dal Mali alle Filippine passando per il Medio Oriente e l’Asia Centrale si sono rese protagoniste di massacri e attentati in nome del Jihad.
Ma a preoccupare non è solo il terrorismo “tradizionale” ma anche il nascente terrorismo “molecolare” come viene oggi definito in Italia dall’Autorità Delegata per la Sicurezza della Repubblica. Una minaccia che deve portare a intensificare ancor di più tutti i governi e le strutture interessate a individuare nuovi strumenti operativi di protezione. È necessario in tal senso rafforzare gli strumenti di tutela ed elaborare nuove strategie per prevenire e contrastare i rischi e mitigare gli effetti di attentati realizzati mediante la diffusione intenzionale di agenti biologici, chimici e fisici tra la popolazione anche tramite la contaminazione di sorgenti, depositi, dighe e acquedotti.
Le organizzazioni statunitensi risultano in prima linea in questo tipo di azione e numerose utili informazioni sono reperibili in rete su molti siti istituzionali, tra i quali quelli dell’AWWA (American Water Works Association o dello US Army Center for Health. È utile segnalare, tra le tante, l’azione intrapresa dall’ente statunitense EPA (Environmental Protection Agency) con la pubblicazione di una serie di protocolli per la gestione degli eventi di contaminazione intenzionale di sistemi idrici.
A livello europeo, sono state emesse diverse comunicazioni della Commissione Europea, la prima del 28 novembre 2001, intitolata Protezione civile – Stato di allerta preventiva per fronteggiare eventuali emergenze, e la seconda dell’11 giugno 2002, intitolata Protezione civile – Progresso nell’attuazione del programma di predisposizione ad eventuali emergenze. Più di recente è stata presentata una comunicazione sulla cooperazione nell’UE in materia di predisposizione e reazione agli attentati biologici e chimici. Un’iniziativa che riguarda gli aspetti sanitari dell’attività dell’UE contro il bioterrorismo e descrive le misure prese dai ministri della Sanità e dalla Commissione per potenziare le difese sanitarie contro il rilascio intenzionale di agenti biologici e chimici.
Per accrescere la sicurezza e la fiducia nell’individuazione tempestiva di agenti infettivi e sostanze tossiche, nel contesto del programma di sicurezza sanitaria vengono promossi i sistemi a barriere multiple, l’utilizzo di marcatori adeguati nei punti chiave nonché l’instaurazione e il rispetto del sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) da parte dei fornitori.
Le contromisure adottate in Italia
Sul piano nazionale, in collaborazione tra Ministero dell’Interno, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Federgasacqua, mediante una serie di incontri tecnici e seminari, sono state individuate alcune strategie operative e possibili misure per la prevenzione di attentati biologici e chimici dei sistemi degli acquedotti, con particolare riferimento alle realtà locali.
Insomma, oltre alla prevenzione se vorranno evitare nuove guerre, i Paesi che condividono corsi d’acqua dovranno imparare a condividerli e a proteggerli con l’aiuto della comunità internazionale, affinché “l’oro trasparente” non sia conseguenza dei conflitti già scatenati dall’“oro nero” e soprattutto non diventi facile obiettivo del terrorismo internazionale.
* Chief Security Officer di ALTRAN Italia Senior Advisor UNODC Italia