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La lezione di Sgarbi su Casamonica

Il critico d'arte ancora una volta sorprende dicendo la sua sul funerale che sta indignando l'Italia e il mondo. E ha ragione

Vittorio Sgarbi è un personaggio controverso. Amato, odiato, rispettato, denigrato, è uomo capace, comunque la si voglia vedere, di ispirare sentimenti forti, direttamente proporzionati alla vivacità o talvolta alla “violenza” delle sue posizioni. E’, comunque, temuto perché parla con la sicurezza che gli deriva da una cultura profonda e variegata e da una naturale vocazione alla franchezza estrema, quella chiarezza cruda e per nulla indulgente che, normalmente, rende chi ne è portatore sano inviso ai più. Perché sono pensatori come Sgarbi che danno voce alle verità più scomode, quelle sovente sotto gli occhi di tutti ma di cui nessuno è autorizzato a parlare. 

Sul Giornale di oggi, il critico d’arte affronta un tema apparentemente distante dalla sua impronta e dai suoi interessi, il funerale del capostipite dei Casamonica a Roma che da qualche giorno alimenta lo “sconcerto di maniera” di pubblico ed istituzioni. E lo fa per affermare una tesi in apparenza controtendenza: non c’e nulla da indignarsi. Sembrerebbe una delle solite boutade alle quali pure Sgarbi non è nuovo. Ma andando oltre le premesse sembra difficile non concordare sul "fatto che ci si occupi di questo personaggio pittoresco e “pericoloso” ora che è morto piuttosto che quando era vivo… " Eh si perché a ben pensarci non si comprende se sia più grave e debba far più indignare il folklore messo in scena dagli eredi del de cuius in morte di questo o i decenni di totale indifferenza durante i quali questi “zingari” si sono piano piano innervati nel tessuto connettivo e sociale romano, accumulando fortune milionarie. In un modo strabiliante quanto semplice: tessendo relazioni, gestendo attività illecite senza fermarsi, quando raramente chiamati a rispondere delle loro azioni, di fronte alla “certa inconsistenza della pena”.
E a ben pensarci fanno sorridere tutti i proclami ed il grosso vociare degli alti rappresentati delle istituzioni che sembrano, in queste situazioni, provenire da un altro pianeta.
Non solo Roma ma l’Italia è il paese dove la “tolleranza cento” fa si che nascano, crescano e si consolidino realtà, come quella dei Casamonica, che scopriamo scabrose solo quando nel segno della loro “cultura” tanto cara al Presidente della Camera, pagano di tasca loro un funerale degno di Lady Diana. Perché il vecchio boss è la loro "Lady Diana" ed i sentimenti che nutrono per lui non sono, in fondo, molto dissimili da quelli del popolo adorante verso una principessa sfaccendata.
E che ora un Ministro dell’Interno si preoccupi dei problemi di viabilità creati da una carrozza tirata da cavalli impennacchiati o dello spartito della colonna sonora con la quale questa nobilità di borgata ha inteso accompagnare il proprio caro fa davvero sorridere.
Frusta ancora Sgarbi: "non è parso vero ai soliti indignati a comando di manifestare “stupore”, “sconcerto”, “vergogna” non per quello che Casamonica avrebbe rappresentato da vivo ma per come sia stato celebrato da morto…ai Saviano ed ai savianoidi sarebbe bastato che Casamonica se ne fosse andato all’altro mondo con discrezione, continuando ad ignorarlo da morto come lo hanno ignorato da vivo…"
Un paese il nostro dove l’indignazione postuma assurge a rito laico e talvolta, come in questo caso, anche religioso dal momento che anche in Vaticano hanno inteso marcare le distanze.
Aspettiamoci ora che le colpe ricadano in toto su un maresciallo dei carabinieri o un parroco di quartiere. Quando le responsabilità dovrebbero travolgere, oltre che le coscienze di tutti, anche una schiera di papaveri a cui è dato gestire la cosa pubblica, un protomartire di quarta fila si trova sempre.

I funerali del boss Casamonica

ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Chiesa Don Bosco, periferia di Roma, 20 agosto 2015. Un momento dei funerali del boss Vittorio Casamonica.

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