La morte di Aylan e le nostre responsabilità
Noi occidentali abbiamo lasciato i curdi soli a combattere contro la violenza del califfato islamico. Dov'è finita l'Europa? Dove sono finiti gli Usa?
Cosa si può dire di fronte alla foto di un bambino morto su una spiaggia? La risposta più degna sarebbe il silenzio, quel silenzio che significa rispetto di fronte alla tragedia. L’agghiacciante dolcezza di quella immagine è quasi profanata dalle nostre parole, dalle nostre discussioni, dalle nostre recriminazioni polemiche.
L'omaggio del popolo di Twitter alla memoria del piccolo Aylan KurdiTwitter
Eppure ogni immagine, soprattutto quelle che colpiscono le nostre emozioni, ci racconta qualcosa. Le immagini non sono oggettive, sembrano oggettive, e proprio per questo sono molto efficaci. Ma il realtà la storia è piena di immagini che raccontano solo quello che ci vuole raccontare chi le sa usare.
Il Manifesto ha usato quella foto per realizzare una copertina molto efficace. L’hanno vista in tanti, e questo significa che è riuscita. Non c’è altro che la foto del corpo di Aylan Kurdi, e il titolo “senza asilo”. Un brillante gioco di parole, per richiamare l’attenzione sul dramma di un bambino strappato al suo destino di bambino – che prevede anche il fatto di andare all’asilo - dalla guerra, dalla paura e dalla morte, e al tempo stesso per polemizzare sulla chiusura egoistica dell’Occidente, restia a concedere il diritto d’asilo ai rifugiati, ai migranti, a coloro che fuggono dalla fame e dalla guerra.
La prima pagina de Il Manifesto con la foto del piccolo Aylan, bambino siriano morto prima di arrivare in Turchia
In modi diversi, sono in molti a dire la stessa cosa, e non tutti con la finezza concettuale del Manifesto. Ma è proprio vero? La morte di Aylan Kurdi, del suo fratellino, di sua madre, è davvero colpa dell’Europa, degli Stati Uniti, dell’Occidente?
Purtroppo sì, è colpa nostra.
Ma non per i motivi che pensano i redattori del Manifesto, i teorici dell’ accoglienza, le anime belle di cattolici e laici dalla lacrima facile. La nostra colpa non è quella di non spalancare le porte a tutti quelli che vogliono entrare.
Guardatela quella foto: che storia racconta davvero quel piccolo corpo terribilmente solo, indifeso, e tuttavia composto, vestito con cura, garbato anche nella morte?
Ci racconta la storia di Kobane, la città martire della Siria, attaccata dai tagliagole dell’ISIS che hanno trovato la strada spianata nel paese devastato dalla guerra civile contro Bashir Assad. L’ultima delle “primavere arabe”, forse la più sanguinosa.
Chi c’era a difendere Kobane, assediata dall’ISIS? C’erano le milizie dei Curdi, popolo fiero e generoso al quale Aylan e la sua famiglia appartenevano. Un popolo musulmano, che si è battuto quasi da solo contro gli islamisti, i fanatici religiosi, gli assassini nel nome di Allah.
Cosa faceva nel frattempo l’America di Obama, pigramente seguita dall’imbelle Europa? Si baloccava con le primavere arabe, gettando la Libia nel caos, rischiando di consegnare l’Egitto alla Fratellanza Musulmana, incoraggiando i ribelli siriani. Se i progetti dei think tank di Washington fossero andati in porto (per fortuna li ha fermati – paradossalmente e in parte - Putin) oggi a Damasco sventolerebbero le bandiere del Califfato Islamico.
Invece sopravvive un regime dispotico, ma pragmatico e fondamentalmente laico, come quello del giovane Assad. Ma a che prezzo? Di una guerra drammatica, nella quale ciascuno si difende come può, e quando può.
E allora chi ha permesso che Kobane diventasse una città martire? La Stalingrado della Siria? Chi se non l’Occidente imbelle, pacifista, che si riempie la bocca di “dialogo” per non assumersi responsabilità?
I curdi di Kobane sono stati lasciati soli, o se li abbiamo aiutati lo abbiamo fatto in ritardo, di malavoglia, senza comprometterci troppo, qualche raid aereo, qualche drone, così da non mettere in pericolo le nostre preziose vite.
Da questo fuggiva la famiglia di Aylan.
Nella grande sfida globale, noi occidentali lasciamo che a combattere per noi siano di volta in volta gli israeliani, i curdi, i musulmani laici e moderati, i generali egiziani, i saggi re di Gordania e del Marocco, i democratici in Tunisia. Noi, invece, invochiamo la pace, e facciamo accordi con i carnefici di Teheran.
Se l’America di Obama, che tanto piace ai salotti buoni europei, che è così politicamente corretta, avesse fatto la sua parte (e con lei naturalmente l’Europa), oggi Aylan non sarebbe disteso esanime sulla spiaggia di Bodrum, sarebbe a Kobane, a casa sua, con il suo fratellino Galin, a giocare con il suo orsacchiotto, come in un’altra foto che in queste ore sta facendo il giro del mondo.
Questa è la vera, immane, responsabilità dell’Occidente.