La politica di Trump tra Arabia e paesi del Golfo
Il pragmatismo di The Donald segna una nuova era nelle relazioni estere. Niente "stay behind" ma accordi economici che servono per la lotta al terrorismo
E se finalmente il Medio Oriente avesse una possibilità di pace proprio con i due leader “impresentabili”, Trump e Putin? Un dato è certo, e cioè che la strategia mediorientale di Obama ha portato gli Stati Uniti a un sostanziale disimpegno dall’area, alla crescita del terrorismo e alla tensione fortissima con la Russia (mentre la logica imporrebbe un’alleanza con Mosca contro i fondamentalismi e il terrore).
Trump torna sulla scena globale con iniziative internazionali che in parte contraddicono le promesse della sua campagna elettorale ma che corrispondono a un’idea piuttosto precisa delle alleanze da riallacciare: con l’Araba Saudita e tutti i paesi del Golfo, con l’Egitto e con la Russia.
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La visita a Riad ha rilanciato le relazioni coi sauditi (gli Usa hanno firmato un maxi accordo da 110 miliardi di dollari per la fornitura di armi ai sauditi), in parte fondate sul business energetico e militare, in parte sul contrappeso di accordi per tagliare i finanziamenti ai gruppi terroristici sunniti attivi in Medio Oriente.
Criticare Trump in nome della lotta al terrore per le intese con l’Arabia Saudita significa non capire che ciò che conta nelle trattative coi sauditi sono i soldi e il petrolio. Una volta sistemati quelli, si può ottenere con più efficacia un nuovo atteggiamento anche verso le organizzazioni terroristiche.
D’altro canto, l’alleanza con la Russia è decisiva per definire insieme una “Yalta del Medio Oriente” che tenga dentro l’Iran e la Siria. La vittoria di Rohani, candidato moderato e riformista alla presidenza dell’Iran, alimenta un relativo ottimismo (anche se il potere reale resta nelle mani della Guida Suprema, Khamenei, conservatore).
Fine della retorica di Obama, quindi. Avanza il pragmatismo di Trump. E non è detto che sia una brutta notizia. Dopo il Golfo, il Presidente visita Israele e benedice il ritorno di fiamma tra israeliani e Stati Uniti. E anche questa non è una brutta notizia.
Israele continua a rappresentare nell’area il baluardo politico e militare dell’Occidente. Il pragmatismo della politica estera di Trump sarà compreso dai palestinesi meglio della retorica e del disimpegno di Obama. La filosofia dello “stay behind” non aveva fatto fare passi avanti alla pace da nessuna parte, in particolare aveva provocato in Libia (complice la Francia) un disastro del quale noi italiani siamo i primi a subire ancora le conseguenze. Prima di esprimere giudizi affrettati sul nuovo corso a Washington, sarebbe meglio guardare la realtà e attendere i risultati.