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ANSA/POLIZIA DI STATO
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La storia del capo della mafia cinese in Italia e Europa

Zhang Naizhong, arrestato il 18 gennaio scorso e ora ai domiciliari, solo due mesi prima aveva accompagnato un sottosegretario del governo di Pechino in visita di stato a Roma, per un giro nella capitale. Le intercettazioni svelano le relazioni pericolose

Una stretta di mano nella sede del governo italiano e un messaggio di benvenuto a favore di fotografi e telecamere. Sono le quattro del pomeriggio di lunedì 11 dicembre 2017. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni accoglie la delegazione della Repubblica Popolare Cinese in visita ufficiale di Stato composta da alcuni ministri, diversi sottosegretari e guidata dal vice premier Ma Kai: "È un grande piacere riceverla qui a Palazzo Chigi e darle il benvenuto nella sede del governo. La sua visita, signor Primo ministro, si inserisce in un quadro di relazioni continue e sempre più forti tra Italia e Cina".

Nelle stesse ore, sempre sull'asse Italia-Cina si registrano una serie di telefonate che vengono intercettate dalla polizia italiana. La prima è delle 10 circa del mattino. Da Pechino, Lin Gouchun, detto Laolin, chiama Zhang Naizhong a Roma. Gli dice che un amico, un personaggio importante di Pechino, si trova nella capitale e gli chiede di portarlo a visitare la città e di invitarlo a mangiare. Laolin spiega che un amico in Cina gli ha raccomandato di fare questo, e appena chiuderanno la telefonata gli girerà il contatto su Wechat.

Per gli investigatori italiani, Laolin è il capo del ramo malavitoso italiano ed europeo proveniente dalla regione cinese del Fujian, il numero due nella piramide gerarchica dell'organizzazione mafiosa cinese che ha la sua base a Prato. In Cina, Laolin ha comprato diverse miniere di carbone, gli affari italiani li ha lasciati sotto la gestione diretta di un suo fidato luogotenente. Pochi minuti dopo la prima telefonata, sempre Laolin richiama Zhang Naizhong e gli dice che deve mettersi in contatto personalmente con quella persona, perché lui è un "capo di Pechino".

Naizhong risponde che lui non sta bene, ha mal di schiena, ma chiederà ad Ashang di portarlo al Colosseo e in Vaticano, poi la sera gli farà trovare un ristorante prenotato. Laolin approva e gli dice di mettersi in contatto direttamente con il "capo di Pechino". Sempre per gli investigatori italiani, Zhang Naizhong è il vertice ultimo della piramide, il numero uno, il padrone indiscusso della mafia cinese in Italia ed Europa. La polizia gli sta alle calcagna da anni, lo considera l'uomo nero, il padrino, il capo dei capi.

Dopo le dieci e mezza, Naizhong chiama la segretaria Amei e le ordina di far uscire Ashang con la Mercedes. Il presunto leader di Pechino ha due-tre ore di tempo, deve portarlo in giro e poi riaccompagnarlo dove vuole lui. Poco prima delle 11, Ashang telefona a Naizhong, gli conferma che ha sentito il "capo di Pechino" e si vedranno fuori dall'albergo. Due ore più tardi Naizhong richiama Ashang, il quale riferisce che ha preso la persona, gli ha già fatto vedere il Vaticano e sono diretti verso il Colosseo. Naizhong chiede se lo ha fatto mangiare, Ashang risponde che non c'è tempo, alle 15 e 30 lo deve riaccompagnare in albergo perché ha un incontro con dei "leader" italiani.

Nel programma ufficiale della visita di Stato in Italia, alle 16 è fissato il ricevimento del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Ashang dice che il "capo di Pechino" gli ha dato appuntamento per le 17 e che dopo vuole andare a vedere la partita della Lazio. Naizhong conferma che ceneranno insieme in un ristorante vicino allo stadio Olimpico, saranno in sei, ci sono anche due amici del "capo di Pechino". Ashang dovrà aspettarli e riportarli in albergo al termine della partita.

Nei giorni successivi, ricevute le traduzioni delle trascrizioni delle intercettazioni, la polizia effettua tutti i riscontri e ricostruisce l'identità del "capo di Pechino": un sottosegretario del governo cinese che partecipa a tutti gli incontri ufficiali, anche a quello del 12 dicembre con il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

Ma è troppo tardi per fermare quello che, con la conoscenza di poi, è andato in scena per le strade di Roma il giorno 11 dicembre 2017: un cortocircuito diplomaticoistituzionale, per cui un esponente del governo cinese si muove in proprio con auto e autista messi a disposizione da colui che è ritenuto dagli investigatori italiani il capo della mafia cinese, e viene scortato dalle macchine della polizia italiana. Pure quando il sottosegretario, a bordo dell'auto del padrino, va a cena con il padrino in persona: Zhang Naizhong.

Panorama ha contattato la Farnesina e ha chiesto inutilmente i nomi dei componenti la delegazione cinese in visita ufficiale di Stato in Italia. La domanda alla quale cercavamo una risposta è semplice: davvero un sottosegretario del governo cinese si è accompagnato con l'uomo che dalle nostre forze di polizia viene ritenuto il capo della mafia cinese in Italia e in Europa? Se c'è stato un contatto "proibito", era inconsapevole?

Certo, la "presa in carico" per un giro a Roma del sottosegretario cinese non è avvenuta in maniera casuale, ma su precisa richiesta arrivata da Pechino da parte di un uomo, Laolin, che per la polizia italiana avrebbe entrature molto forti grazie al business delle miniere di carbone. Uomo che viene considerato il braccio destro dello stesso capo dei capi, Naizhong.

Nell'analisi degli elementi per trovare una risposta alla domanda di partenza, gli inquirenti italiani mettono sul tavolo anche un fatto avvenuto ai primi di dicembre dello scorso anno, poco prima della visita ufficiale in Italia. Succede che il figlio del padrino, Zhang Di, viene arrestato in Cina. Il contatto telefonico con persone in stato di fermo dovrebbe essere vietato, anche a Pechino, ma Naizhong alza il telefono dall'Italia e parla direttamente con il figlio. In videochiamata, come spiega successivamente alla nuora, la moglie di Zhang Di, il quale verrà comunque rilasciato pochi giorni dopo.

Nel frattempo, il cerchio della polizia italiana partito dal duplice omicidio di due giovani cinesi, uccisi a Prato nel 2010, sta per stringersi. Il 17 gennaio Zhang Naizhong arriva a Prato in compagnia del figlio. Durante il giro delle sue aziende cambia continuamente auto, i poliziotti che gli sono alle costole alla fine ne conterannno otto. Al ristorante durante il pranzo le persone fanno la fila per essere ricevute. Si avvicinano, lo salutano, si inchinano. La notte, in albergo, dorme sul letto con un uomo che lo protegge a vista dal divano.

Al mattino, Zhang Naizhong viene arrestato dalla polizia su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, che spicca un mandato di cattura per 33 persone, tra le quali c'è Laolin e pure il figlio di Naizhong. Altri 54 sono indagati a piede libero. L'accusa per tutti è di associazione per delinquere di stampo mafioso.

Il capo dei capi viene portato in questura, si toglie dal polso l'orologio da 25 mila euro, si sfila anche l'anello con un diamante grosso quanto una nocciola, e si chiude nel silenzio. Rimane per molte ore da solo in una stanza della questura, quando i poliziotti lo accompagnano al fotosegnalamento, tutti gli altri arrestati seduti sulle sedie in corridoio, al suo passaggio abbassano la testa in segno di deferenza.

Secondo i magistrati, siamo in presenza di una organizzazione mafiosa che gestisce attività illecite come usura, estorsione, gioco d'azzardo, sfruttamento della prostituzione, spaccio di sostanze stupefacenti, importazioni illegali, commercio di merci contraffatte. Una struttura potente che agisce con discrezione, non si pone mai in aperto antagonismo con lo Stato, e che grazie alla gigantesca quantità di denaro contante ricavato dalle attività illecite è riuscita ad acquisire di fatto il controllo assoluto nel settore dei trasporti delle merci su strada.

Tutto ciò, secondo gli investigatori, facendo ricorso ad azioni intimidatorie e violente. A questo riguardo, gli uomini della polizia che hanno condotto l'inchiesta sono anche andati a rileggere diversi omicidi di cittadini cinesi avvenuti in Italia negli anni scorsi, e grazie ai nuovi elementi emersi durante le ultime intercettazioni sono arrivati ad alcuni punti fermi: gli autori degli omicidi erano tutti uomini del giro di Zhang Naizhong, e le vittime erano per la maggior parte concorrenti commerciali nel settore cruciale dei trasporti.

In un caso specifico, l'assassinio di Su Zhi Jian, per il quale Naizhong era stato condannato per favoreggiamento in primo grado e assolto in appello, le nuove risultanze investigative della polizia vengono ritenute valide al punto da ipotizzare che Naizhong sia il "mandante" di quell'omicidio.

Fin qui le certezze degli inquirenti. Ma il tribunale del Riesame di Firenze l'8 febbraio scorso ha provveduto a raffreddare gli animi. Scarcerazione di quasi tutti gli arrestati, la metà dei quali, compreso Naizhong, spediti ai domiciliari con braccialetto elettronico, e riformulazione dei singoli reati che non sarebbero legati da associazione mafiosa.

Un duro colpo quello inferto dai giudici alla Procura, che ha già presentato ricorso in Cassazione e che però negli ultimi giorni ha portato a casa un punto importante a favore dell'inchiesta. Chiamato in causa dai legali degli indagati che chiedevano il dissequestro delle 13 società, due delle quali in Francia e tre in Spagna, otto auto di grossa cilindrata, due immobili e 61 fra conti correnti e deposito titoli, lo stesso tribunale del Riesame di Firenze ha infatti respinto la richiesta e mantenuto il sequestro preventivo sulla base di queste motivazioni: "Le società risultano comunque riferibili a Zhang Naizhong", ed è stata provata l'evidenza di come "il capo dell'organizzazione criminale, Zhang Naizhong, poteva disporre di ingenti quantità di denaro che rappresentano i proventi delle attività illecite poste in essere dal gruppo criminale in questione, quali per esempio la contraffazione, il gioco d'azzardo, l'usura, le estorsioni, lo spaccio delle sostanze stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione".

Una conferma evidente che il sodalizio criminale di cui parla la procura esiste e ha al suo vertice il padrino, l'uomo nero, il capo dei capi: Zhang Naizhong.

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Questo articolo è stato pubblicato sul numero 17 di Panorama in edicola da giovedì 12 aprile 2018 con il titolo originale "Il boss di scorta"

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Carmelo Abbate