La strada del centrodestra verso le elezioni
Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno capito di non poter fare l'uno a meno dell'altro. E il tema della leadership lo risolveranno con la conta dei voti
Cos’è cambiato, fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, nelle ultime settimane? Probabilmente nulla, in realtà, se non la percezione – potentemente rafforzata dai risultati delle amministrative – di non poter fare a meno l’uno dell’altro. Di fronte alla caduta libera di Renzi, allo smarrimento del PD, alle difficoltà dimostrate dai grillini nel passare dal consenso virtuale a quello reale, la confortevole sensazione di essere l’unica area politica in salute, e comunque la prima per numero di consensi, è un balsamo che cura i rancori del passato e sembra promettere un radioso avvenire, a patto di andare d’accordo.
La leadership
Rimane certamente lo spinoso problema della leadership. Un tema però momentaneamente accantonato in nome del pragmatismo: sarà leader, e quindi candidato premier, chi prende più voti. Soluzione salomonica, che ad oggi – visto che le due maggiori forze del centro-destra sono più o meno alla pari - non scontenta nessuno e lascia aperte tutte le possibilità. D’altronde le elezioni bisogna prima vincerle, traguardo che – con la legge elettorale vigente e i numeri dei sondaggi - richiede al centro-destra un ulteriore grande sforzo, oppure richiede a Renzi di farsi un altro paio di clamorosi autogol come quelli ai quali ci ha abituato nell’ultima fase.
Escludendo però che il segretario del PD scriva un altro libro o si impunti ancora sullo Ius Soli, per i partiti del centro-destra non si tratterà più solo di lucrare sugli errori dell’avversario. Occorre dimostrare di avere i numeri, le idee, le capacità politiche per offrire agli italiani una prospettiva concreta di governo.
Lega e FI: le differenze
Il fatto è che – nonostante i numeri – le due situazioni di lega e Forza Italia non sono affatto simmetriche. Berlusconi è oggi l’interlocutore di ogni possibile geometria politica, è visto dai cosiddetti “poteri forti” – gli stessi che un tempo gli hanno fatto la guerra – come unico argine contro derive populiste (vere o presunte) che i “salotti buoni” della finanza e della cultura considerano con autentico orrore.
La Lega invece non ha margini di manovra, non ha sponde, non ha alleati, salvo la pattuglia di Giorgia Meloni, che però più che un alleato è un concorrente che pesca nello stesso bacino elettorale e non è certo disposta a farsi fagocitare dalla superiore potenza di fuoco salviniana.
Come sono lontani i tempi in cui la Lega (di Bossi) era “una costola della sinistra” vezzeggiata da tutti per indebolire Berlusconi. All’epoca Massimo D’Alema tratteneva le abituali smorfie di disgusto e faceva mostra di gradire le sardine in scatola offertegli nella casa romana di Bossi in occasione di clandestine riunioni notturne. Politique d’abord, anche per lui abituato ai più raffinati risotti di Vissani.
Non sappiamo come si mangi a casa Salvini, ma sappiamo che ben pochi sono curiosi di assaggiare la sua cucina. I suoi timidi inviti ai Cinque Stelle sono stati respinti come le goffe avances di un corteggiatore imbranato. Erano un tentativo palesemente azzardato di uscire dall’isolamento – un isolamento gonfio di voti ma privo di prospettiva e quindi di potere contrattuale – che ovviamente i grillini sono troppo furbi per assecondare.
La condizione di forza di Berlusconi
Dunque, al di là dei numeri, Berlusconi è in una condizione di forza e Salvini di debolezza. Salvini d’altronde è un politico freddo, abile, nonostante i toni e le apparenze è un vero professionista che sa quando “apprezzare le circostanze” e fare buon viso a cattivo gioco.
Berlusconi, dal canto suo, unisce due caratteristiche solo apparentemente contraddittorie: la capacità – per usare una sua celebre espressione – di farsi concavo e convesso secondo le situazioni, le circostanze, gli interlocutori, e una determinazione ostinata ai limiti della caparbietà nel perseguire i suoi obbiettivi di fondo (fra i quali non è mai contemplato quello di fare il socio di minoranza, tantomeno di un possibile governo di larghe intese con il PD, oltretutto straordinariamente impopolare fra gli elettori di entrambi gli schieramenti)
I Parlamentari in fuga
Nel frattempo, Berlusconi si gode il contro-esodo di parlamentari in fuga dalla traballante maggioranza. Il fatto è che chi riceve non è per nulla felice di condividere il benessere faticosamente raggiunto (e i futuri seggi parlamentari) con i disperati in cerca di salvezza. E poi aleggia sempre il sospetto che ci sia nascosta qualche presenza pericolosa con il volto - inconfondibile nonostante i camuffamenti – di Angelino Alfano.
Dunque Berlusconi per il momento sta a guardare, non chiude le porte ma non le spalanca, non garantisce nulla ma sa di essere il punto di riferimento al quale guarda tutta la complessa galassia centrista in cerca di un ruolo. È un’area politica potenzialmente non piccolissima, ma regolarmente rimasta schiacciata nelle competizioni elettorali, un’area politica che può portare un valore aggiungo in termini di voti, può rafforzare il sentiment, la percezione, di un centro-destra vincente, ma può anche dare l’idea di un riciclaggio di parlamentari ondivaghi assai poco gradito agli elettori.
Dunque Berlusconi può permettersi il lusso di stare fermo ed aspettare, lasciare agli altri le complesse manovre di quel “teatrino della politica” che lui ha sempre dimostrato di disprezzare. Anzi, nelle interviste fra trapelare spesso autentico fastidio per le domande su questi argomenti: quello che gli interessa ora è parlare agli elettori della “rivoluzione” che ritiene necessaria per far ripartire l’Italia. È convinto, non a torto, che questa sia la strada per vincere le elezioni, e per esercitare la leadership.
L'intendance suivra, avrebbe detto De Gaulle, che se ne intendeva.