La strage di Suruc e il gioco ambiguo di Erdogan
Censurando le immagini del massacro islamista, il presidente turco ha gettato la maschera. Dando prova di inaccettabile doppiogiochismo
Perché il governo turco ha voluto che fossero ritirate dai social network le strazianti immagini della strage di Suruc? Perché il blocco, per due ore, di Twitter decretato dal tribunale della cittadina dove è avvenuta la strage? L'ostilità del presidente Recep Tayyip Erdogan nei social network, strumento fondamentale delle proteste di Gezi Park di due anni fa, non è una novità in Turchia: qualsiasi voce dissonante che resituisse l'immagine di un Paese meno che pacificato è sempre stato considerata un intralcio ai disegni nazionali e neoimperiali del Sultano.
I numeri parlano chiaro: solo nel 2014 la Mezzaluna è stato il Paese che ha richiesto il maggior numero di rimozioni di tweet sgraditi, 663, un record che non ha eguali in tutto il mondo. Durante la campagna per le amministrative del 2014 Erdogan ha usato toni incandescenti contro Facebook e Youtube, rei di aver amplificato la tangentopoli turca con la diffusione di intercettazioni che avevano coinvolto l'entourage più stretto del primo ministro - figlio compreso - nello scandalo finito sotto la lente di quei giudici che comunque erano stati rimossi nelle settimane precedenti.
Per Erdogan, che qualche mese fa è giunto persino a ad accusare Twitter di evasione fiscale, i tweet e le immagini che corrono sui social network sono «un pericolo per la società», come li definì nel 2013, quando i giovani di Istanbul usarono proprio twitter per auto-organizzarsi a Gezy Park.
C'è però dell'altro, secondo gli attivisti e gli analisti, nel caso della bavaglio al'informazione sulla strage islamista che ha ucciso 32 giovani volontari curdi riunitisi a Suruc per prendere parte a un programma di ricostruzione della città di Kobane, lungo il confine siro-turco, sottratta dalle milizie curde agli uomini dell'Isis nel gennaio scorso.
E quell'altro, proprio mentre nelle principali città turche scoppiano manifestazioni di protesta contro il governo duramente represse dall'esercito, ha qualcosa a che vedere con la struttura ambiguità della politica estera turca in Medioriente, con i suoi disegni egemonici.
Erdogan, specie nelle prime fasi della guerra civile in Siria, ha giocato un ruolo ambiguo, impedendo di fatto a migliaia di combattenti turco-curdi di sconfinare in Siria per combattere sul terreno contro l'Isis, militarizzando la frontiera, lasciando - e di questo lo accusano anche le cancellerie mondiali - che gli uomini di Al Baghdadi continuassero indisturbati a fare affari con i mediatori contrabbandieri turchi lungo il confine. Pertrolio, antiche reliquie trafugate dai musei siriani, e non solo, rivendute a prezzo stracciato dagli uomini vicini all'Isis attraverso la frontiera colabrodo tra Siria e Turchia, senza che il Sultano facesse nulla per impedirlo, mentre impediva - quello sì - la partenza di migliaia di volontari curdi desiderosi di combattere armi in pugno contro lo Stato islamico in Siria.
Di questo è accusato Erdogan: di intelligenza col nemico (leggi:Isis). Di aver preferito, in nome della realpolitik e dei disegni neo-imperiali turchi, una Siria divisa e in perenne guerra civile, piuttosto che un Paese forte, militarizzato e pacificato ai propri confini.
Quello che è avvenuto ieri, con il PKK curdo che è tornato a sparare, uccidendo per ritorsione due poliziotti turchi nella città di Ceylanpinar, al confine con la Siria, con le manifestazioni di protesta scoppiate in tutto il Paese per sedare le quali il Sultano ha usato le maniere forti, con il blocco di Twitter , è una conseguenza prevedibile della strutturale ambiguità, in questa fase, della politica estera di un Paese che formalmente - e qui sta lo scandalo - continua a far parte della Nato.
Che cosa accadrà ora in Turchia? Erdogan ha perduto per la prima volta la maggioranza assoluta nel Parlamento. Il partito guidato dall'Obama curdo Selahattin Demirtas, che ha portato l'Hdp oltre la micidiale soglia di sbarramento del 10% e conquistato 79 deputati, dimostra che qualcosa si sta muovendo. Che dopo tredici anni di potere ininterrotto il sistema di potere e di consenso dell'AKP di Tayip Erdogan - che nelle prime fasi era riuscito persino a addomesticare l'esercito e l'opposizione kemalista, un tempio bastioni di laicità - comincia a scricchiolare internamente, anche a causa del pressing dell'amministrazione Obama. Per il mondo, ma anche per molti turchi progressisti, i curdi non sono più semplicemente paria e terroristi, come sono stati dipinti per decenni dalla propaganda turca. Sono gli unici che, grazie all'appoggio aereo franco-americano, stanno fornendo un contributo sul terreno per arginare l'avanzata dell'Isis. Sono coloro che, agli occhi del mondo, srtanno pagando il maggior contributo di sangue per combattere i terroristi di Al Baghdadi. Di questo Erdogan dovrà tener conto. La censura sulle immagini della strage di Suruc, quasi che i martiri curdi uccisi dai due terroristi suicidi non debbano essere ricordati dall'Intera Nazione, è l'ultimo autogoal del Sultano. (PP)