La verità su Sigonella 30 anni dopo
In un saggio della Fondazione Craxi 45 documenti top-secret dell’amministrazione Statunitense. Che danno ragione a Roma
Trent’anni esatti per dimostrare, sulla base di carte segrete, che Bettino Craxi ebbe ragione: la crisi di Sigonella, la base aerea siciliana dove nella notte tra l’11 e il 12 ottobre 1985 il presidente del Consiglio socialista ordinò ai carabinieri di impedire «con le armi» che forze militari Usa prelevassero un gruppo di terroristi palestinesi, fu più che giustificata.
Oggi 45 documenti top-secret americani, che il tempo ha reso pubblicabili e che la Fondazione Craxi ha raccolto nel saggio La notte di Sigonella (Mondadori, 276 pagine, 18 euro), fanno finalmente luce su una delle pagine più controverse della recente storia italiana. E anche una delle più misteriose: c’è addirittura una pubblicistica che adombra l’ipotesi che sette anni dopo, nel 1992, proprio da quel braccio di ferro sarebbe partita la vendetta della Cia contro Craxi, nascosta dietro Tangentopoli e le inchieste anti-Psi.
La crisi di Sigonella inizia il 7 ottobre 1985, con il drammatico abbordaggio della Achille Lauro: quattro terroristi del Fronte per la liberazione della Palestina s’impadroniscono della nave da crociera italiana e di 545 passeggeri. Il commando uccide selvaggiamente Leon Klinghoffer, un ebreo americano disabile, gettandolo fuori bordo.
Dopo una difficile trattativa, la nave approda in Egitto, a Port Said, e il governo di Hosni Mubarak aiuta i terroristi, facendoli scappare su un Boeing: a bordo c’è anche Abu Abbas, uno dei leader dell’Olp.
Ma l’aereo viene intercettato dagli F-24 inviati da Ronald Reagan ed è costretto ad atterrare a Sigonella. Gli americani sono furiosi: la Casa bianca intima a Palazzo Chigi la consegna del commando. Craxi però è irremovibile: i reati sono avvenuti su una nave italiana e spetta alla nostra giustizia processarli.
Dalle carte si scopre oggi che nell’85 il governo italiano, meglio e prima di quello statunitense, sa che Mubarak è traballante e teme che le manifestazioni al Cairo si trasformino in rivolta contro il leader egiziano.
Craxi, che non è tipo da «scodinzolare» davanti all’alleato Usa, è anche convinto che in quella crisi l’Italia, amica dell’Olp e alla ricerca di complessi equilibri in Medioriente, debba trovare le linee-guida nel rispetto puntuale della legge.
Così non consegna né i quattro del commando (che nel 1986 saranno condannati all’ergastolo in Italia), né Abu Abbas, che può fuggire (e sarà condannato come mandante della strage). Tutto questo decide Craxi: anche se sa di rischiare la crisi di governo, che puntualmente arriva il 17 ottobre.
Ma gli americani capiscono presto le ragioni italiane. Già il 19 ottobre Washington segnala all’ambasciatore a Roma, Maxwell Rabb, che l’incidente è chiuso: «Date le circostanze» scrive il segretario di Stato, George Shultz «un nuovo governo guidato da Craxi è probabile. E non contrasta con gli interessi degli Stati Uniti».