Lega Nord, 20 anni di provocazioni
Il rifiuto di Salvini di presentarsi da Mattarella è solo l'ultimo di una lunga serie di sgarbi, istituzionali e no, del partito che fu di Umberto Bossi
“Che devo andarci a fare? A chiedergli il numero del parrucchiere?”.
Non bastava a Matteo Salvini non presentarsi da Sergio Mattarella per gli incontri con le opposizioni, il segretario della Lega Nord ha voluto sottolineare la sua assenza anche con una battuta al limite dell'irriguardoso.
Stupore e irritazione le reazioni trapelate dal Quirinale dove ieri le delegazioni di Forza Italia e Sel (nei prossimi giorni andrà anche Grillo con i capigruppo del M5S) sono state ricevute dal capo dello Stato.
A differenza degli altri, e non senza buoni motivi, Salvini ha evidentemente ritenuto che non serva a niente andarsi a lamentare al Colle per denunciare “il vulnus democratico” operato da governo e maggioranza sulle riforme, con la stretta sui tempi di voto e nella più totale indifferenza verso le minoranze costretta ad abbandonare l'Aula per riuscire a esprimere a pieno il proprio dissenso. Tuttavia, non presentarsi per niente, appare, ed è anche, uno sgarbo istituzionale come tanti altri (non solo rivolti a cariche dello Stato) compiuti negli anni da vari esponenti del Carroccio.
Kyenge orango
Dai consiglieri di quartiere a deputati e senatori, è lunga la lista degli esponenti della Lega che hanno rivolto insulti, offese e minacce al ministro per l'Integrazione del governo Letta, Cecile Kyenge, cittadina italiana di origine congolese.
Tra i tanti Dolores Velandro, ex consigliere di quartiere della Lega Nord a Padova, espulsa dal partito e condannata a 13 mesi per direttissima per aver scritto sulla sua pagina Facebook: “Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato delitto? Vergogna!”; l'europarlamentare Mario Borghezio, espulso allora dal suo gruppo a Strasburgo per aver definito la Kyenge “ministro bonga bonga”; il segretario Matteo Salvini, che l'attaccò prendendo a pretesto la follia di Mada Kabobo che uccise tre persone a picconate a Milano: “i clandestini che il ministro di colore vuole regolarizzare ammazzano a picconate: Cecile Kyenge rischia di istigare alla violenza nel momento in cui dice che la clandestinità non è reato, istiga a delinquere”.
Fino al caso istituzionalmente più grave, quello di cui si rese protagonista il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli: “la Kyenge? Sembra un orango”. Parole che scossero il Quirinale, fecero infuriare Enrico Letta, provocarono la reazione dell'Onu che definì “scioccante” la frase del leghista, indussero la Procura di Bergamo a indagarlo per diffamazione e discriminazione razziale, ma che non sono bastate al Senato e nemmeno Pd (che all'epoca dei fatti aveva chiesto le dimissioni del padre del Porcellum) a dare l'autorizzazione a procedere contro di lui.
Vendola pedofilo
Parole ingiuriose anche nei confronti del presidente di Sel e della regione Puglia Nichi Vendola, finito nel mirino dei leghisti, e in particolare del capogruppo della Lega Nord a Milano ed ex assessore al Turismo e Identità sotto il mandato di Letizia Moratti, Alessandro Morelli, per aver detto di essere pronto “a fare la mamma”.
Per tutta risposta, Morelli pubblicò sulla sua pagina Facebook una foto di Vendola con il suo compagno e sotto la scritta: “Vendola, gay e pedofilo. Civiltà questa sconosciuta”.
I maiali di Calderoli
Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli ha più volte sfiorato (e anche causato) veri e propri incidenti diplomatici a causa della sua reiterata crociata anti-Islam. Nel 2006 si presentò in tv con una maglietta con su stampata una vignetta che irrideva Maometto.
In realtà si trattava della vignetta pubblicata in prima pagina da France Soir nella quale il profeta, in presenza Budda e Jahvè, viene rimproverato dal Dio cristiano che gli dice: "Non brontolare, Maometto, siamo stati messi in caricatura tutti quanti, qui".
Ma il fatto provocò comunque forti reazioni perché la religione islamica proibisce la raffigurazione umana di Maometto.
L'anno dopo, invece, se ne uscì con la proposta choc di indire un “maiale-day” (le cui carni sono cibo proibito dal Corano) contro la costruzione di nuove moschee in Italia. Proposta raccolta dall' ex sottosegretario all' Istruzione Mariella Mazzetto che, accompagnata da un gruppo di militanti del Carroccio, ne portò uno al guinzaglio a razzolare nei prati dove sarebbe dovuta sorgere la nuova moschea di Padova.
Il dito medio di Bossi
Un tic, un riflesso incondizionato, il cavallo di battaglia di un battutista comico.
Questo era diventato nel tempo il gesto distintivo di Umberto Bossi, quel dito medio che scattava nell'aria tra gli applausi dei fan in visibilio ogni qual volta l'ex senatur sapeva di trovarsi in territorio amico.
Come nel nel 2011, alla festa della Lega a Besozzo, quando l'allora ministro della Repubblica, sul palco insieme al compagno di partito e di governo Roberto Calderoli, lo mostrò al cantante ingaggiato per l'occasione reo di aver citato il Tricolore in un verso della canzone inserita in scaletta per i 150 anni dell'Unità d'Italia.
O nel 2008, davanti alla platea congressuale della Lega, in riferimento questa volta all'Inno di Mameli.
Gli attacchi al capo dello Stato
Sergio Mattarella non è il primo presidente della Repubblica al quale gli esponenti della Lega riservano comportamenti e parole molto poco riguardosi della carica ricoperta.
Nel 1993 Umberto Bossi fu processato, e poi assolto, per aver proferito frasi ingiuriose nei confronti dell'allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.
Nel 2011, diede del “terùn” (terrone) a Giorgio Napolitano facendo, questa volta, anche il gesto delle corna.
Per non parlare di tutte le volte che diversi esponenti del Carroccio ne hanno chiesto le dimissioni o hanno usato parole durissime verso il suo operato come Matteo Salvini che nel 2013 gli intimò di tacere, “che è meglio” e che a gennaio scorso definì “penoso” il suo ultimo discorso da presidente.
Roma Ladrona
Oggi che ha deciso di conquistare spazio e consenso anche sotto la linea del Po, Matteo Salvini non fa altro che chiedere scusa a romani e meridionali per gli insulti di un tempo.
Ma quella del Sud inoperoso e della Capitale ladrona è stato il leit motive di vent'anni di offese e provocazioni difficilmente dimenticabili. Anche se il segretario della Lega insiste nel ribadire quello che anche Umberto Bossi, in privato, ha sempre sostenuto e cioè di non avercela mai avuta con i romani o con la gente del Sud ma con i loro politici e amministratori, in pubblico è sempre stato un dilagare di attacchi di ogni genere.
Da Corinto Marchini, ex comandante delle Camicie Verdi e senatore per il quale la sua nonna romana era per lui come un’unghia incarnita a Gianfranco Miglio che non sarebbe mai andato a insegnare a Catania o a Palermo per non fare una fatica inutile, fino a Bossi per il quale Spqr non vuole dire Senatus Popolosque Romanus o Senatus Popolusque Quiritium Romanorum , ma semplicemente “Sono porci questi romani”.
Alemanno? “Un sindaco mediocre”, un Gp di Formula Uno a Roma? “E dove c.... lo corri?”, la Roma di Totti? “Se non ha acquirenti è giusto che fallisca”. Una volta il Capitano disse che la Lega attaccava Roma “perché è la città più bella del mondo”, “peccato ci siano troppi romani” la replica di Davide Cavallotto mentre per il solito Roberto Calderoli il pupone avrebbe parlato così solo perché “non ha mai visto Bergamo”.