Legittima difesa: Camera, striscione Lega in Aula
ANSA/FABIO FRUSTACI
News

Legittima difesa, quando le vittime pagano (due volte)

Le storie di chi ha difeso casa, famiglia, proprietà privata usando la forza finendo condannato o comunque costretto a spese legali enormi

Il gioielliere Robertino Zancan ha perso un milione di euro. Il tabaccaio Franco Birolo, invece, ha già investito 120 mila euro in spese legali e ora sulla sua testa pende la spada di Damocle di un risarcimento da 325 mila. Benvenuti nel mondo della legittima difesa alla rovescia, dove le vittime sono costrette a pagare per aver protetto sé stessi e la propria attività dall’assalto dei ladri.

In attesa del via libera alla legge, Panorama racconta le storie di chi è costretto a spendere cifre enormi per avere giustizia. Come, appunto, Robertino Zancan, 41 anni, gioielliere di Ponte di Nanto nel vicentino che, a inizio dicembre 2005, si ritrova sotto sequestro di una banda di slavi. Non pensa al proiettile che potrebbe fargli saltare il cranio, ma a moglie e figli in piedi davanti a sé: un ragazzino di otto anni e una bimba di quattro aggrappata alla gamba della mamma. Quattro scassinatori l’hanno già immobilizzato con a forza di pugni allo stomaco. Sono sempre gli stessi che 20 giorni prima entrarono nel cortile di casa durante la notte. Lui, spaventato, per farli scappare aveva sparato in aria con la pistola regolarmente posseduta. Chiamò i carabinieri che trovarono i bossoli nel cortile ma non i segni di scasso, così gli tolsero l’arma e finì su tutti i giornali locali per un «comportamento da Far West».

Grazie alla notizia, i ladri sanno che non è più armato e così tornano. «Non abbiamo nulla qua» grida Zancan con la faccia a terra. Prende altri pugni, poi in tre mettono sottosopra la casa non trovando quello che cercano e insistono con l’uomo: «O ci dai quello che vogliamo o vi ammazziamo tutti». Uno di loro va verso la moglie e gli strappa la figlioletta scaraventandola per aria. «Non c’ho visto più» racconta Zancan a Panorama «anche gli animali reagiscono se gli tocchi i cuccioli. Mi sono lanciato contro l’uomo urlando “fermo”». Ma un altro da dietro gli torce il braccio e gli rompe una spalla. Come furie si scaraventano su di lui e lo massacrano. Resta a terra. Dopo ore gli slavi trovano una vecchia cassetta di sicurezza nascosta in casa, Zancan dà loro le chiavi e vanno via con la refurtiva. Si tratta dell’ennesimo assalto.

Anni dopo si sono presentati in azienda in otto, sparando 70 colpi di kalashnikov contro le pareti del locale. Nel tempo, tra attività che ha dovuto chiudere, danni collaterali e avvocati, Zancan ha perso più di un milione di euro. C’è chi pensa che questi siano episodi occasionali ma non è così.

In grande o in piccolo è il classico incubo in cui piomba chi subisce un furto. Se non sei morto la tua vita è stravolta, con traumi psicologici devastanti che ti segnano per sempre, anni nell’angoscia di rappresaglie, proiettili che arrivano per posta a casa, attività chiuse e anche se assolto senza processo dovrai spendere migliaia di euro per gli avvocati.

Molti hanno provato a difendere la propria vita, quella dei familiari e i propri averi come il meccanico di Bologna Quinto Orsi, 72 anni che per evitare il furto dell’auto di un cliente è finito in una bara. È il pomeriggio del 21 febbraio 2013 e, nell’officina di famiglia, con il figlio Fabio vede una Punto blu muoversi da sola. Sopra c’è Sonic Halilovic, bosniaco di 23 anni, che la sta rubando. Fabio lo insegue a mani nude. Halilovic accelera furiosamente in retromarcia e investe Quinto, uccidendolo. Poi scappa. «Ogni mattina che vado al lavoro la mente corre sempre lì» spiega con la voce rotta Fabio. Halinovic costituitosi viene condannato a 16 anni per omicidio volontario, ma in Appello la pena si riduce a 6 anni e 8 mesi: è stato giudicato un incidente. L’assicurazione dell’auto ha pagato un piccolo risarcimento ma tra carcere e arresti domiciliari il bosniaco ha scontato 4 anni ed è tornato libero. «Oltre ad aver perso mio padre che giustizia è questa? Eh!» chiede Fabio distrutto.

È un’ingiustizia, la stessa a cui fa riferimento il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha voluto una nuova legge sulla legittima difesa. Tra le novità del testo: la difesa sarà «sempre» legittima quando sussiste la violazione di domicilio e l’azione violenta degli aggressori. Non sarà punibile chi si è difeso in «stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto». Chi si è legittimamente difeso ed è stato assolto in sede penale, non dovrà risarcire danni eventuali in sede civile. I processi avranno priorità sugli altri e chi si ritroverà vittima di un’aggressione del genere avrà diritto al gratuito patrocinio legale dello Stato. Il tutto con un aggravio delle pene per chi commette furti, rapine e violazioni di domicilio.

Lo ha ribadito Salvini facendo visita in carcere al piacentino Angelo Peveri, condannato a 4 anni e 6 mesi per il tentato omicidio di un ladro rumeno entrato nella sua azienda a rubare gasolio il 5 ottobre 2011. «Ho sempre lavorato, mi hanno derubato 90 volte e vado in galera. Mi sento un coglione» ha detto prima di entrarci. Peveri ha subìto otto anni di processi e sostenuto spese legali, per sé e un dipendente, di oltre 120 mila euro. «Arriveranno altre richieste di danni civili dal ladro» racconta frastornata la figlia Martina, «e 30-40 mila euro sono già stati destinati al ladro, soldi nostri, non riesco neanche più a ricordare quanti ne abbiamo spesi, siamo in black out totale. La nostra vita non tornerà più quella di prima. Non riusciamo più a stare in casa da soli. Viviamo nella paura che possano rientrare e accada di nuovo».

Ermes Mattielli, disabile con una gamba di legno, fa il rigattiere, ha 62 anni e vive ad Arsiero, tra le montagne vicentine. Il 13 giugno 2006 spara contro due ladri nomadi, sorpresi a rubare nel suo deposito e li ferisce. Nove anni dopo, nell’ottobre del 2015 viene condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione e a risarcire i ladri con 135 mila euro. Uno shock. Traumatizzato, senza denaro per sé e neanche per pagare il legale, un mese dopo la condanna, a novembre, muore di infarto. Non c’erano neanche i soldi per il suo funerale.

Dopo aver subito diversi tentativi di furto la notte del 26 aprile del 2012 Igor Ursu, moldavo di 23 anni, e altri tre uomini sfondano con un auto la vetrina della tabaccheria di Franco Birolo, 47 anni, a Civé nel padovano. Lui dorme al piano di sopra con moglie e figlia. Sente il trambusto e scende preoccupato che possano entrare in casa. Si ritrova con la pistola in mano in mezzo ai malviventi e mentre sta per essere aggredito alle spalle, spara, uccidendo Ursu. Il tabaccaio viene condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi per eccesso colposo di legittima difesa e a risarcire 325 mila euro. Nel marzo 2017 la Corte d’appello lo assolve. E a luglio 2018 la Cassazione dichiara inammissibile la richiesta di risarcimento da parte della famiglia del morto. Però Birolo ha speso in legali più di 120 mila euro: «Ho venduto l’attività perché non avevo più soldi. Ora faccio l’agricoltore, guadagno molto meno, ma vorrei stare tranquillo. Non ne posso più. Assisto meglio i miei genitori anziani». Di recente ha ricevuto una richiesta di mediazione dai parenti del rapinatore ucciso. Atto che preannuncia una probabile causa civile con richiesta danni.

È il 3 febbraio 2015 e siamo a Ponte di Nanto con cinque rapinatori armati di mitra che assaltano ancora una volta la gioielleria di Robertino Zancan. Dentro i locali c’è solo la commessa Jenny. Il benzinaio di fronte, Graziano Stacchio, 65 anni, prende il fucile legalmente denunciato e va a difenderla. I ladri sparano all’impazzata, ad altezza uomo, e nel piazzale è un fuggi fuggi. Stacchio, prima si nasconde con Zancan dietro un cassone di ferro, poi avanza verso la gioielleria. Mitragliato, spara alle gambe del ladro Albano Cassol, giostraio rom con precedenti penali, che muore. I familiari del giostraio reclamano i danni: «Stacchio doveva farsi i fatti suoi». Il pm chiede l’archiviazione, ottenuta a giugno 2017. Lo salvano le telecamere della gioielleria che confermano la sua ricostruzione. «È stata durissima» spiega Stacchio a Panorama, «16 mesi di attesa. Solo in spese legali ho dato 60 mila euro senza neanche arrivato al processo, ma sono stato aiutato da Confcommercio e Assopetroli che hanno aperto una sottoscrizione per coprire le spese. Gli italiani hanno cuore». I malviventi no. A lui e a Zancan, dopo il caso, sono arrivate due lettere anonime con alcuni proiettili.

Il 24 novembre 2015 tre albanesi incappucciati e armati di pistola sequestrano nella cantina della sua villetta a Rodano (Milano) il gioielliere Rodolfo Corazzo di 59 anni, la moglie e la figlia. Corazzo collabora per più di un’ora, gli albanesi gli portano via più di 100 mila euro, ma vogliono di più. E passano alle maniere forti: puntano un coltello alla gola della figlia. Ne nasce uno scontro e Corazzo tira fuori la pistola che aveva nascosto in tasca, uccidendo uno dei tre. «La vita è stravolta. Non sei più quello di prima» ripete. Indagato per eccesso colposo di legittima difesa, viene archiviato a marzo 2017. «Siamo stati fortunati, l’avvocato e il medico legale ci hanno sostenuti, non ci hanno chiesto denaro», racconta. Oltre i 100 mila euro che gli sono stati rubati, ne ha dovuti spendere altri 15 mila per la sicurezza dell’abitazione e 1.500 per lo psicologo.

Nella notte del 10 marzo 2017, siamo a Casaletto Lodigiano, il romeno Petre Ungureanu, con dei complici, si introduce di nascosto nel ristorante Osteria degli Amis per rubare. Il titolare, Mario Cattaneo, 68 anni, dorme al piano di sopra con la famiglia e un nipotino. Svegliato dal rumore, Cattaneo scende imbracciando il fucile da caccia regolarmente denunciato. Durante la colluttazione parte un colpo che colpisce a morte Ungureanu. Nel 2018 Cattaneo è stato rinviato a giudizio per eccesso di legittima difesa. Il fratello del ladro si è costituito parte civile per chiedergli i danni. «Vado a dormire sotto i ponti. Fate di me quello che volete» dice Mario al telefono con la voce a pezzi. Ha già speso 60 mila euro per la difesa e siamo solo alle prime udienze di primo grado di giudizio, più 20 mila euro per rimettere a posto gli infissi divelti. «Devo capire se chiudere l’attività. È un incubo senza fine. Mi sento morire» sospira al telefono. È un uomo prostrato.

Come Francesco Sicignano, pensionato di Vaprio d’Adda, Milano. La notte del 20 ottobre 2015 si trova in casa Gjergi Gjonj, rapinatore albanese di 22 anni e gli intima di fermarsi ma questi nel buio gli va contro puntandogli un oggetto. Lo uccide. Solo dopo si scopre che si trattava di una torcia. Nel dicembre 2017 la posizione del pensionato viene archiviata per legittima difesa. La famiglia del ladro prima chiede un risarcimento e qualche mese fa, intervistata dal programma tv Le Iene, minaccia di morte Sicignano. Il padre del ladro: «Lo Stato italiano ti ha assolto. Ma io ti troverò, puoi nasconderti sotto terra... ma io, la mia famiglia o un sicario... qualcuno ti troverà e ti ucciderà», invitandolo a recarsi in Albania per avere denaro in cambio del perdono. «Questa vicenda mi ha rovinato la vita» dice Sicignano. «Anche la mia famiglia è minacciata. Almeno la Regione ha promesso di coprirmi le spese di cui non conosco l’entità. Ma lo Stato tutela i delinquenti. Un c...zo di psicologo si è mai degnato di vedere cosa sto passando io?».

C’è poi Daniele Ferretti, ha 70 anni ed è un gioielliere di Pisa. Il 13 giugno 2017 quattro ladri armati assaltano la sua azienda. Ferretti è con la moglie, parte una colluttazione e viene accoltellato, ma spara e uccide uno dei tre. Nel febbraio 2018 la sua posizione viene archiviata dai magistrati. Ferretti ha chiuso la gioielleria e non ne vuole più sapere. Non si è neanche costituito parte civile nei processi contro gli aggressori. Dopo 38 furti, di cui sei denunciati, Fredy Pacini decide di dormire nel capannone dove lavora, a Monte San Savino, in provincia di Arezzo. Va anche a dirlo in televisione per dissuadere i ladri dal rapinarlo ancora. È un commerciante di gomme e biciclette da corsa di 57 anni. «Ci chiamano “il bancomat”, per i tanti assalti» spiega il suo avvocato Alessandra Cheli. «Siamo vicini all’autostrada! La gente non va neanche più a denunciare. Lo so che è sbagliato ma sono convinti che non serva a niente». La notte del 28 novembre 2018, il latitante moldavo Tonjoc Vitalie fa irruzione con un complice nel capannone di Pacini, armato di piccone. Il gommista spara, Vitalie muore. «Ho avuto paura d’essere ammazzato e non avrei mai sparato per salvare le mie biciclette» ha spiegato a caldo Pacini. Il caso è in fase di accertamenti e l’uomo è indagato per eccesso colposo di legittima difesa. Il suo calvario è appena iniziato.
© riproduzione riservata

I più letti

avatar-icon

Antonio Amorosi