La Leopolda di Renzi: il nuovo centro di gravità permanente
L'evoluzione di uno spazio: da garage di idee a cuore dell'attività del Pd renziano
“Prossima fermata Italia” con questo slogan nasceva, il 5 novembre 2010, alla vecchia Stazione Leopolda di Firenze, quello che nell’arco di pochi anni sarebbe diventato il nuovo centro di gravità permanente della politica italiana e, con ogni probabilità, ma questo solo il tempo potrà confermarlo, della nascente Terza Repubblica.
Eppure, sembra essere passato un secolo da quando, l’allora sindaco di Firenze e, per i numerosissimi nemici di partito e non "il Gianburrasca della politica" tentava l’assalto alla diligenza di una classe dirigente oramai in completo disarmo e, soprattutto, incapace di produrre idee degne di nota per cercare di portare il Paese fuori dalle secche di una crisi economica e di sistema.
In quella prima esperienza che, per correttezza storica, va ricordato era targata dal duo Matteo Renzi - Pippo Civati, la scenografia raffigurava l’interno di un garage, a scimmiottare l’atmosfera delle società della Silicon valley, nate proprio nei garage americani, per mano di giovani talenti che nel giro di poco tempo avrebbero raggiunto l’Olimpo dell’economia mondiale.
Sul palco soltanto un tavolo, modello consolle da dj, un computer da dove twittare e un microfono stile anni Cinquanta dal quale si susseguivano gli interventi dei pochi fortunati che erano riusciti ad accaparrarsi i cinque minuti di gloria per mettersi in mostra davanti al futuro premier. Le persone iscrittesi a partecipare all’incontro furono 3.500 ma, inaspettatamente, e nemmeno più di tanto, se ne presentarono oltre 5.000, quasi a voler dare un segnale che uno tsunami stava per arrivare sulle coste del Pd e in breve avrebbe travolto tutto e tutti, perché quella non era una semplice riunione carbonara di pochi ribelli stanchi di aspettare il loro turno che forse non sarebbe mai arrivato e, infatti, il grido di battaglia del rottamatore fu “Siamo stanchi di aspettare”.
A distanza di quattro anni e altrettante Leopolde di mezzo, alla vecchia Stazione fiorentina la scenografia torna a essere un garage, per non dimenticare le origini, ma sul palco non c’è più un semplice sindaco ribelle nelle vesti di Gianburrasca che urla la sua rabbia contro lo strapotere di una classe dirigente fatta da dinosauri, ma il segretario del maggior partito italiano e, soprattutto, il Capo del Governo italiano.
In questo arco di tempo è successo di tutto. Civati ha abbandonato quasi subito il percorso rivoluzionario, i ghostwriter e i sostenitori renziani sono apparsi e scomparsi come meteoriti (vedi Alessandro Baricco), sono arrivati i finanzieri d’assalto (vedi Davide Serra) e in tanti hanno cercato di aggrapparsi al carro del vincitore facendo finta di essere dei neofiti del Palazzo (vedi Fassino).
Gli slogan di ogni appuntamento hanno avuto sempre un impatto dirompente, e non sarebbe potuto essere altrimenti, nella comunicazione politica 2.0. Dopo il Big Bang del 2011, Adesso del 2012 e Diamo un nome al futuro del 2013, il claim dell’edizione numero cinque della Leopolda è “Il futuro è solo l’inizio” forse a voler significare che l’universo renziano, se vuole sopravvivere a se stesso e agli assalti di chi non ha deciso di arrendersi, deve assolutamente dare dimostrazione di saper svolgere quel lavoro che i loro predecessori non sono stati in grado di fare. A proposito, che fine hanno fatto i rottamati, i dinosauri e compagnia cantando dalle cui macerie è nato proprio Matteo Renzi? C’è chi ha deciso di andare alla manifestazione della Cgil che per anni non hanno mai considerato, chi ha pensato di organizzare convegni per far vedere di essere impegnato e chi invece più modestamente va ai giardinetti. A voler riprendere proprio una citazione renziana: “uno sbadiglio li seppellirà”.