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(Ansa)
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La letteratura non è un reality show

Si è infiammato su “X” il dibattito sull’opportunità di leggere ancora Manzoni a scuola o se sostituirlo con autori considerati migliori. Qualche mese fa era finito alla gogna Giovanni Verga. E’ davvero necessario giocare a maltrattare uomini e artisti straordinari come se partecipassero a un reality show?

In un passo dello Zibaldone, Giacomo Leopardi scrive che gli italiani probabilmente odiano la loro patria, infatti non studiano più i loro grandi antenati Dante, Michelangelo e Canova. Chissà cosa direbbe oggi assistendo alle polemiche che, nel giro di pochi mesi, hanno colpito l’opera di Giovanni Verga, reo di essere noioso, e ora il romanzo di Alessandro Manzoni, perché su “X” è stato sentenziato che nell’Ottocento sia stato scritto di meglio, con tanto di classifiche e sondaggi al seguito. Non potendo leggere le parole tonanti che avrebbe usato Leopardi per questa deriva che vede la cultura e la storia banalizzate e ridotte a un gioco distraente e leggero, procediamo a rigor di logica e buon senso incominciando a ricordare che ci sono alcuni ambiti della vita su questa Terra che non devono essere sottoposti a classifiche, televoti, eliminazioni e tagliole e che uno di questi è senza dubbio la letteratura e, più in generale, l’arte.

La letteratura non è un bene esauribile e l’opera di un autore non ruba la scena ad altri testi, al contrario aggiunge, amplia, dona nuova bellezza e nuovo materiale su cui e da cui riflettere. L’arte e la letteratura sono beni sovrabbondanti e si sottraggono alle logiche del mercato, dell’esclusiva, del primato.

Se ci si vuole divertire, certamente si può giocare a mettere a confronto autori, pensieri e romanzi: capita di farlo in classe, per attirare l’attenzione e per stimolare il dialogo, per invitare alla sintesi, per argomentare e prendere posizione. Ma se si fa sul serio, se cioè si inizia a pensare, dichiarare e scrivere che sarebbe meglio leggere altro rispetto a Verga perché è noioso, o altro rispetto a Manzoni perché Zola – o un altro autore pescato nel mazzo – scrive di più e meglio, allora si entra in una dinamica distruttiva, anziché generativa, che è totalmente opposta allo spirito e al senso della letteratura. Perché un libro non scaccerà mai l’altro, anzi inviterà ancora e ancora alla lettura di ciò che gli somiglia e del suo opposto.

La letteratura richiede e offre pazienza, silenzio, disponibilità a varcare la soglia di mondi altri rispetto a quello che si vive ogni giorno con la propria vita, ma anche prese di posizione forti, decise, argomentate. In una parola, richiede e offre il contrario di ciò in cui siamo immersi in questo tempo in cui tutto deve essere accettato o rifiutato in tempo reale, incensato o cancellato una volta per tutte senza possibilità di una posizione critica, perché questa richiederebbe un pensiero divergente fondato sulla conoscenza profonda di ciò di cui si parla o si scrive. Costa fatica sapere per indagare, accordare e disunire informazioni e giudizi, per cui si finisce con l’applicare a ciò che è complesso le dinamiche riduzionistiche dello show televisivo e del mondo social: chi vince e chi perde, chi annoia e chi diverte, chi è “wow” e chi è “boomer”. In questi dualismi estremi e banalizzanti, non c’è ossigeno per la letteratura, per la riflessione, vale a dire per ciò che prova a restituire dignità al vivere umano. “Stupido il mondo che non dà gloria all’arte” è un verso di una canzone di Yuri Beretta. Ecco, ci siamo dentro.

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Marcello Bramati