«L’obbligo di leva serve ai giovani per mettersi al servizio del Paese»
Nell'intervista rilasciata a «La Verità», l’ex parà Pasquale Trabucco ha attraversato l’Italia a piedi per far tornare il 4 novembre festa nazionale: «Per la Costituzione la difesa della patria è un dovere sacro. A ottobre primo raduno dal 1939 dell’Unione ufficiali in congedo».
L’Ombra della vittoria - Il fante tradito (edizioni Gruppo Albatros, Il Filo, Roma) è il libro di Pasquale Trabucco scritto durante il suo viaggio da Bolzano a Siracusa, compiuto quasi completamente a piedi, per portare avanti una missione: ripristinare la festività nazionale del 4 novembre, una ricorrenza resa «mobile» nel 1976 da un provvedimento inserito tra quelli per l’austerity, e oggi celebrata la prima domenica utile dello stesso mese come festa delle Forze armate. Quella di Trabucco è una vera battaglia: classe 1960, già ufficiale dell’esercito e impiegato presso la presidenza del Consiglio dei ministri - comparto sicurezza, oggi pensionato, l’impresa lo ha portato a camminare, già dal primo giorno dopo il suo pensionamento, per oltre 1.000 chilometri trovando nelle persone «tanta voglia d’Italia». Nella sua opera, che dovrebbe essere letta innanzi tutto dai giovani, riporta alla luce fatti e vicende che giustificano ampiamente il ritorno di una festività istituita in quella data perché giorno successivo a quello della firma dell’armistizio della prima guerra mondiale, nel 1918.
Perché ripristinare il 4 novembre come festa dell’Unità d’Italia oltre che delle Forze armate?
«Oggi questa festa non è sentita dalla popolazione, ma ci sono diverse ragioni importanti perché torni a esserlo. La coesione del popolo, per esempio, ricordando che il re Vittorio Emanuele III, nel suo discorso dell’8 novembre 1917 alle truppe, disse: “Siate un esercito solo”; e a ben guardare con la pandemia, la politica e i media sono tornati più volte a usare termini come guerra, trincea e fronte. E abbiamo cantato l’inno nazionale dai balconi. Dopo il prossimo 25 settembre, chiunque vinca le elezioni dovrebbe ripristinare questa festa proprio perché super partes alle idee politiche. Soprattutto, un Paese che non conosce la sua storia non può definirsi tale: la Francia festeggia tre giorni ogni anno dal 1790, gli Stati Uniti dal 1776 festeggiano il 4 luglio come nascita del Paese e l’hanno celebrato anche durante la guerra di Secessione, tra il 1861 e il 1865, perché evento superiore alle posizioni dei belligeranti. Infine, per riconoscere alle nostre Forze armate di averci dato l’unità nazionale e ricordare chi per quello ha perso la vita. Indipendentemente dal ceto e soprattutto dal credo religioso. Si pensi, per esempio, che il più giovane e il più anziano tra i militari decorati con la medaglia d’oro al valor militare erano di religione ebraica, Roberto Sarfatti e Giulio Blum».
Perché il titolo Il fante tradito?
«Perché è stato tradito due volte, la prima togliendo la festa a una generazione che disse : “Non dimenticateci”, la seconda quando Giulio Andreotti e Giovanni Leone firmarono la trasformazione della festività nei giorni in cui l’Italia piangeva i cadetti che persero la vita nell’incidente aereo del Monte Serra accaduto il 3 marzo 1977, quando un C-130h Hercules dell’allora 46ª aerobrigata dell’Aeronautica militare precipitò uccidendo equipaggio e 38 allievi dell’Accademia navale di Livorno».
In questi giorni si torna a parlare anche di ripristino della leva obbligatoria. Secondo lei come potrebbe essere attuato in modo utile alla collettività?
«Innanzi tutto, cambiando il nome di un servizio che è stato sospeso nel 2005 ma non cancellato. È vero che l’articolo 11 della Costituzione dice che l’Italia ripudia la guerra, ma l’articolo 52 dice “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”. Con una definizione moderna come “Servizio nazionale” o “Servizio alla nazione”, un periodo al massimo di 8 mesi diviso tra un breve addestramento di base e poi attività a scelta tra militari, civili e sanitarie da svolgersi nella propria provincia o città, sarebbe estremamente utile ai giovani come al Paese. Bisognerebbe riattivare alcune strutture, ma parlandone durante varie delle 45 tappe nel mio viaggio per l’Italia, ho trovato i giovani molto positivi a un’idea del genere».
Il prossimo anno ricorreranno i 100 anni dell’Aeronautica militare mentre l’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia, l’Unuci, che per per la prima volta dopo il 1939 organizzerà a Roma il 29 ottobre il suo raduno nazionale, si appresta, nel 2026, a celebrare i suoi 100 anni. Qual è oggi il ruolo di una simile associazione?
«Attraverso le sue delegazioni territoriali e la partecipazione di chi si congeda - sempre meno persone purtroppo, vista la mancanza della leva dalla quale provenivano gli ufficiali di complemento - si possono attivare progetti molto importanti, a cominciare dal mantenere la memoria di fatti storici determinanti per la storia d’Italia, come ha dimostrato il docufilm realizzato sulle vicende del tenente Augusto Tognasso, incaricato di recuperare le undici salme da vari teatri di guerra dai quali fu scelta quella che oggi rappresenta il Milite ignoto. L’esperienza, l’addestramento e l’esempio degli ufficiali in congedo sono valori che vanno trasmessi alla popolazione civile, soprattutto oggi che leggiamo in cronaca troppi fatti legati all’emarginazione e alla microcriminalità. Nel mio libro si scopre qualcosa dell’Italia che si è perso, per esempio che la prima guerra mondiale fu un conflitto “del popolo” nel quale tutti diedero il loro contributo affinché fossero definiti i nostri confini nazionali. E a chi mi fa notare che esiste la Festa della Repubblica, il 2 giugno, rispondo: “Ma di quale immagine della nostra Repubblica?”».