Libia: solo armi, e non truppe, al governo Serraj
I controversi risultati della conferenza di Vienna e il ruolo del generale Haftar
Già sotto assedio sul fronte interno quando mancano ormai solo due settimane alle elezioni nelle principali città italiane, il premier Matteo Renzi - evidentemente preoccupato per il calo di consensi registrato dalle rilevazioni demoscopiche - ha deciso che non è il momento di rischiare di aprire un altro fronte nell'area sud del Mediterraneo, partecipando con i cosiddetti boots on the ground a una missione carica di incognite come quella libica.
L'Italia non fornirà soldati per la protezione della sedi dell'Onu in Libia come gli era stato chiesto dalle Nazioni Unite e dai partner americani. Si limiterà semmai a proteggere la sede diplomatica a Tripoli che dovrebbe riaprire nei prossimi mesi e a inviare un numero non ancora specificato di addestratori che sarà stabilito dalle Nazioni Unite.
EMBARGO SULLE ARMI
Il punto è che il governo di unità nazionale guidato da Fayez Serraj, l'unico che sia riconosciuto dalla comunità internazionale, appare ancora oggi troppo debole e diviso e risulta incapace - agli occhi dei diplomatici riunitisi ieri a Vienna - di tenere a bada le milizie sue alleate. La Libia è dal 2011 uno Stato fallito.
Toccherà perciò a Serraj stilare una lista di richieste in termini di armi pesanti e leggere, ma toccherà a una commissione costituita ad hoc dalle Nazioni Unite valutare ogni richiesta militare caso per caso, quasi che quello libico sia un governo di fatto interamente sotto tutela internazionale. L'unico risultato tangibile raggiunto ieri a Vienna è stato un relativo alleggerimento sull'embargo relativo alla compravendita di armi diretti al governo Serraj. Ma al momento gli unici che potranno ricevere armamenti leggeri rimangono le guardie presidenziali della cui costituzione si occuperà il generale Paolo Serra, consigliere militare dell’inviato Onu Martin Koblen. La nascita di forze di polizia e forze armate professionali selezionate secondo criteri riconosciuti internazionalmente appare invece ancora troppo lontana.
IL RUOLO DI HAFTAR
Non è nemmeno chiara quale sia la mission di un eventuale intervento internazionale in Libia. Se debba essere quella di armare e addestrare le costituenti forze di sicurezza libica, al fine di cercare di riportare l'ordine nel Paese, o piuttosto quella di combattere l’Isis, i cui miliziani sono già presenti in massa in alcune aree delimitate come a Sirte.
C'è poi da capire quale ruolo possa giocare il comandante libico Khalifa Haftar, sostenuto dall’asse franco-tedesco e dagli egiziani, che finora è stato il principale ostacolo al pieno riconoscimento del governo al Serraj in tutta la Libia.
Grazie anche al riavvicinamento dell’Italia all’Egitto di al Sisi, dopo le tensioni intorno al caso Regeni, Haftar sembrerebbe essere rientrato pienamente nella partita dichiarandosi disponibile a sostenere il tentativo di Serraj. Ma l'uomo è un osso duro e le divisioni strategiche tra Francia e Inghilterra da un lato e l'Italia dall'altro non aiutano a dissipare i dubbi sull'ennesimo bluff.