Lo scontro Grasso Caselli visto da un giudice controcorrente
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Lo scontro Grasso Caselli visto da un giudice controcorrente

Una lettera di Guido Salvini, ex magistrato a Milano e oggi presidente dei Giudici per le indagini preliminari a Cremona

Non entro nel merito della disputa tra il dr. Pietro Grasso e il dr. Gian Carlo Caselli, aizzata da Marco Travaglio, per non cadere (in momentanea assenza di altre occasioni) in crisi di astinenza. Non conosco abbastanza le vicende giudiziarie siciliane per sapere se abbia ragione il nuovo presidente del Senato, seconda carica dello Stato, che ha chiesto un immediato “confrontotelevisivo o il Procuratore di Torino che ha invocato l’immediata “tutela” da parte del CSM.

Di certo però questa vicenda offre l’immagine di una magistratura che ai suoi vertici più noti non perde l’occasione di dilapidare dinanzi ai cittadini, con sgradevoli scontri a metà strada tra il “personale” e il  “politico”, il capitale di credibilità conquistato con l’impegno contro le mafie e la corruzione.

Nelle pieghe di questa guerra interna è stato poco notato, con il suo sconcertante messaggio implicito, l’intervento pubblicato da vari quotidiani il 25 marzo dell’ex-consigliere del CSM Giuseppe Fici.

L’esponente del Movimento per la Giustizia, in carica al CSM all’epoca della nomina del Procuratore Nazionale Antimafia, ha sostenuto che, anche se la legge approvata nel corso della procedura di nomina non avesse escluso il dr. Caselli con l’escamotage del limite di età, il dr. Grasso avrebbe ugualmente prevalso al plenum del CSM.

Per motivare la sua affermazione il dr Fici ha spiegato che proiettando sul Plenum del CSM le preferenze espresse in Commissione secondo lo schema dei rapporti di forza tra le correnti, Grasso avrebbe certamente ottenuto 14 voti, quelli di Unicost, M.I. e dei laici di centro-destra mentre il dr. Caselli sarebbe stato certamente votato da M.D, Movimento per la Giustizia e laici centro-sinistra, con un voto quindi in meno, rimanendo incerta solo la scelta dei tre componenti di diritto del CSM, non elettivi, forse però attratti dal candidato più forte. L’autorevole ex-consigliere CSM ha così candidamente confessato, probabilmente senza rendersene conto, una circostanza gravissima che è sfuggita a tutti i commentatori.
In sostanza il plenum del CSM, dove siedono i Consiglieri che rappresentano tutti i magistrati e non solo quelli della loro parte e devono agire solo secondo criteri di buona amministrazione, chiamato a scegliere tra candidati a delicati incarichi direttivi, non usa valutare nella coscienza di ciascuno e caso per caso il candidato migliore, più esperto, più indipendente, più preparato e più idoneo per tale compito ma opta automaticamente per il candidato del proprio “partito” cioè della propria corrente o della corrente più vicina: in sostanza i propri uomini sono immancabilmente i migliori come accade nelle peggiori spartizioni politico - clientelari. E si parla, si badi bene, non di una votazione politica ma di un pubblico concorso come qualsiasi altro e in cui i capi della magistratura devono essere scelti nell’interesse dei cittadini e non per soddisfare il loro interesse personale o quello della corrente di cui fanno parte.

La previsione del dr. Fici non è profetica e non nasce da una palla di cristallo, e non proviene da un osservatore qualsiasi ma è da considerarsi più che meditata perché è formulata da un ex-consigliere che conosce bene i meccanismi decisionali del CSM.
Se così è, non vi è che da concludere che la prassi del CSM tradisce abitualmente i compiti che gli sono stati affidati e il tradimento del proprio ruolo da parte di un organo di rilevanza costituzionale non è un inezia secondaria ma una distorsione istituzionale grave meritevole, in casi analoghi, del commissariamento dell’organo che se ne  rende responsabile.
È giunto il momento, per noi magistrati, di contribuire a spezzare questo circuito vizioso che finisce a provocare le deludenti risse che riempiono in questi giorni le pagine dei quotidiani.

Non certo aumentando nel CSM il numero e l’influenza dei componenti non togati di nomina parlamentare ma pensando ad una proposta di riforma che annulli il meccanismo delle spartizioni e delle cordate anche e soprattutto nei casi non così noti come la scelta del Procuratore Nazionale Antimafia che vedeva, sia chiaro, comunque candidati di indubbio valore.

Qualsiasi ipotesi di riforma incontra la più fiera opposizione della ANM e di quasi tutte le correnti che, al di là delle maldestre petizioni di principio, intendono soprattutto continuare a esercitare il loro potere su un singolo magistrato, continuare a tutelare le carriere dei loro iscritti, il cursus honorum che molti magistrati intraprendono sin dall’inizio del loro servizio, sottraendo al lavoro tanto tempo in  egotiche iniziative di autopromozione. E intendono mantenere il rapporto di debito-credito che si instaura al momento delle elezioni per il CSM e che avvantaggia tanto gli eletti  quanto gli elettori che si attendono ricompense.

Se proprio non si vuole il sorteggio dei componenti del Consiglio non si può far finta che non esistano altre strade per stroncare i clientelismi e le carriere parallele e anche per accelerare la estenuante copertura dei posti oggi spesso bloccata dalle trattative a scacchiera tra le varie correnti.
Basterebbe ad esempio limitare, almeno per gli incarichi direttivi, l’intervento del CSM all’individuazione di una rosa abbastanza ampia di idonei tra i concorrenti - 3, 5 o 10 candidati  per ciascun posto - e tra questi estrarre a sorte il vincitore.

Ecco così divenute inutili di colpo le consultazioni di corridoio e le cordate. Del resto la scelta per sorteggio tra gli idonei è un meccanismo decisionale conosciuto nella storia, dall’antica Grecia in poi - si eleggevano così ad esempio i Dogi di Venezia – per stroncare i gruppi di potere che danneggiano la credibilità e l’indipendenza di un’istituzione e per ampliare le possibilità di partecipazione dei singoli e dei non allineati.
D’altronde non sono sorteggiati già oggi i giudici che compongono il Tribunale dei Ministri e i giudici popolari che possono condannare un imputato all’ergastolo ? Nessuno se ne scandalizza.

È un metodo che è in grado di resistere a qualsiasi obiezione di principio ma sono certo che non passerà mai.
Chi nel mondo della giustizia ambisce al potere, meritevole o no che sia, vuole essere certo di poterlo raggiungere e non si preoccupa di scontri, polemiche pubbliche, ricorsi al Tar, inefficienze che offrono spesso della magistratura un’immagine non meno deprimente di quella del ceto politico.
E in questo modo si spiega forse anche l’osmosi troppo frequente, eccessiva e dannosa tra i due mondi che vediamo ad ogni elezione e non solo.

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Guido Salvini