Loris, la testimonianza ignorata dai giudici del Riesame
Tutto quello che non convince nell'ordinanza che ha confermato il carcere per Veronica Panarello
Abbiamo letto l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Catania che ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere per Veronica Panarello, la donna di Santa Croce Camerina accusata di aver ucciso il figlio Loris Stival. Ci abbiamo trovato gli aggettivi evidenziati dai giornali in questi giorni: bugiarda, glaciale, crudele. La mamma del bambino viene definita una lucidissima assassina che ha agito con agghiacciante indifferenza.
Una testimonianza da non sottovalutare
L’abbiamo letta tutta, fino alla fine delle 109 pagine. Dove abbiamo trovato questo passaggio che ci ha lasciati esterrefatti. Viene riportata la testimonianza della signora Giovanna Portelli. La donna racconta cosa ha visto la mattina del 29 novembre alle 9,15, ovvero nei momenti in cui Loris è stato ucciso e poi gettato nel canalone. Parla di un’auto di colore grigio chiaro, un vecchio modello squadrato simile a una vecchia Lancia delta, secondo modello, che imbocca la strada del vecchio mulino a forte velocità con una manovra talmente azzardata che la signora Portelli teme possa essere successo qualcosa di grave. Le sue parole vengono riportate nell’ordinanza, ma i giudici le liquidano così: “In difetto di qualunque collegamento in atti con i fatti con cui si procede, non sono idonee a scalfire il significato gravemente indiziante nei confronti dell’indagata”.
In buona sostanza, per i giudici il fatto che un’auto sfrecci a tutta velocità nella strada dove verrà ritrovato il corpo del bambino, nei minuti compresi nella fascia oraria dalle 9 alle 10, indicata dall’autopsia come orario della morte, non merita un approfondimento investigativo. Questo perché non si lega in alcun modo con la linea principale seguita, ovvero l’assassina è la mamma. Punto.
Loris, parla la testimone dell'auto grigia ignorata dai giudici
La condotta degli inquirenti
Il commento più tenero che si può fare al riguardo è che si tratta di una linea di condotta inquirente alquanto discutibile. Primo perché, anche ammettendo che l’accusa abbia ragione e che Veronica Panarello sia davvero l’aguzzina del figlio, la persona dentro l’auto grigia potrebbe aver visto qualcosa, potrebbe aver avuto un ruolo, potrebbe addirittura essere stato il complice. Ricordiamo che manca un qualsiasi elemento probatorio che leghi in modo diretto la donna alla morte del figlio, una traccia, un fotogramma, una testimonianza. Niente. Quindi, non si può neppure escludere che la persona alla guida dell’auto grigia possa anche essere stato l’assassino. Di certo, la sua identificazione, non certo difficile in un contesto come quello ragusano, dovrebbe rappresentare un momento indispensabile anche soltanto per sgomberare il campo da ipotesi alternative nella terribile accusa contro la mamma di Loris.
Sarebbe anche un atto dovuto a sua garanzia, che evidentemente non è stato ritenuto opportuno dagli uomini della polizia, dalla magistratura e perfino dai giudici. Che a leggere l’ordinanza sembrano procedere in un’unica direzione, con i paraocchi, scartando episodi come quello appena descritto, perché non servono a rinforzare il quadro probatorio contro Veronica Panarello, e dando un valore accusatorio spropositato a comportamenti della donna totalmente ingiudicabili.
L'atteggiamento di Veronica
Nello specifico, viene contestato a Veronica Panarello l’atteggiamento tenuto con il marito nei momenti successivi alla scoperta della sparizione del figlio. Ricordiamo che il marito Davide Stival fa l’autotrasportatore e la mattina del 29 si trova per lavoro in Veneto. Ricordiamo anche che, si legge sempre nell’ordinanza, quella stessa mattina, mentre Veronica ammazza il figlio, trova anche il tempo e la freddezza di ricevere e fare delle telefonate al marito.
Torniamo alla sparizione del bambino. Veronica è disperata, tanto che, si legge “chiama i suoceri, chiama il padre, chiama l’amica e vicina di casa, contatta l’azienda dove lavora il coniuge, ma non avverte mai Davide”. Un silenzio al quale viene assegnata “un’eloquenza accusatoria specifica perché, nel complessivo contesto esaminato, è un silenzio denso di equivocità e di diabolica consapevolezza dell’orribile misfatto”.
Una donna che in quel momento non trova il bambino che credeva a scuola, perché di questo si tratta in quel preciso istante e non certo della sceneggiata di un’assassina, e che lo cerca disperatamente per tutto il paese, probabilmente non pensa che la prima persona che può aiutarla sia il marito dal nord Italia. Del quale però si preoccupa, tanto che, si legge più avanti nell’ordinanza, chiama il suo datore di lavoro per informarlo che “era scomparso Loris e che il marito doveva rientrare al più presto”. Dopo questa telefonata, si attivano per “informare lo Stival e far cì che cambiasse itinerario per farlo rientrare a Ragusa, senza allarmarlo”. Giusto, sbagliato? Se ne può discutere, ma per i giudici non c’è dubbio: “concorre a ispessire la gravità giudiziaria nei confronti dell’indagata”.
Fustigazione morale
Ed ecco che allora si tocca con mano la farina con la quale sembra essere stata impastata questa ordinanza, la fustigazione morale prima che penale, la condanna contro una cattiva mamma che non accompagna il figlio dentro la scuola nonostante sia in ritardo, perché quella mattina si era truccata per andare chissà dove: “Una mamma, secondo una massima di comune esperienza, giova ribadirlo, non avrebbe lasciato il bambino solo e soprattutto in un orario in cui è solitamente richiesta la presenza del genitore”.
Certo, questo non toglie che contro Veronica Panarello ci siano una serie di contraddizioni, anomalie, incongruenze e perfino menzogne. Ma contro di lei sembra ci sia anche una incostituzionale presunzione di colpevolezza. Sulla base di bugie si parte dall’assunto che sia l’assassina e si produce una inversione dell’onere della prova: tocca a lei dimostrare la sua innocenza. Ai giudici e perfino al marito.