Madri che uccidono i figli
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Madri che uccidono i figli

Gli ultimi fatti di cronaca riaccendono l'attenzione su quali possano essere alcuni dei meccanismi che possono far scattare in una mamma l'istinto di togliere la vita alla proprio bambino

Il caso della donna che ha strangolato il proprio figlio richiama a una riflessione su quali possano essere alcuni dei meccanismi che possono far sì che una madre, in un momento di estrema insofferenza, possa arrivare alla messa in atto di tali tipologie di condotte.

Se il bambino sente che la sua principale figura di accudimento (caregiver) è sensibile ai suoi bisogni e riesce a fornirgli protezione e un senso di sicurezza, avrà luogo quello che viene definito attaccamento sicuro. Il bambino percepirà il caregiver come una figura affidabile e crescerà sul fondamento di una base sicura. A partire da essa il piccolo potrà sviluppare sicurezza verso sé stesso, verso la propria figura di attaccamento e verso il mondo che verrà percepito come un luogo sicuro. Tali elementi gli forniranno la capacità di muoversi e di esplorare l’ambiente circostante con una sempre maggiore autonomia.

La presenza di una figura importante su cui poter contare sarà inoltre cruciale per il bambino nelle situazioni dal forte impatto emotivo o di natura traumatica. Gli individui difatti, nel corso dell’interazione col proprio ambiente, costruiscono dei Modelli Operativi Interni (MOI) relativi al mondo fisico e sociale che li circonda. All’interno di questi modelli troviamo gli schemi relativi al sé, alle figure di accudimento e alle relazioni (il sé con l’altro). Possiamo quindi identificare i MOI come quelle rappresentazioni mentali che contengono le strutture spaziali, temporali e causali della realtà che ci circonda. La loro funzione è quella di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi, consentendoci di fare previsioni e di crearci aspettative rispetto a quanto sta accadendo, e alla vita dal punto di vista relazionale. In base alla tipologia di attaccamento che vi è stato tra bambino e caregiver, l’individuo baserà su questo le sue previsioni.

Nella realtà dei fatti circa un terzo dei bambini sperimenta però un attaccamento di tipo insicuro, che tenderà a trasmettersi di generazione in generazione (catena transgenerazionale). Diverse forme di attaccamento insicuro risultano essere spesso associate a rigidità emotiva, difficoltà nelle relazioni sociali, nelle capacità attentive e nell’empatia. L’insicurezza nell’attaccamento è stato mostrato essere un fattore predisponente per l’insorgenza di alcuni disturbi psicologici, con esordio soprattutto in adolescenza, tra i quali l’ansia, la depressione, i disturbi alimentari, nei casi più gravi anche i disturbi psicotici. Chi presenta un particolare stile di attaccamento definito come disorganizzato, può sviluppare sintomi dissociativi ed essere maggiormente predisposto alla comparsa del Disturbo da Stress Post-Traumatico. Tra le varie conseguenze di un uno stile di attaccamento insicuro abbiamo anche una differente tolleranza alla frustrazione e allo stress.

Può così accadere che una donna che non ha potuto sperimentare da bambina uno stile di attaccamento sicuro, nel momento in cui diventi madre, non abbia dentro di sé quelle risorse collegate alla cura e alla fiducia in sé in grado di farla sentire competente e resiliente soprattutto nei momenti di grande stanchezza e di estrema vulnerabilità. Una donna con attaccamento sicuro, nei momenti di grande frustrazione che caratterizzano la crescita di un bambino, farà accesso ai suoi ricordi di bambina amata e curata, riuscendo così a sopperire alla fatica e ritornare a un piano di lucidità. Se una donna avrà invece avuto un attaccamento di tipo insicuro, negli attimi di intolleranza alla frustrazione, non avendo accesso a tali elementi di sicurezza, vedrà nel proprio figlio sé stessa, ovvero una bambina non amata che deve essere punita perché, con i propri comportamenti, arreca fastidio e crea problemi. Questo elemento di proiezione sarebbe quanto, in alcuni casi, non consentirebbe l’inibizione al passaggio all’azione. Questo fenomeno di natura dissociativa, spesso correlato a un trauma dell’attaccamento, farebbe sì che la donna, al momento dell’azione di natura violenta, in piena scissione, stia in realtà colpendo e danneggiando sé stessa bambina e non il proprio figlio.

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Cristina Brasi