ospedale
iStockphoto
News

Il mistero delle malattie autoimmuni

La morte di Imane Fadil resta un giallo: potrebbe essere stata uccisa dal suo stesso sistema immunitario

Nessuno l’ha uccisa con il polonio. A stroncare la giovane marocchina Imane Fadil potrebbe essere stato il suo stesso organismo: una malattia autoimmune dell’esito fatale e dal nome inquietante, il lupus eritematoso sistemico. I risultati dell’autopsia diranno se questa ipotesi è sensata o fallace, intanto le malattie autoimmuni si sono di colpo ritrovate sui titoli dei giornali, suscitando timori e curiosità. Come accade che il nostro sistema immunitario, che è lì per difenderci da virus, batteri, tumori, una sorta di esercito della salvezza, ci prenda di mira fino a distruggerci? Persino i medici ne sanno poco. A uno di loro, l’immunologo Lorenzo Dagna dell’Ospedale San Raffaele di Milano, abbiamo chiesto che cosa la scienza sa, e fa, per queste malattie.

Imane Fadil potrebbe essere morta per una malattia autoimmune non riconosciuta, dopo un lungo ricovero. È così difficile arrivare a una diagnosi?

Le malattie autoimmuni sono subdole e sfuggenti, con sintomi non specifici. Se una persona ha febbre, tosse, dolori muscolari, è facile ipotizzare un’influenza. Ma una paziente con un lupus eritematoso sistemico ha sintomi molto variabili: può avere dolori articolari, così come la facilità a scottarsi al sole; un’altra può avere esami del sangue alterati, o un’infiammazione ai reni così violenta da rischiare la dialisi.

Un rompicapo...

Ancora oggi sono malattie di cui sappiamo poco. Non abbiamo idea di che cosa le inneschi e le renda talvolta aggressive.

Come può essere che una donna giovane e sana sia uccisa da una malattia autoimmune in modo così violento e repentino?

È possibile, ma è un’eventualità molto infrequente. Esiste, per esempio, una malattia autoimmune che può anche associarsi al lupus e in cui particolari anticorpi, detti antifosfolipidi, causano trombosi; una sottomanifestazione di questa forma, che si chiama proprio «catastrofica», può portare a morte rapidamente. E c’è una nicchia di malati che non risponde ai trattamenti e per i quali l’esito è infausto. Ma sono eventi rari, ben lontani da ciò che avviene di solito.

Il lupus ha, di per sé, un nome che inquieta. Perché si chiama così?

Perché una sua manifestazione può essere il lupus cutaneo: in una piccola percentuale di pazienti provoca lesioni al volto che possono essere sfiguranti. Ricordavano, soprattutto

un tempo, i morsi dei lupi.

Non esiste un test che accerti una malattia autoimmune al di là di ogni dubbio?

Nel caso della sclerosi multipla, che colpisce il sistema nervoso centrale,

la diagnosi è suggerita dalla risonanza magnetica e dalla ricerca di particolari anticorpi. Ma nel lupus eritematoso sistemico, chiamato così perché coinvolge più organi del corpo, gli esami del sangue sono solo una piccola parte dell’indagine: l’immunologo deve mettere insieme altre analisi di laboratorio e dati clinici, spesso sfumati, per arrivare alla diagnosi. Bisogna anche inquadrare il contesto. Ma alla domanda «lei si sente stanco», chi di noi non risponde sì? E poi gli esami del sangue possono ingannare.

Nel senso che non segnalano la malattia in corso?

Il contrario: possono essere positivi anche in chi non ha il lupus. In ambulatorio mi succede di vedere pazienti i cui esami del sangue sono compatibili con il lupus, hanno cioè anticorpi antinucleo, ma il test risulta positivo anche in molte persone sane. Se prendo mille donne nella popolazione generale, ne potrei trovare 200 con anticorpi positivi,

ma solo una avrà davvero il lupus.

Allora a che servono?

Più per escludere la malattia:

se sono negativi si deve pensare

a qualcos’altro, se sono positivi

si può considerare il lupus. 

Ma perché il sistema immunitario attacca il corpo che lo ospita?

Non lo sappiamo, esattamente.

Le spiego però come funziona. Il sistema immunitario nelle sue fasi iniziali è virtualmente in grado di attaccare qualsiasi cosa incontri.  Poi avviene la «selezione negativa»: l’organismo presenta alle cellule immunitarie tutte le strutture e le proteine del corpo, e i linfociti che si mostrano troppo reattivi sono eliminati.

Quindi i linfociti che si sbagliano

e attaccano parti del corpo vengono «fatti fuori».

Sì, ma se qualche cellula sfugge

ed entra in circolo, in futuro potrebbe scatenare una malattia autoimmune. Alcune famiglie hanno probabilmente un deficit genetico in questo meccanismo di eliminazione.

Le malattie autoimmuni sembrano in aumento, è davvero così?

In realtà non c’è un segnale chiaro. Forse l’aumento è legato al fatto che facciamo più diagnosi di una volta. Ha poi un ruolo l’invecchiamento della popolazione. Molte di queste malattie, come l’artrite reumatoide, colpiscono anche in età avanzata.

Di artrite reumatoide è morta l’attrice Anna Marchesini...

Sì, verosimilmente per complicanze cardiache. L’artrite reumatoide in genere attacca le articolazioni ma

può danneggiare anche altri organi

del corpo, come il cuore.

Perché le malattie autoimmuni prendono più di mira le donne? 

Gli ormoni femminili hanno un ruolo, non del tutto chiarito però. È stato anche ipotizzato che il loro sistema immunitario sia più reattivo di quello maschile: un vantaggio per la difesa da infezioni e tumori, ma il rovescio della medaglia è un aumento del rischio di malattie autoimmuni. Infine, alcuni geni responsabili della maggior efficienza del sistema immunitario si trovano sul cromosoma X: presente

in singola copia nei maschi, ma in due copie nelle femmine.

È possibile guarire?

Sono malattie che una persona si porta dietro per la vita. Come per la pressione alta, cerchiamo di togliere i sintomi e ridurne l’intensità. Tenga presente però che in molti casi, dall’apparire dei sintomi a quando il paziente va da uno specialista, possono trascorrere anni, e prima della diagnosi passa altro tempo: è quindi difficile intervenire in quel periodo-finestra, piuttosto breve, in cui

le terapie possono cambiare il decorso.

Quali sono i farmaci utilizzati?

Il cortisone che abbassa il sistema immunitario?

Il cortisone viene impiegato nelle manifestazioni acute, al minor dosaggio

e per il minor tempo possibile perché

ha molti effetti collaterali. Fu messo

a punto negli anni 40 dall’americana Mayo Clinic, a quell’epoca lo diedero a tantissimi pazienti, a forti dosi e per lungo tempo, e quasi tutti ebbero gravi complicanze dal farmaco. Negli anni successivi sono stati scoperti gli immunosoppressori: riducono l’aggressività del sistema immunitario

ma sono meno tossici del cortisone. Infine, ci sono i farmaci biotecnologici.

Che cos’hanno di speciale?

Sono stati creati con l’ingegneria genetica per produrre proteine che attaccano le sostanze che hanno un ruolo nelle malattie autoimmuni. In altri casi queste proteine indeboliscono o distruggono le cellule immunitarie responsabili della malattia. In un certo senso, riprogrammiamo il sistema immunitario. Una ragazza che nel 2019 ha una diagnosi di malattia autoimmune e va su internet rischia di trovare storie terrorizzanti che però molto spesso riguardano il passato: con i farmaci oggi a disposizione possiamo evitare le evoluzioni peggiori. 

Nuove cure all’orizzonte?

C’è ancora molto da fare in termini di ricerche e terapie. Ma quasi ogni mese, anche nel mio Centro, vengono sperimentati nuovi farmaci per le diverse malattie autoimmuni, che speriamo si riveleranno più efficaci

e sicuri di quelli attuali. n

© riproduzione riservata

I più letti

avatar-icon

Daniela Mattalia