Alessandro Manzoni è una figura centrale per la storia d’Italia. La sua lunga vita – 88 anni – coincide con uno dei periodi più importanti della storia italiana ed europea e il nostro autore, un po’ per scelta e un po’ per caso, si è sempre trovato nel posto giusto al momento giusto.
Nasce nel 1785, per cui quando a Parigi scoppia la rivoluzione francese non sa ancora leggere e scrivere, ma quando a Parigi va ad abitare di anni ne ha venti e, nel pieno delle passioni di quell’età, vive al massimo gli entusiasmi libertari e l’ascesa di Napoleone. E’ a Milano quando scoppiano i moti rivoluzionari del 1820, del 1830 ed è ancora lì quando, nel marzo del 1848, la città vive le gloriose cinque giornate che si concludono con la cacciata dell’invasore austriaco. Manzoni respira l’aria dell’unità, incita alla discesa in piazza i giovani, compreso suo figlio, scrivendo un’ode civile, “Marzo1821”, che suona come un inno per chi dà la vita per fare l’Italia.
Nel 1861 è senatore della nazione appena nata e dal suo scranno si dedica alla diffusione della lingua italiana, per cui ha lavorato una vita, e si batte per lo spostamento della capitale a Roma, come poi avverrà e come oggi è.
Nonostante questa vita vissuta tra incontri straordinari e amicizie prestigiose, nonostante si sia trovato a risiedere e a lavorare in prima linea nei centri più importanti della vita economica e culturale italiana ed europea, tra Milano Firenze e Parigi, Manzoni rimane una figura “squisita ed elegante”, per rifarsi a una felice definizione di Pietro Citati, restando un uomo capace di una vita ordinaria, riservata e anche schiva. Eppure Manzoni non si risolve neppure così, assegnandogli un ruolo istituzionale o uno stereotipo legato alla pigrizia e al carattere dimesso, perché a questo modo di vivere pacato si deve aggiungere la caratura intellettuale che fa di Manzoni un asso, un artista problematico e problematizzante, un grande tragico e un uomo di cultura più volte coraggioso, capace di sfidare le attese del pubblico e di stupire i suoi lettori, ben più di quei “venticinque” dei quali si schernisce in una delle sue tante lettere scritte in una intera vita.
Manzoni è un autore poco amato, letto ancor meno ma molto discusso in maniera pregiudiziale, perché proporlo come esempio da seguire dal punto di vista morale o linguistico a ogni adolescente per obbligo significa depotenziarlo e ridurlo a un compito, non a un piacere o a una scoperta, a un tarlo, a un elemento che stimoli la discussione. Ma Manzoni è proprio questo, un autore attuale che indaga l’ingiustizia che si vive nell’esistenza individuale e di cui si fa esperienza anche nella società in cui si è immersi, un intellettuale che denuncia l’utilizzo distorto del sapere, un uomo che prova a fare una sintesi di ciò in cui crede e che lo appassiona, provando a tenere insieme tutto, senza banalizzare mai.
Leggere Manzoni oggi, nell’epoca del disimpegno e del tutto-subito-senza-fatica, costringe a riflettere sulla vita che va intesa come responsabilità, perché se il male è nel mondo e sembra farla da padrone, pur senza avere ricette risolutive l’autore lombardo ricorda che “la vita non è già destinata a essere un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego”. Una conclusione che dà speranza e responsabilità insieme.
E poi si tratta comunque di un autore ironico sempre, tanto da chiamare, nelle sue lettere, il romanzo una “cicalata”, una “tiritera”, una “filastrocca”, quasi prevenendo alcune polemiche dei posteri; in questo, basta davvero dargli spazio e la sua pagina fa sorridere generosamente, soprattutto se letta ad alta voce, senza fretta.
Manzoni è un’ode alla complessità e alla tenerezza, ma anche alla misura e alla pazienza. Tutte caratteristiche così lontane dal nostro tempo, tutto ciò che servirebbe per tornare a essere più umani.
Riscopriamo padre Manzoni a partire da oggi, il centocinquatenario della sua morte. Perché, come scrive il Bufalino, “come con Dio, i conti con Manzoni non si chiudono mai”.