Marco Bucci, la riscossa di Ulisse
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Marco Bucci, la riscossa di Ulisse

Una giornata con il candidato governatore della Liguria, che ha fatto il «sacrificio», risollevando le speranze del centrodestra in crisi. Tra tour elettorali e staffilate agli avversari, dopo la guida di Genova da sindaco, prepara il ritorno sulla scena della Regione. Come il suo mito, l’eroe di Itaca. «Perché io» dice, «all’opposizione non ci so stare»

Pare che abbia un caratteraccio. «Non è vero» sospira lui. Nel minivan nero che s’arrampica verso Uscio, prima tappa del tour domenicale, esplodono fragorose risate. Marco Bucci, sindaco di Genova da sette anni, è noto per le sue sfuriate: leggendarie ma fuggevoli. S’è candidato alle presidenza della Liguria poco più di un mese fa per il centrodestra. Ha scompaginato il campo larghissimo, che punta sull’eterno Andrea Orlando, pluriministro del Pd, spezzino di nascita e romano acquisito. Dopo la baraonda giudiziaria, la Liguria era data per persa. Adesso Bucci è in testa nei sondaggi: «Sono come i profumi, diceva qualcuno: bisogna annusarli ma non berli. Lottiamo fino all’ultimo».

Non si aspettava di essere candidato? «Era fuori dalla mia orbita. Volevo terminare il mandato da sindaco. E poi c’erano le questioni di salute». Solo quattro mesi, è stato operato per un tumore alla pelle. «La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mi ha convinto con un argomento inequivocabile: non potevamo lasciare la Liguria ai signori del no. Bisognava tirarsi su le maniche. Abbiamo fatto tantissime cose, non possiamo buttarle via. Ci sono 18 miliardi da spendere. Vogliamo che tornino indietro? Allora, come Garibaldi, ho detto: “Obbedisco”». È più utile fare il governatore? «Genova può andare avanti anche con altri amministratori di mia fiducia. Se venissi eletto, la triangolazione sarebbe perfetta. Se però lasciamo la Liguria alla sinistra, non riusciamo più a far nulla. Sa come ho ribattezzato il mio avversario? Giuseppi Orlando. Perché è Conte che comanda. Sono i Cinque stelle che bloccano tutto. Ai grillini non importa vincere, ma solo aumentare il loro sette per cento. Tengono in ostaggio la coalizione assieme all’Alleanza Verdi e Sinistra, guidata qui dall’ex giornalista Ferruccio Sansa, che attacca da sempre il Pd. Nel loro programma, a parte il completamento del terzo valico, sono scomparse le infrastrutture. Ma un candidato che non ha poteri, a cosa serve?».

A riprova dello strapotere del fu avvocato del popolo, deporrebbe pure la cacciata dalla coalizione di Italia Viva. Un’onta che la zarina ligure, Raffaella Paita, spezzina come Orlando e sua arcinemica, sarebbe pronta a lavare votando e facendo votare Bucci. L’interessato conferma? «No comment». All’americaneggiante diniego farà spesso ricorso durante l’intervista. Il campo larghissimo ligure, che doveva far faville ovunque, è diventato miserello. Bucci frantuma i sogni di gloria di Elly Schlein, la «testardamente unitaria» segretaria del Pd. «Ci sono due modi opposti di gestire la cosa pubblica» ragiona. «Il primo segue la logica del potere: prima le alleanze, poi il programma. Nel secondo, invece, vale il contrario: prima il programma, poi le alleanze. Noi abbiamo fatto così: comanda la visione, non il partito». A proposito: si sente più meloniano o salviniano? «Mi sento vicino a tutti». Paraculismo? «Ma no! I partiti, per definizione, sono di parte. Io cerco lo sguardo generale». Qual è la genesi della candidatura, quindi? «Stavo andando in macchina all’Acquario, per una manifestazione. Mi chiama la Meloni. Sapevo cosa voleva dirmi: “Sei la scelta migliore”. Però poi, aggiunge: “Conosco la tua situazione medica. Qualunque decisione prenderai, per me andrà bene”. È stato un grande segnale di rispetto. La decisione spettava solo a me. La sera parlo allora con mia moglie e i miei figli». Erano tutti d’accordo? Laura Sansebastiano, evocata consorte, è seduta nelle retrovie del van. Guarda la pioggia che gocciola sul finestrino. «Ha una paresi e non può parlare…» scherza lui. «Sennò urlo…» aggiunge lei. «Salute a parte, si allunga il periodo della sua prigionia» ammette la moglie, di raro garbo e malcelata ironia. «Ci aspettano altri cinque, lunghi, anni».

Bucci sembra in forma. «Sto benissimo». Ha solo metà barba. Ritorna al 30 maggio 2024: «Mi era spuntato un bozzo sotto il mento. Vado al Pronto soccorso. La diagnosi è: neoplasia cutanea. Ho un tumore della pelle. Il 3 giugno faccio l’operazione per rimuovere due linfonodi, poi comincio la radioterapia. Mi sono caduti i peli dal viso, torneranno tra un paio mesi». Intanto, ha metà barba. Non poteva tagliare anche il resto? «Mi sono rifiutato. Tenerla così è un bel segnale». Un suo contendente, l’ex senatore grillino Nicola Morra, candidato con Uniti per la costituzione, dice che «potrebbe non terminare il mandato». Bucci non si scompone: «Il mio corpo è pulito. Continuo solo a fare l’immunoterapia, un’iniezione al mese senza effetti collaterali, per evitare le ricadute». Pausa. «Quindi, si va avanti». Un’altra delle frasi preferite dal Bucci, come lo chiama la moglie fin dai tempi dell’università. «Mai chiamato Marco in vita mia. Il Bucci era e il Bucci è rimasto» dice Sansebastiano, che ha un dottorato in chimica farmaceutica e gestisce la pasticceria di famiglia con le sorelle. Anche lei conferma la rapida ripresa, dopo la radioterapia. «Adesso, fisicamente, sto come prima» assicura Bucci. I medici le hanno detto che poteva candidarsi? «Sì, solo non devo stressarmi troppo. Tra l’altro, nelle terapie immunitarie, l’adrenalina serve molto. Certo, non suggerisco una campagna elettorale a tutti quelli che hanno un tumore…».

Morra lo dà per moribondo. Orlando, invece, lo accusa di far parte di un «sistema criminogeno». Dell’inchiesta che ha travolto il suo predecessore, Giovanni Toti, che ne pensa? «No comment!». Suvvia. «No comment! Stile americano». Tralasciamo i risvolti penali. «Se avessi avuto sentore di qualcosa di illegale, l’avrei denunciato». E le visite sullo yacht del terminalista, Aldo Spinelli? «Ci andavano pure quelli del Pd». E lei? «Due o tre volte». Lo rifarebbe? «Certo! Aveva il suo ufficio lì. Non voleva andare a mangiare fuori per il diabete». Toti ha fatto bene a patteggiare? «Io do giudizi solo sulla Liguria, numeri alla mano: in questi anni sono cresciuti Pil, turismo e lavoro». Pensare a due persone più diverse, come lei e l’ex governatore, è difficile. «Gli antipodi possono essere complementari. Per esempio: io comincio a lavorare alle sette di mattina e smetto alle nove e mezza di sera. Lui partiva alle 11 di mattina e finiva alla tre di notte. Coprivamo tutto l’arco della giornata». È una battuta? «No, dico sul serio. Produttività raddoppiata».Ritmi giornalieri a parte: lui spumeggiante, lei burbero. «Sì, è vero. Ho un carattere molto ligure: tanti fatti, poche parole, understatement». Se perde, resterà a fare il sindaco? «Non sono un uomo da opposizione». Vorrebbe diventare il sindaco della Liguria? «Esatto. È quello che riceve una telefonata mentre dorme, si mette gli stivali, la giacca a vento ed esce. Lavora per i cittadini, non per capi partito a Roma. Orlando vanta sei mandati al parlamento, ma per la Liguria cos’ha fatto? Riassumo io. A settembre 2018, eletto in Emilia-Romagna, vota con il Pd contro la ricostruzione del ponte di Genova. Da ministro della Giustizia, chiude tre tribunali e il carcere di Savona. E ora fa le cene elettorali a Roma e Milano. Perché? I nostri imprenditori sono taccagni?». Comunque: a brigante, brigante e mezzo. Orlando, per rimarcare presunta continuità, la chiama Giovanni Bucci. «Toti non partecipa alla campagna elettorale, ma nove anni di buon governo non si devono cancellare».

Alla sagra di Gattorna, nell’entroterra genovese, pioviggina. La fila per i funghi fritti e le frittelle di castagne è interminabile, in ogni caso. Arriva anche Edoardo Rixi: viceministro delle Infrastrutture e segretario della Lega in Liguria. Fu lui, nel 2015, a nominare Bucci capo di Liguria digitale, partecipata della regione, per poi candidarlo a sindaco. Ha manovrato pure stavolta. Mentre arrivano i piattini di plastica con la polenta fumante, Rixi spiega: «Una candidatura politica avrebbe creato una polarizzazione. Alla Liguria serve un civico, dobbiamo consentire a tutti di condividere il nostro programma». E lei? «Devo sorvegliare a Roma. Bisogna andare avanti con le infrastrutture, come il tunnel della Fontanabuona, che qui aspettano da 25 anni». Bucci gironzola per gli stand. Saluta chiunque gli capiti a tiro. «L’ho visto anche ieri» esclama un’orgogliosa sostenitrice. «Basta, non se ne può più» lamenta una giovane orlandiana, che invece fatica a vedere lo sfidante. «Io vado ovunque» conferma il sindaco. «Il mio più grande divertimento, però, è fare irruzione nei gazebo del Pd. Li abbraccio e gli dico: “Ragazzi, avete sbagliato tutto. Venite con noi, la vita vi sorriderà”». E i suoi avversari? «Non parlano nemmeno tra loro». Provoca? «Rompere le uova nel paniere mi piace da matti». Lo farà pure da governatore? «Chiederemo al governo di diventare una regione a statuto speciale. Perché Trieste sì e Genova no?». Anche nel capoluogo pioviggina. Il candidato governatore incontra la comunità bengalese, che lo accoglie come un divo di Bollywood. Vestiti a festa, in una sala traboccante di fiori, ritmano: «Bucci, Bucci, Bucci». Lui, frastornato, ammette: «Nessuno mi ha mai accolto così».

Poi si precipita a Prà, per il Palio delle antiche Repubbliche marinare. Vince il galeone bianco dei genovesi. Bucci è un velista. Vorrebbe rifare in barca il viaggio di Ulisse, suo mito. «Assieme a Penelope» annuncia. «Che sarei io» informa la moglie. «Ha insistito: “Prendi anche tu la patente nautica!”. Si sa com’è fatto. Ho dovuto accontentarlo. Ma se vince, mi toccherà aspettare altri cinque anni». Nell’attesa, sarà la first lady ligure? «Al massimo, la primma scignoa».

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Antonio Rossitto