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LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images
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Macron: il leader borioso e sciovinista

Alimenta la retorica della Grandeur francese e ripropone la supremazia dell’Europa occidentale in un continente che non riconosce alcuna leadership

Dall’alto (si fa per dire) della sua bassa popolarità in Francia, il presidente francese Emmanuel Macron pretende di trasferire l’innato sciovinismo su basi nientepopodimeno che europee. Da un lato si lancia nell’attacco del fine settimana alla Siria con i suoi Rafale (la forza militare è l’unica sulla quale Parigi può ancora davvero contare in un’Europa amputata dell’altra potenza nucleare, il Regno Unito, e con una Germania ancora incerta se abbandonare il suo tradizionale anti-militarismo post-guerra mondiale), dall’altro rilancia nel discorso presidenziale a Strasburgo la leadership politica di una Europa in cerca di guida e apparentemente privata anche dell’unico leader continentale espresso finora: Angela Merkel.

I cambiamenti in atto

La Merkel è infatti alle prese con un governo di coalizione e con la fronda interna al suo partito. Macron fa quello che hanno sempre fatto i presidenti francesi: alimenta la retorica della Grandeur, stavolta mascherandola da ambizione alla leadership UE, si vanta di interpretare il pensiero autentico dell’alleato americano con la gaffe di attribuire a Trump l’intenzione di restare in Siria nonostante la promessa di ritirarne i militari (e Trump lo smentisce), ma soprattutto predica quasi bene e razzola decisamente male.

Mentre infatti critica la "democrazia autoritaria" con riferimento evidente al vittorioso (in Ungheria) Viktor Orban, rivendica “l’autorità della democrazia” con una chiara (ma totalmente priva di autocritica) auto-citazione che rischia alla fine di essere solo un facile gioco di parole. Senza capire, Macron, che la visione di Orban, forte dei due terzi dei seggi nel proprio Parlamento e della rafforzata leadership politica del quartetto di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), è oggi in Europa molto popolare, attraversa i confini, e contiene un “j’accuse” formidabile e non del tutto ingiustificato alla eurocrazia e allo snobismo, quello sì autoritario, del “gruppo di testa” della UE rappresentato dall’asse franco-tedesco.

Dietro le dichiarazioni altisonanti di Macron e le sue proposte di riforma delle istituzioni e degli stessi Trattati comunitari (ministro unico delle Finanze, bilancio e fondi per assicurare i depositi bancari in comune, difesa europea, eccetera eccetera) si nasconde in realtà un’ormai annosa fragilità della Francia, della sua economia, del suo modello di welfare.

Est e Ovest in Europa

Succede così che l’europeismo di Macron assuma sempre di più il colore di uno sciovinismo che punta a riproporre la supremazia dell’Europa occidentale e in particolare della Francia in un continente che invece è frammentato e litigioso e non riconosce più alcuna leadership (se non quella economica, incontrovertibile, della Germania).

I tedeschi, da parte loro, non hanno la minima intenzione di avallare le idee di Macron: subodorano, dietro, il tentativo di trasferire risorse dalla Germania ad altri Paesi per riequilibrare l’Unione. Ma la Germania di Angela Merkel non deve soltanto arginare l’esuberanza esasperante del francese di turno, deve anche fare i conti con una Europa dell’Est che teme Berlino tanto quanto Mosca e che reclama di essere ascoltata alla pari, non più con la sufficienza dell’Occidente verso i Paesi della cortina di ferro.

E tra il Sud Europa che ha interessi divergenti da quelli della Germania, e un Nord Europa che non aderisce più in modo automatico agli indirizzi di Berlino, non si sente mai pulsare il cuore del continente. I cittadini restano distanti. Semmai, si sente il brusio indistinto di una Torre di Babele in cui ciascuno parla la propria lingua e non capisce quella degli altri.

Verso le elezioni europee del 2019

I tedeschi si chiudono in loro stessi, lavorano in silenzio nel timore di perdere quello che hanno conquistato. I francesi mettono in campo, a suon di slogan, il tentativo di invertire la deriva e il declino di quello che un tempo (molto remoto) era un Impero. E continuano a farla da padroni senza averne l’autorità (avallano le incursioni dei loro gendarmi nel territorio nazionale italiano, chiudono le frontiere di Schengen pur di respingere i migranti, minano i nostri interessi in Libia dopo aver condotto una guerra assurda e fallimentare, tramano per impedire ai nostri militari di dispiegarsi in Niger, cercano inutilmente di colonizzarci opponendosi al contrario all’ingresso definitivo di Fincantieri nei cantieri Saint-Lazaire).

L’Europa si avvicina alle elezioni europee del 2019 in ordine sparso, senza più neppure l’asse franco-tedesco, né le antiche famiglie partitiche, né una visione lucida del futuro, e senza un affidabile alleato americano al fianco. Assistiamo solo alla vuota e boriosa retorica di Macron, alla laboriosa e cauta diffidenza teutonica, all’ambizione di esistere dell’Est, alla furbizia fantasiosa e arrangiata del Sud.      

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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