Micro Living, il boom delle case piccole
(City Pop)
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Micro Living, il boom delle case piccole

Il «micro living» è sempre più diffuso anche nelle città italiane, alle prese con il boom dei prezzi delle abitazioni. E così nascono soluzioni ibride, affitti a breve e medio termine, di mini appartamenti che soddisfano le esigenze di studenti e lavoratori a caccia di flessibilità

Ha fatto scalpore l’annuncio di un monolocale da otto metri quadri in affitto a Bologna per 600 euro al mese, ma non è un caso isolato. Basta dare un’occhiata alle principali piattaforme immobiliari per imbattersi in locazioni di spazi al limite della legge, con prezzi esorbitanti. Eppure, in assenza di alternative, la domanda è esplosiva. Per un monolocale di 25 metri quadri a Bologna, a 730 euro al mese, ci sono state più di dieci visite in un solo giorno. E non si tratta di curiosi. Sempre nel capoluogo emiliano 20 metri quadri sono stati affittati a più di mille euro al mese.

Casi limite o una tendenza che sta mettendo radici? Chi perde la pazienza si rivolge alla Polizia locale, dove arrivano in media 200-300 segnalazioni l’anno, spesso seguite da sanzioni o da una diffida della Procura. Ma non bastano ad arginare il fenomeno, spinto dalle necessità di studenti e professionisti fuorisede alla ricerca disperata di un alloggio. Gli affitti per breve tempo, come soluzione più vantaggiosa degli alberghi, vanno per la maggiore. Le agenzie immobiliari rilevano che la richiesta sia in crescita, a causa della grande mobilità sul territorio. Trovare lavoro nella propria città o nelle immediate vicinanze è sempre più difficile e anche i giovani sono spesso costretti, per il loro iter formativo, a spostarsi. Di qui il bisogno di un mercato di «micro living», spazi d’abitazione con dimensioni ridotte, non soggetti a speculazione e di facile accesso. A favorirli c’è anche la legge fortemente voluta dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini.

Il decreto Salva-casa ha ridotto le superfici minime dei monolocali, che passano da 28 metri quadrati a 20; dei bilocali, che scendono da 38 a 28, e anche le altezze, che scendono a 2 metri e 40 da 2 metri e 70 originari. Prima del decreto, i requisiti erano stabiliti da una legge degli anni Settanta ed erano diversi: i monolocali dovevano avere un’ampiezza di almeno 28 metri quadrati, i bilocali di oltre 38. Nel caso di appartamenti più grandi, dovevano essere garantiti 14 metri quadrati per ciascun abitante se in quella casa convivevano al massimo quattro persone. Il termine «micro living» è usato soprattutto in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada ed Europa del nord per indicare spazi piccoli, deliberatamente progettati per non rispettare gli standard minimi. Una storia che conoscono in Giappone e, più in generale, in Asia, dove le case di dimensioni ridotte hanno una lunga tradizione. Sebbene questo tipo di abitazioni rappresenti per molti una necessità, è anche diventato una scelta. Sia dal punto di vista del rispetto ambientale (non si sprecano risorse e si impara a limitare la propria quotidianità al davvero necessario) sia come vero stile di vita. In Europa, il fenomeno ha avuto una particolare diffusione in Germania dove già nel 2020 sono stati realizzati 25 mila micro appartamenti spinti anche da finanziamenti pubblici. Il governo federale, tra 2019 e 2020 ha speso per questi progetti, oltre 120 milioni di euro. Berlino, Francoforte, Amburgo sono le città nelle quali il mercato è ormai consolidato. Alcuni di questi mini locali hanno fatto il giro dei social, con un boom di visualizzazioni. Il tiktoker Caleb Simpson, noto per i suoi video sulle case dei newyorkesi, ha messo in rete la minuscola casa a Manhattan, solo sette metri quadrati, di Alaina Randazzo, una content creator. È considerata una delle più «contenute» abitazioni di New York. La creativa si è trasferita nella sua casa, che paga 650 dollari al mese, nel gennaio del 2022, dopo aver lasciato un palazzo di lusso, così da risparmiare denaro e investirlo nella sua passione, i viaggi. All’interno tutto è «micro», dal frigo al fornello, al forno a microonde, al letto soppalcato con un lucernario, al mini soggiorno. Non c’è la doccia, ma Randazzo dice che non ne sente la mancanza, visto che utilizza quella della palestra. Il post ha incassato 45 milioni di visualizzazioni come riporta la rivista d’arredamento AD, che parla anche del successo social di una mini casa parigina di nove metri quadrati pubblicata sul web. Venendo in Italia, un esempio di micro living è già presente a Milano, in viale Monza. Realizzato da City Pop, società di gestione immobiliare specializzata nel settore dei piccoli appartamenti e parte del gruppo svizzero Artisa, è un format abitativo, creato in un immobile ristrutturato acquisito a fine 2020 (ex Ata Hotel proprietà di Unipol), destinato principalmente a giovani professionisti e lavoratori fuorisede. Si tratta del primo progetto del genere nel nostro Paese e consta di 261 appartamenti per locazioni a breve e medio termine e di una serie di servizi come parcheggio, aree comuni, spazi commerciali e full service. Le unità abitative, tutte arredate, partono da 28 metri quadrati e possono essere affittate da quattro a 52 settimane con un sistema di prenotazione veloce, simile a quello di una stanza d’albergo. Il costo dell’affitto, tutto compreso (con Iva, utenze, assicurazione e accesso ai servizi comuni, quali wi-fi, biancheria e asciugamani, lavanderia e cantina) parte da 320 euro a settimana.

La società punta a gestire mille appartamenti in Italia entro il 2026 e 15 mila nei prossimi cinque anni nelle principali città europee. «All’inaugurazione ad aprile scorso dei primi 77 appartamenti, erano già occupati all’80 per cento. È il segno di quanto la città stesse aspettando una soluzione di questo tipo» afferma Alessandro Adamo, partner di Lombardini 22 che ha curato il progetto architettonico. «Il mondo del lavoro sta cambiando, gli spostamenti sono più frequenti e i professionisti chiedono soluzioni flessibili. Gli affitti tradizionali sono troppo impegnativi e l’albergo può risultare costoso. I micro living somigliano un po’ ai vecchi residence ma con tanta tecnologia e servizi in più. Disporre di una cucina come pure di spazi comuni e avere la facilità di prendere e lasciare il mini appartamento senza i vincoli del classico affitto, può fare la differenza per un lavoratore nomade» dice il manager. Alessandra Citterio, chief operating officer di City Pop, sottolinea che «il successo dell’iniziativa a Milano dimostra la forte domanda per soluzioni di questo tipo, finora assenti nella città del business». I soggiorni in media sono di sei mesi, spiega Citterio, e il target anagrafico è molto ampio: «La percentuale maggiore è tra i 25 e i 45 anni, ma abbiamo avuto anche ospiti ottantenni. La chiave del successo è l’estrema flessibilità, in linea con il mercato del lavoro moderno e la competitività dei prezzi rispetto a un albergo».

Ma ci sono anche altri punti di forza. «Il complesso immobiliare fornisce spazi comuni dove il fuorisede può socializzare e partecipare a iniziative come eventi culturali, sportivi o gastronomici per conoscere la città». Milano è solo l’inizio, affermano ad Artisa, già presente in Svizzera e Germania. «Stiamo valutando lo sviluppo di iniziative simili a Bologna e Roma dove la richiesta di affitti flessibili, sia per studenti sia per lavoratori, è alta». Le case piccole soddisfano anche i fanatici dell’ambientalismo. Ecco cosa dice Matthieu Torres, architetto di Parigi che vive in un appartamento di circa 23 metri quadrati, intervistato da AD. Ha comprato un appartamento che era in condizioni pessime e lo ha ristrutturato creando una zona notte soppalcata, un piccolo ripostiglio, un bagno e una cucina. «L’impatto sull’ambiente è minore se lo spazio è piccolo. È un semplice fatto di riduzione del fabbisogno di energia e materiali». Seguendo questa logica si può arrivare a soluzioni estreme come il Treehouse a Los Angeles. Qui i residenti possono affittare una stanza in un appartamento condiviso o in uno studio privato, il tutto con un’impronta ecologica bassa, e hanno accesso a diversi servizi come uno studio d’arte, uno di registrazione, una palestra, una biblioteca, una sala da pranzo e un salotto che di solito si trovano in case più grandi. Quindi sembrano tutti d’accordo ma c’è ancora chi, a dispetto dell’ambiente e delle nuove tendenze architettoniche sulla cui bontà non si discute, si sentirebbe stretto perfino a Versailles. Tra «small» e «big» la sfida è sempre aperta.

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Laura Della Pasqua