Migranti: ecco perchè il rimpatrio è impossibile
215 giorni per valutare una richiesta d'asilo e la possibilità del ricorso. Viaggio nelle commissioni territoriali dove si decide il destino dei migranti
Non sono sentenze ma piccoli giudizi di Dio. Profugo o migrante? Rifugiato o irregolare? Per stabilirlo lo Stato italiano ha istituito 40 commissioni prefettizie, impiega 215 giorni in media prima di scegliere, esamina 400 richieste d’asilo ogni 24 ore, elargisce 90 euro di gettone forfettario a chi giudica. E se pensate che sia sufficiente siete in errore. In Italia non sono le navi che andrebbero schierate in mare ma i sentieri del diritto che andrebbero sviscerati. Se la commissione rigetta la richiesta d’asilo il migrante può ricorrere e rivolgersi a un tribunale ordinario che prima di un anno non si esprime. Disputando con le norme chi non è annegato nelle acque può naufragare nella carta. In Italia uno strappato alla terra può nuotare nei bolli di questura, respirare la bonaccia dei ricorsi, sprofondare nei fascicoli dei magistrati, fare scalo in un tribunale d’appello e spiaggiarsi dopo tre gradi di giudizio. «Fino a quando non si giunge a un provvedimento definitivo, lo Stato paga. È questo il vero problema che innesca un meccanismo speculativo» dice Giovanni Salvi che guida la procura di Catania e che indaga su quella ferita nazionale che è il Cara di Mineo.
Non è l’equazione del diavolo ma una possibilità della giurisprudenza, l’esito dell’orologio giudiziario. Prima di stabilire con un provvedimento definitivo se un profugo vada tutelato o rimpatriato possono trascorrere anche quattro anni e costare allo Stato quasi 50 mila euro, denaro sparso tra centri di accoglienza, alloggi e hotel. È una finanziaria di sfollati, la disgrazia come profitto. Esistono in Italia 40 incroci del destino che separano i perseguitati dagli inquieti in cammino. Ogni commissione chiamata a pronunciarsi sulle richieste di asilo è composta da quattro traghettatori d’anime che smistano umanità: un viceprefetto, un funzionario di Polizia, un rappresentante dell’Unhcr e un esperto di migrazioni indicato dai comuni capoluogo. Dopo i migranti gli altri disintegrati e spaesati sono loro. Fino a un anno fa le commissioni erano 20, da gennaio sono raddoppiate, domani se ne dovrebbero aggiungere altre 10, ma pure nell’amministrazione si naviga a vista come con i gommoni.
Le commissioni per richiedenti asilo
Delle 40 commissioni solo 22 hanno funzionari distaccati a tempo pieno, mentre le altre sono regolate dai calendari dei viceprefetti e dei funzionari di polizia che di mattina si occupano di ordine pubblico e di pomeriggio di persecuzioni. Se ci fosse qualcuno di insostituibile nello Stato oggi sono proprio questi prefetti che Matteo Renzi voleva abolire e che invece andrebbero moltiplicati. Sentite a che punto è arrivata la furfanteria non dei trafficanti ma dei sindaci italiani a cui il nostro diritto ha dato voce in materia di asilo: a decidere di migranti un comune aveva spedito un vivaista. Ai sindaci non è sembrato vero che pure da queste commissioni si potesse ritagliare un nuovo incarico, un nuovo stipendio da spartire e donare. Ogni commissione si riunisce cinque giorni a settimana il che significa che chi ha il compito di rappresentare gli enti locali percepisce quasi 1800 euro al mese. Il Sud miserabile ha messo le mani nelle commissioni territoriali per richiedenti asilo? «No. Era una commissione del Nord quella del vivaista. Ma ce ne siamo accorti e lo abbiamo impedito. Controlliamo tutti curricula dei componenti» dice a Roma il prefetto Angelo Trovato che le commissioni le coordina tutte e forse per questo le protegge tutte.
E soffoca il cuore vedere che come sede nazionale di questa commissione non è stato trovato altro ufficio se non una caserma che invece del riparo fa venire in mente la reclusione. Le commissioni non sono troppe lente? «Non esistono commissioni lente, ma solo commissioni che hanno tante pratiche». Trovato ha rivelato al parlamento le cifre di questi organismi da cui dipende l’esodo, il movimento o la stanzialità. I richiedenti asilo sono infatti carne sospesa che appassisce nei centri di accoglienza, quelli che lo Stato sovvenziona con 33 euro al giorno per ogni migrante. E si tratta di una spuma di liberi detenuti che una volta fatta richiesta d’asilo in Italia è costretta ad attendere la sua risposta come stabilito dai trattati. Nel 2014 su 63.456 richieste d’asilo solo 36.270 sono state quelle esaminate. Il 2015 è dunque iniziato con un arretrato di 27.180 che si aggiunge alle 22.118 richieste formulate nei primi sei mesi di quest’anno. Il nostro sistema che prevede tre tipologie di protezione (asilo politico, protezione sussidiaria, protezione umanitaria) nel solo 2014 ha respinto il 53% delle istanze. «E se facile è stabilire se un siriano ha diritto alla protezione, diverso è per i paesi del Nordafrica» spiega Trovato che dal 2012 si occupa di migrazione e che ancora riesce a commuoversi: «Mi è toccato esaminare un caso che è simile ai Promessi Sposi, ma qui Lucia muore e Renzo fugge».
Le commissioni territoriali nel resto della Ue
In questi ultimi anni i richiedenti asilo che cercano di conquistarsi l’Europa sono entrati nella savana italiana dei cancellieri, nella scorciatoia del ricorso e della posticipazione del giudizio che qui è resurrezione per chi viaggia ma dannazione per chi fugge. Francia, Inghilterra, così come la Germania, hanno sì previsto la possibilità di ricorrere contro la decisione di una commissione, ma hanno assegnato il riesame a un funzionario amministrativo che ha esclusiva competenza e non certo lo hanno affidato alle sabbie mobili dei nostri palazzi di giustizia. Nel solo 2014 ben il 73 per cento di migranti che si sono visti negare lo status sono stati sottoposti nuovamente a revisione grazie alla decisione del giudice che accettando il ricorso sospende di fatto il diniego e ne autorizza la permanenza in Italia. Magistratura democratica, in una giornata di studi, ha fatto i conti delle commissione territoriali di Siracusa e Catania, le più invase di richieste. A Siracusa il tempo medio di una commissione è circa 12/18 mesi, altri 12 mesi per la prima sentenza in tribunale, 8 mesi per una sentenza di appello. A Catania 12/14 mesi per la commissione territoriale, 10 mesi per la sentenza di primo grado. Perfino l’Avvocatura dello Stato ha consigliato alle commissioni di non ingaggiare contenziosi dopo la sentenza di primo grado. «E però io ne appello molte» racconta il viceprefetto Fabrizio Gallo che a Crotone dirige la commissione per richiedenti asilo.
Dentro una commissione per richiedenti asilo
Qui a Crotone la commissione è stata allestita dentro il centro d’accoglienza, una base militare dell’aeronautica che ha così tanto filo spinato che punge pure gli occhi. «Non piace neppure a me» concorda Gallo che ha raggiunto i parametri migliori d’Italia: 1500 pratiche ricevute e 1360 esaminate da gennaio a oggi. E spiega che ciascuno ha una stanza dove ascoltarli, ma che il giudizio è collegiale e avviene a fine serata quando tutti sono riuniti di fronte a una tavola rotonda di cui Gallo va orgoglioso perché gli ricorda la lealtà. Ogni componente, in presenza di un interprete, sottopone i richiedenti asilo a una sorta di intervista standard, formulata su una griglia comune per tutti i paesi europei. E per gioco il prefetto si sottopone alle domande che lui è invece solito rivolgere.
«Si parte del paese e poi individuiamo le contraddizioni». Ne faccia qualcuna. «Qual è il partito di maggioranza? Chi è il segretario? Cosa ha di particolare il tuo quartiere? Qual è la via principale? Conosci questo imam?». I prefetti sono anche esperti di geopolitica? «Formuliamo le domande grazie alle informazioni di due motori di ricerca autorevoli come Ecoi.net, Refword.org e una banca dati europea chiamata Easo che è il nostro riferimento». E quando si parla di richiedenti asilo si parla di un popolo di smemorati la cui identità non è verificabile alle ambasciate proprio per non esporli al rischio. Non crede che i migranti abbiano imparato a memoria le risposte? «Non valuto con le impressioni, ma secondo cardini di credibilità interna ed esterna del racconto».
L’unica cosa di stabile di cui è riuscita a dotarsi l’Italia è un formulario di domande che sono imponderabili come la giustizia. Anche Gallo ammette il rischio di fallibilità. «E proprio per questo sono felice che in Italia la scelta sia concertata». In caso di parità? «Il mio voto vale doppio. Per chi richiede asilo è l’appuntamento della vita». E infatti fuori dalla commissione se ne possono vedere due che cercano di nascondere l’agitazione. Si inchinano ai funzionari, profumano di borotalco, sorridono tanto come fosse questa movimento una voce del bignami per aspiranti rifugiati. Chi ha visto quel piccolo gioiello che è il film francese Samba può immaginarne l’aspetto e conoscerne le smorfie, le braccia che scappano come quelle dei contorsionisti, il corpo che si scompone e si piega alle emozioni. Anche in Italia forse qualche mediatore culturale, come faceva Charlotte Gainsbourg nel film, consiglia di indossare molto bianco perché è il colore della trasparenza.
E infatti Moussa, pochi muscoli e molti nervi, indossa una camicia bianca che però non lo rassicura ma anzi lo impaurisce. «E i jeans me li hanno prestati», avverte quando si accorge che anche i militari lo guardano come se stesse commettendo un’infrazione, già una prima risposta sbagliata. «Tutti hanno paura di non farcela. Per convincerci adesso cominciano a portare le foto, articoli di giornali locali per dimostrare i conflitti» racconta Gallo che è padre di tre figli, un uomo che il coraggio per fare il nocchiero d’anime non si sa dove lo abbia preso, lui che quando si muove è irresoluto come quelli che mirano più allo spirito che alla grazia in terra.
Come assegnare lo status: le domande della commissione
A Crotone, l’ispettore Rocco Curcio che lavora in questura dice che i migranti sottoposti a esami raccolgono il denaro per i vestiti facendo i parcheggiatori abusivi «e mi creda qui auto ce ne sono poche». In materia di richiedenti asilo l’ultimo confine è l’omosessualità. «Sono i casi più difficili da definire» ragiona a Catania il procuratore Salvi. Per aggrapparsi all’Europa ci sono richiedenti asilo che hanno cominciato a utilizzare il sesso tra i motivi di discriminazione. E anche Gallo che è un uomo prudente per formazione, riconosce la difficoltà, per non chiamarla sproposito, dato che l’omosessualità è per sua natura l’interpretazione di un genere, l’inversione che non si manifesta ma che si nasconde. Come fa a smascherare l’omosessuale che finge dall’omosessuale che non si rivela? «Ehm…» sospira Gallo che trova conforto nei “parametri oggettivi” e che si tiene in mente come nelle tribolazioni si tengono in mente le preghiere. Gallo dice che ogni intervista è un’anamnesi e che dopo si passa a una narrazione libera come fanno i professori quando vogliono salvare lo studente turbato.
Ricominci con le domande. «Ad un omosessuale?». Si. «Come è nato l’orientamento? Come hai vissuto il contrasto? Hai avuto compagni? Parlami del tuo compagno?». E dalla commissione si vede venire fuori Moussa. L’Italia gli ha accordato cinque anni di permesso per la sua scalata al cielo. «Mi hanno chiesto cosa avessi studiato. Ma il mio amico non ce l’ha fatta. Va a Crotone a portare il ricorso». Nessuno lo ha comunicato ai migranti ma a Crotone di venerdì pomeriggio nessuno raccoglie ricorsi. Dal centro di accoglienza fino al centro di Crotone la distanza è di quindici chilometri coperti da una corriera. In Sicilia, i migranti di Mineo si sono messi a rubare i carrelli della spesa e corrono sulla statale fino a Gela spintonandosi a turno come fosse il carrello un sidecar. A Crotone questi busti di pelle orientale sono la croce di Ida che gestisce il bar dell’autostazione: «E non ce l’ho certo con loro, ma guardi quanto è piccolo. Io non so neppure dove farli sedere». Non lo sanno neppure in questura. «E non immagina il lunedì quando arrivano i permessi di soggiorno. Se ne stanno stravaccati sul marciapiede» racconta l’agente che ha il turno allo sportello informazioni.
In Calabria, nelle ultime settimane anche le navi mercantili francesi, sì proprio i francesi che hanno bloccato le frontiere a Ventimiglia, abbandonano altri sopravvissuti ricorda l’ispettore Curcio che in questa babele ormai si sente frastornato, non indurito ma sottomesso dalla storia. «600 sono arrivati la scorsa settimana. E questi non fanno neppure richiesta d’asilo, non hanno lasciato neppure le impronte digitali. Arrivano, partono, scompaiono, camminano. Vede, la strada? Non c’è neppure una luce. Alcuni tornano a piedi fino al centro di accoglienza. A scremarli prima delle commissioni ci pensano le auto».