Migranti in Italia in prima classe
Oltre i barconi dalla Libia esiste un'organizzazione che attraverso altre rotte fa arrivare migranti in Italia con mezzi "alternativi"
La prima scena del nostro film si svolge a Milano. È il 14 gennaio 2019. Le immagini sono quelle girate da una mini-telecamera dei servizi segreti. Fotogramma dopo fotogramma riprendono di nascosto un gruppo di uomini d’affari stranieri con interessi in Medio Oriente e al Pireo. L’appuntamento è in un ufficio attrezzato, di quelli che si affittano per riunioni e conference call. Si siedono attorno a un tavolo ovale, controllano i cellulari che vibrano per i messaggini. Discutono, chiudono accordi, verificano i conti. Si salutano con strette di mano che rinsaldano strategie e business che però non hanno nulla di legale. Perché, a quel meeting, partecipano alcuni tra i più spregiudicati trafficanti di migranti del nostro Paese. Registi e attori di una colossale tratta che parte dall’Iraq e, lungo la Grecia e la Turchia, arriva al Nord Europa. Passando per l’Italia.
I nostri Servizi hanno visto e registrato tutto. E Panorama è in grado di raccontare in esclusiva questa specie di «Stati generali» dei trafficanti di esseri umani. L’appuntamento, monitorato dagli 007, si svolge appunto in un day office di via Melchiorre Gioia, proprio sotto i grattacieli che hanno modificato lo skyline milanese. All’appuntamento sono arrivati in sei, di origine irachena, per pianificare i prossimi sbarchi che riverseranno sulle coste pugliesi e calabresi centinaia di profughi provenienti dall’ex Mezzaluna fertile. La maggior parte curdi iracheni ma, secondo l’Intelligence, questi signori dell’immigrazione clandestina farebbero affari anche con altre organizzazioni, portando in Italia stranieri provenienti da altre aree dell’Asia, come Pakistan e Iran.
Tre di questi venditori di vane speranze arrivano da Torino e scendono da un’Audi A4 (ma la banda utilizza anche altre berline, come Bmw serie 5, Volkswagen Touran, Seat Ibiza e pure un furgone Mercedes Sprinter). Con gli altri tre, arrivati da altre zone della Penisola, entrano nel palazzo di nove piani che si trova proprio dietro alla Stazione centrale, un edificio signorile anni Sessanta che esibisce all’ingresso le targhette di società e broker assicurativi.
Ad attenderli con microspie e telecamere ci sono i nostri 007. Che li hanno contraddistinti con soprannomi: Noce, Sciarpa, Beige, Rasato, Professore. Negli appostamenti milanesi compariranno anche altri soggetti non identificati: Lungo, Parka, Bomber e Nero. Nelle immagini registrate il 14 gennaio scorso si vedono i sei boss che partecipano alla riunione mentre camminano in via Melchiorre Gioia. Uno è incappucciato, uno ha il pizzetto, un altro sembra sorridente. Ma a osservarli non destano maggiori sospetti di normali gruppi di persone che si muovono per Milano.
A capo di questa centrale criminale c’è un iracheno. Si chiama Ali O. È lui l’uomo da contattare, una volta che i migranti arrivano in Italia. Le comunicazioni avvengono solo con sistemi criptati o con chat di difficilissima intercettazione come WhatsApp o Viber. Ali O. È già stato arrestato e condannato a 16 mesi di reclusione con pena sospesa, a Venezia, perché possedeva un passaporto rubato riconducibile allo Stato islamico. D’altronde la presenza dell’Isis, in questa storia, non è secondaria. L’Intelligence, in una relazione top secret che il nostro settimanale ha avuto modo di leggere, non solo parla di «possibilità di infiltrazione di soggetti pericolosi» nel nostro Paese, ma possiede la prova documentale che quattro numeri di telefono monitorati portano alle rovine di quel che è stato il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi e alle formazioni paramilitari curde dell’Ypg e del Partito curdo dei lavoratori, il Pkk. Sigle che dimostrano che gli affari non tengono conto delle ideologie, in questo caso esattamente agli antipodi. Inoltre, due di queste utenze sono state associate a un foreign fighter norvegese e a un account Twitter di «un affiliato all’Isis».
Ma torniamo alla riunione. Come farebbe un bravo manager, Ali O. ha riunito i «direttori generali» dell’organizzazione. Conosciamoli: sono i «torinesi» Mohammed Mohammed N. H., fermato a Milano senza documento lo scorso gennaio che ha chiesto la protezione internazionale, e Arkan R. H., arrestato nel 2018 vicino al traforo del Monte Bianco; Mohamad A., 49 anni, già segnalato dieci anni fa come referente italiano di un’organizzazione transnazionale che favoriva l’immigrazione clandestina dalla Grecia; Mohamad A., 42 anni, entrato nel mirino dei nostri Servizi per i rapporti con la Komal Kari, l’organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori d’ispirazione maoista, arrestato nel 2010 e ritenuto al vertice di un’organizzazione di trafficanti vicina al Pkk e al Kongra Gel, movimento marxista che del Pkk ha raccolto l’eredità. Infine, Yasser Kadir A. N., 40 anni, pure lui noto alle forze di polizia internazionali.
La «holding» ha una sua particolarità che la differenzia da molte altre organizzazioni che fanno affari sulla pelle dei migranti: non si rivolge solo ai disperati, ma predilige gli affari con persone di ceto sociale medio-alto, quelli che potremmo definire i «migranti borghesi». In questa storia non ci sono gommoni che imbarcano acqua né bagnarole che affondano contro le scogliere. Ci sono soprattutto barche a vela, aerei, auto di grossa cilindrata e treni ad alta velocità.
Il vero cervello delle operazioni vive all’estero, ed è un misterioso criminale iracheno che si chiama Tawfeeq Akbar Omar Tawfeeq, ma è meglio conosciuto col nome di battaglia «Haval». Sfuggente ed enigmatico come Ernst Stavro Blofeld, il cattivo della Spectre di James Bond. È lui ad aver installato in Italia la sua filiale più remunerativa. Ed è sempre lui a nascondersi dietro insospettabili agenzie di viaggio di Istanbul che organizzano tour (fuorilegge) per migranti clandestini verso il nostro Paese.
Nelle carte che Panorama ha visionato (un’informativa inviata di recente a tutte le forze di polizia) c’è un «albero» che mostra la struttura dell’organizzazione. Ci sono quattro referenti identificati in Iraq, una dozzina in Turchia, dove si trova il centro di smistamento per l’Europa, quattro in Grecia, tre in Polonia, uno in Gran Bretagna (che, come vedremo, prima si trovava a Genova). In Italia gli 007 hanno contato i cinque membri della cellula torinese, gli otto delle due cellule milanesi, ai quali si aggiungono altre quattro persone fra Trieste, Pavia, Foggia e la stessa Milano. Oltre a loro, ci sono nove slavi, compresa una certa Olga, specializzati nel traffico sulla rotta balcanica o via mare. Tutte le città italiane coinvolte o quasi hanno basi logistiche e appoggi per gli «ospiti», anche se il Piemonte ha un prestigio superiore, nel giro, perché nell’appartamento torinese in zona San Paolo - che funziona anche da centro di ricezione e smistamento dei migranti - vivono i «manager» della banda. Tutti o quasi titolari di protezione internazionale.
Dalle carte emerge che quattro membri dell’organizzazione hanno ottenuto «la protezione sussidiaria». Si tratta di Abdulaziz F. (48 anni, Milano), Ahmad Salam A. A. (30 anni, Genova), Noori Yessen M. N. (28 anni, Cosenza), Mohammed Ahmed M. (33 anni, Foggia). Mentre hanno ottenuto il permesso di soggiorno umanitario Arf Azard Alan A. (36 anni, Foggia) e il «genovese» Ashfaq (31 anni) che da qualche tempo si è trasferito a Londra e lassù è diventato il terminale dell’organizzazione. Shareef Mohammed K. G. (32 anni, Trieste) ha, invece, un semplice permesso di soggiorno.
Molti dei «dirigenti» fingono di essere attivamente impegnati in forme di integrazione sul territorio. A Pavia, per esempio, Remezan Taher M. H. R., 36 anni, può esibire un «permesso di soggiorno rinnovato per motivi commerciali e di lavoro» perché possiede un ristorantino a Bereguardo, sul Ticino. A Foggia, il centro di smistamento dei migranti è una pizzeria che, tra una focaccia e un kebab, la specialità della casa, offre biglietti ferroviari e appoggi sicuri per Lombardia e Piemonte. Sempre nella città pugliese, uno dei trafficanti è domiciliato in un locale comunale della rete Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
L’organizzazione ha una maniacale attenzione per i dettagli. I migranti che hanno un’aria stressata o potrebbero, per il loro aspetto, richiamare l’attenzione o generare qualche sospetto vengono portati in una barberia di fiducia, nei pressi della stazione di Milano, dove forbici e lacca conferiscono loro un aspetto più occidentale. D’altronde, la Spectre italo-irachena può permettersi di gestire con la cautela necessaria i trasferimenti. Tant’è che, per evitare sovraesposizioni, non esita a utilizzare due alberghi - in una via vicina alla Stazione centrale - in cui nascondere, fino a nuovo ordine, i migranti.
La tariffa dell’albergo di fascia più alta può sfiorare i 200 euro per una «doppia». L’arredamento è moderno e l’ambiente internazionale. L’altro hotel, in una palazzina d’epoca, assomiglia più a una pensione, anche se è pur sempre un «tre stelle». Qui, scrivono gli 007, possono trovare rifugio anche i migranti senza documenti.
Il clan è premuroso nei confronti dei clienti ed è pronto a offrire il massimo a coloro che chiedono un trattamento «deluxe». Come i due clandestini (presumibilmente, mamma e figlio) che il 12 gennaio, due giorni prima della riunione di Milano, hanno pagato 25 mila euro per un «viaggio» all inclusive, comprensivo dei documenti falsi necessari in area Schengen. Sono atterrati a Fiumicino, da Atene, con passaporti intestati a cittadini italiani, e sono stati scortati, con tanto di accompagnatore, a Roma per poi proseguire in Svezia via Zurigo utilizzando l’alta velocità. Il servizio vip per migranti abbienti ha una clientela limitata.
L’«agenzia» offre comunque un portafoglio di tariffe più abbordabili per chi giunge in Italia: arrivare fino a Parigi costa 700 euro, per Vienna bisogna aggiungere una manciata di banconote (800) mentre per Monaco di Baviera sono necessari mille euro. E i bimbi, annotano gli 007, fino a dieci anni «pagano la metà».
Si possono spuntare anche prezzi più bassi, come nei «last minute». Per esempio un affiliato, Abdulaziz S., ha chiesto a una cinquantina di migranti sbarcati a Brindisi solo 500 euro a testa per raggiungere la Germania. E, in un’altra occasione, ha trattato con un curdo, «in attesa sull’area di sosta Bastelli», a Parma, il prezzo del suo «prelevamento» facendosi anticipare i soldi tramite «Western Union». All’occorrenza, nella versione economy del servizio, si possono ordinare documenti contraffatti per 500 euro. Se ne occupa sempre Abdulaziz S., questa volta in versione falsario, che riceve la sua particolare clientela in un negozio nella stessa via milanese dove ci sono gli alberghi a cui abbiamo accennato; è spalleggiato da un complice, a Monza, «protetto» dal solito permesso umanitario. E se il clandestino non ha con sé la somma necessaria, il clan mette a disposizione un sistema di finanziamento che si chiama hawala. È uno strumento di credito previsto dall’ordinamento giuridico islamico che vieta (all’apparenza) il pagamento di interessi. Gli 007 italiani hanno ricostruito in particolare i percorsi dei migranti che sono stati accompagnati in Francia via traforo del Monte Bianco. Nulla è lasciato al caso. Le auto portano i profughi fino alla prima area di servizio, in terra d’Oltralpe, «scortate da apposite “staffette”». Si muovono «quasi sempre a tarda sera, o di notte, per piccoli gruppi di massimo 8/10 persone». Se non è possibile utilizzare le macchine, ci sono i piccoli bus presi a noleggio. La nostra intelligence presta attenzione anche agli arrivi di migranti che passano da Ventimiglia e dal Friuli Venezia-Giulia e temono che ci siano «canali di afflusso “occulto” di migranti da considerarsi a rischio per la possibilità di infiltrazione di soggetti pericolosi».
I Servizi sospettano poi che l’organizzazione - che come detto conta una cinquantina di affiliati in tutt’Europa - abbia allacciato «forme di cooperazione criminosa anche con ambienti delinquenziali italiani», considerato che al timone di un gommone, partito da Corfù con decine migranti, è stato trovato un incensurato di Lecce, Diego M., denunciato in stato di libertà.
Sono stati rilevati anche rapporti di collaborazione con rumeni, russi e ucraini. Questi ultimi vengono per lo più reclutati come skipper, lungo l’altra direttrice dei Balcani, per timonare le barche a vela che trasportano i clandestini. Decine di traversate annotate dagli 007 nella loro informativa. Lo scorso 10 gennaio a Torre Melissa, in Calabria, è naufragato uno di questi velieri con a bordo 50 migranti. Nei mesi precedenti erano approdati sulle nostre coste l’Orange First e il Sun-Kiss. Nomi che fanno pensare più a tramonti felici con un cocktail in mano che a viaggi della speranza. Un ucraino e un russo, Petro e Dimitry, sono arrivati in Puglia nell’estate del 2018 con un bello yacht, il Black Catfish, ormeggiato solitamente nel porto turistico di Marmaris (Turchia).
Gli arresti dei fiancheggiatori, degli autisti e dei «facilitatori», che pure ci sono stati in questi mesi, non hanno indebolito la struttura. Largo è il bacino di disperati che per 100 euro a viaggio rischiano la galera: vi è finito di recente Rawaz Sharif M., anche lui titolare di permesso di soggiorno, fermato dalla polizia vicino al traforo del Monte Bianco. I Servizi parlano, infatti, di «struttura operativa molto elastica» nel ricambio degli uomini. E aggiungono: il sodalizio è in grado «di rispondere con immediatezza all’azione repressiva delle forze di polizia rimodulando le dinamiche di traffico secondo standard di efficienza criminale che appaiono perfino indifferenti alla “perdita” dei mezzi e della “manodopera” delinquenziale, potendo evidentemente contare su un’ampia e continuativa logistica di approvvigionamenti». Un pozzo di San Patrizio di balordi a cui attingere all’infinito.
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